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l caso Luca Palamara, un’inchiesta che ha coinvolto diversa Magistratura italiana, presenta anche un nuovo intreccio siciliano
Palamara e il un nuovo intreccio siciliano
Come riportato dal sito de La Sicilia di Catania, nel caso Luca Palamara, c’è anche un nuovo intreccio tutto siciliano. La questione riguarda i rapporti tra il Procuratore generale a Messina e l’ex Pubblico Ministero-ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura-ed ex Presidente della Associazione Nazionale Magistrati, Palamara. Rapporti che sono finiti nell’inchiesta che ha coinvolto diversa Magistratura italiana e specialmente ha delegittimato agli occhi dei cittadini la cosiddetta indipendenza di quest’ultima soprattutto dalla politica.
Ci sono 165 pagine di una informativa del GICO della Guardia di Finanza di Roma al vaglio della Procura di Perugia con prove inerenti le accuse a Palamara, esplicitate nell’udienza preliminare di lunedì 22 febbraio nella quale gli sono stati contestati i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari.
La nuova tesi dei Pm, guidati da Procuratore Capo Raffaele Cantone (Magistrato, saggista e accademico italiano, dal 27 marzo 2014 al 23 ottobre 2019, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e che dal 17 giugno 2020 ricopre la carica di Procuratore della Repubblica a Perugia) è che Palamara sia stato il protagonista di una fuga di notizie riservate, che avrebbe potuto acquisire anche da Barbaro (non indagato), all’epoca Procuratore facente funzione a Messina, e rivelato all’imprenditore Fabrizio Centofanti, fra gli imputati a Perugia, legato a sua volta all’avvocato Piero Amara, dominus del “sistema Siracusa”.
Del “sistema Siracusa” ci siamo occupati negli articoli “7 Febbraio 2019 Sentenze pilotate al Consiglio di Stato e al Cga della Sicilia”, “23 Gennaio 2019 Procura di Catania indaga giudice del Tar per presunta corruzione in atti giudiziari”, “19 Marzo 2019 Le Procura di Messina e Roma indagherebbero Zingaretti. Sotto inchiesta anche Berlusconi”.
Barbaro, dal canto suo, è perentorio: «La rivelazione di notizie è palesemente insussistente, come potrà essere comprovato nelle competenti sedi con inoppugnabile produzione documentale, oltre che con la deposizione di tutti i soggetti che a vario titolo si sono occupati del processo».
E il Pg di Messina Barbaro preannuncia «sin da ora adeguate iniziative giudiziarie nei confronti dei responsabili».
Nelle 165 pagine del GICO della Guardia di Finanza di Roma ci sono tre capitoli sul tema. A partire dai rapporti fra Palamara e Barbaro, molti nel limite della fisiologia fra un (potente) consigliere del Csm e un collega in carriera. Fra i due numeri ufficiali appena otto contatti in due anni, dal maggio 2017. E anche le chat WhatsApp (un imbarazzante contenitore per altre toghe) non sono poi così scabrose.
«Nominato!!!», comunica il grande capo di Unicost Palamara il 6 luglio 2017, quando cioè il plenum del Csm decide sul posto di procuratore generale di Messina. «Ok grazie», si limita a rispondere il diretto interessato. Che, qualche giorno dopo, ascoltate le critiche di Luca Forteleoni (re delle preferenze al Csm, pupillo di Cosimo Ferri e da oggi consigliere Anac) a Radio Radicale sulla sua nomina a pg, si sfoga proprio con Palamara, il quale gli sconsiglia di scrivere al consigliere critico. «Però bisognerebbe cantargliele, ha la faccia di bronzo», insiste Barbaro. «Su quello non preoccuparti», risponde Palamara all’interlocutore che sembra rassicurato: «Lo sappiamo fare bene».
Alla vigilia di Natale del 2017, il Magistrato messinese chiede all’interlocutore romano il numero di Paola Balducci, laica di sinistra del Csm «Le ho promesso i torroncini», chiarisce. E Palamara ne approfitta («2 mandali pure a me») per chiedere e ottenere il gustoso cadeaux. «Te li faccio mandare da Cavallo», gli garantisce il Pg di Messina, riferendosi forse ad Angelo Cavallo, oggi Procuratore capo di Patti.
A tirare in ballo Barbaro, però, è un recente interrogatorio di Piero Amara, Il cosiddetto “facilitatore” del “sistema siracusa” avendo sostenuto lo scorso 4 febbraio che «il dottore Barbaro, all’epoca procuratore facente funzione di Messina, non gradiva la nomina» di Maurizio de Lucia al vertice della Procura. Amara mette a verbale che «Barbaro si era rivolto a Palamara prima del nostro arresto. Di tale incontro mi era stato riferito da Centofanti. Questi mi disse che Palamara gli aveva riferito che Barbaro si era rivolto a lui perché l’appoggiasse ai fini del raggiungimento di un incarico direttivo». E poi il cuore dell’accusa: «Barbaro avrebbe riferito a Palamara che a carico mio, di Calafiore (Giuseppe Calafiore, socio di Amara e coimputato in più processi fra Roma Messina, ndr) e di Centofanti non c’era nulla: “Tutta fuffa”.
In un incontro a Messina «per questioni riguardanti Eni», Piero Amara avrebbe raccontato quanto appreso da Centofanti all’avvocato Bonaventura Candido, che «era molto amico di Barbaro» e infatti «gli andò a riferire» tutto. Il manovratore del “Sistema Siracusa” viene aggiornato da Centofanti anche delle successive evoluzioni. L’imprenditore gli racconta di «un nuovo incontro» fra Palamara e Barbaro, con quest’ultimo che «si era lamentato del fatto che io fossi al corrente di tale interlocuzione», ma anche del fatto che ne avesse parlato con Buonaventura. Ma Amara si spinge fino a ipotizzare un ulteriore faccia a faccia fra il procuratore generale e il manovratore del Csm «dopo i nostri arresti del 6 febbraio 2018», quando emerse il verminaio di Siracusa.
La fonte è sempre Centofanti: «Barbaro nel corso di tale incontro – dice Amara – avrebbe riferito a Palamara questa frase: “Hai visto, fino a che ci sono stato io non è successo nulla, poi è arrivato de Lucia ed è successo quello che è successo!». Secondo i riscontri del Gico, Barbaro (in veste di procuratore facente funzione) partecipa ad almeno due vertici con i colleghi di Roma sulle indagini a carico di Amara&C.: il 14 febbraio e il 15 marzo 2017. Nel verbale, quasi tutto omissato, l’avvocato siracusano lascia anche qualche traccia di veleno: «Temo che possa esserci un intreccio sistemico che possa danneggiarmi», dice ai pm riferendosi alla Procura di Messina. E sbotta: «Barbaro ha impugnato il patteggiamento di Calafiore, una circostanza mai vista in precedenza».
L’ipotesi di un conto da regolare emerge anche nella prima difesa mediatica di Barbaro. Che, non a caso, sottolinea «due strane coincidenze temporali» rispetto alle accuse di Amara. La prima è proprio l’avere «proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento riguardante il coimputato dell’avvocato Amara, e cioè l’avvocato Calafiore, per inadeguatezza della pena»; la seconda è che proprio ieri a Reggio Calabria è partito «un delicato processo» in cui la toga messinese «è parte offesa di plurimi reati di diffamazione».
Finora è soltanto la parola di Amara contro Barbaro, che nega con forza qualsiasi coinvolgimento. E a questo punto è importante la testimonianza di Candido. Anch’esso sentito, lo scorso 9 febbraio. L’avvocato messinese ammette di aver parlato con Amara delle indagini che lo coinvolgevano assieme all’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo «per la prima volta nel corso di un pranzo» al ristorante “Da Nino” a Letojanni. In quell’occasione il terzo commensale è Angelo Mangione, socio e difensore del legale aretuseo. Ma fu «un confronto tra colleghi che iniziavano a conoscersi», riferisce Candido, al quale però gli interlocutori chiedono già nel pranzo di «predisporre subito una memoria difensiva» per Longo, di cui poi assume la difesa.
Dell’ex Pm di Siracusa, Giancarlo Longo ne abbiamo riportato nell’articolo “23 Febbraio 2019 Corruzione in atti giudiziari e falso ideologico “Operazione Sistema Siracusa”.
L’avvocato messinese incontrerà più volte Amara a Roma. Ma ricevendo confessioni su fughe di notizie? «Mi fece comprendere di sapere tante cose sullo sviluppo delle indagini. Eravamo al corrente che tirasse una brutta aria». Candido, in questo contesto, non parla di Barbaro, con cui ostenta ai Pm «un rapporto di viva cordialità», una conoscenza «non solo nella sua veste professionale». Eppure i dettagli sul magistrato sostiene di apprenderli sempre da Amara, che gli raccontò come Barbaro «avesse interesse a “tenere a bagnomaria” questa vicenda, in quanto toccava il dott. Giordano (Francesco Paolo Giordano, allora procuratore di Siracusa, oggi sostituto pg a Catania), che era un concorrente per la corsa alla Procura generale di Messina, e ciò poteva pregiudicare la sua corsa a tale incarico».
Una teoria sostenuta anche dal suo assistito Longo («sembrava convinto che Barbaro aveva un interesse che le indagini andassero per le lunghe per colpire Giordano»), ma contestata da Candido, convinto che il magistrato messinese «era una persona perbene» e, dopo avergli parlato, che «non conoscesse i dettagli di tale vicenda». Ma l’avvocato poi arrestato gli fece anche «qualche riferimento al rapporto tra Barbaro e Palamara», con riferimento a «un contatto in relazione alla vicenda Procura generale».
Nel lungo colloquio, i Pm di Perugia leggono la trascrizione dell’interrogatorio di Amara a Candido. Che, in un primo momento, conferma il racconto sulle «indagini fuffa», ma poi fa riaprire il verbale: sui racconti sui rapporti Palamara-Barbaro precisa che la nomina a procuratore di Messina c’era già stata; e «gli apprezzamenti di Longo sulla vicenda Giordano erano precedenti» alla sfida per i posto di pg. L’avvocato invia poi al GICO un’integrazione, definendo le ipotesi di Amara «forti suggestioni comunque mai riprese e, per quanto mi riguarda, francamente per nulla verosimili».
Ma Palamara e Barbaro si sono mai incontrati davvero? Le indagini della Guardia di Finanza non riescono a certificarlo. Nella chat di WhatsApp, il 10 ottobre 2017, c’è la traccia di un mancato appuntamento al Montemartini (probabilmente l’hotel Palazzo Montemartini di Roma), «dove ci siamo visti l’altra volta», precisa l’ex pm. «Rispetto a tale presunto incontro non si hanno evidenze», scrive il Gico nell’informativa. Ma è lo stesso pg a rivelare di aver visto l’ex leader di Unicost. E lo fa in una “comunicazione riservata” alla Procura di Messina del 14 ottobre 2017. Avrebbe visto Palamara due giorni prima, «trovandomi per ragioni di servizio a Roma», nel suo ufficio al Csm. Barbaro premette di essere stato informato «da un mio conoscente» che «in non meglio precisati ambienti giudiziari, verosimilmente di Catania o Siracusa» s’era diffusa la notizia che la sua indagine, da procuratore facente funzione, sul sistema Siracusa «sarebbe stato strumentalmente utilizzata per danneggiare» il rivale Giordano, in quel momento sotto scacco, per ottenere il posto di pg a Messina, «grazie anche all’interessamento» del «collega e amico» Antonino Di Maio, «del quale sono stato il magistrato affidatario durante l’uditorato», e dell’onnipresente Palamara.
Di Maio è l’ex procuratore di Trani poi indagato per abuso d’ufficio e favoreggiamento personale nell’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. Ma i rumors sul piano anti-Giordano citati nella “riservata” trovano un riscontro (di cui l’allora procuratore facente funzione è al corrente) anche in un’intercettazione ambientale nella stanza di Longo, nel febbraio 2017. Barbaro va da Palamara «al fine di accertare se anche costui fosse a conoscenza» delle «infamanti esternazioni». E il guru Palamara del Csm lo rassicura: sono «dicerie palesemente infondate», perché «evidentemente sapeva» che Giordano «era estraneo ai fatti». Ma, «per ragioni che non venivano esplicitate», Palamara pronuncia davanti all’interlocutore una “condanna” sull’allora Procuratore di Siracusa: «Non sarebbe mai stato proposto quale dirigente di un ufficio giudiziario messinese».