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atteo Renzi analizza i dati del voto amministrativo e lo definisce “anti-sistema” perché ha punito chiunque fosse ad un governo locale. L’estate si preannuncia come un nuovo periodo di esame all’interno del Pd. “Anziché rincorrere Pisapia devo tornare a fare Renzi”, ha detto il segretario ai fedelissimi.
“È stato un voto anti-sistema”. Così Renzi legge i risultati
Per il segretario del Pd gli elettori hanno penalizzato chi governa. “Altro che cambio di linea: non inseguo la sinistra, torno me stesso”
ROMA – Nella notte di domenica, non appena i dati si stabilizzano, il segretario del Pd, Matteo Renzi, affida a Facebook le sue prime impressioni. «Risultati a macchia di leopardo», li definisce, guardando il bicchiere mezzo pieno: «Nel numero totale di sindaci vittoriosi siamo avanti noi del Pd», anche se è costretto ad ammettere che «poteva andare meglio». Se lo aspettava, immaginava che il risultato non sarebbe stato positivo. Sperava in qualcosa di meglio in Lombardia, teneva le dita incrociate per L’Aquila, ma sapeva che questo secondo turno non avrebbe sorriso al centrosinistra. E naturalmente era consapevole che sarebbe stato lui nel mirino, in quanto capo del partito, segretario appena rieletto, le sue scelte, la sua latitanza in campagna elettorale. Che gli sarebbero arrivate richieste di cambiamento, come fa l’avversario interno al Pd Andrea Orlando («serve umiltà, ascolto, disponibilità a cambiare idea o a far cambiare idea agli altri: non è solo una questione di carattere, ma di linea politica») e come predicano fuoriusciti come Roberto Speranza («l’unica strada per ripartire è archiviare definitivamente le politiche errate del renzismo»). Lungo la giornata, trascorsa a Firenze prima di decidere di rientrare a Roma nel tardo pomeriggio, alla sede nazionale di Largo del Nazareno, ha riguardato i dati, i risultati da Nord a Sud del Paese. E si è convinto che c’è un filo conduttore nelle scelte degli elettori alle urne: secondo lui, in una lettura un po’ autoassolutoria, non è necessariamente il voto contrario al Pd.
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«Se a Lecce vinciamo inaspettatamente noi, e a Genova il centrodestra dopo decenni, io interpreto questo risultato come antisistema», ha spiegato ai suoi, «sì, quello che è successo è che, quasi ovunque, i cittadini hanno votato contro chi governava, hanno scelto il cambiamento». A spese dei dem è successo all’Aquila come a Piacenza, a Monza come a Lodi come nella storica roccaforte rossa di Sesto San Giovanni, ma anche in un altro fortino di sinistra come Carrara, a favore del M5S. Ai danni del centrodestra è successo a Lecce ma anche a Padova. Una dinamica facilitata, secondo il suo ragionamento, dalla bassa affluenza (46 per cento di media nazionale), che, in una torrida domenica di fine giugno, ha portato alle urne solo i più convinti e i più arrabbiati.
Ecco perché il tweet di quel grafico a torta, di buon mattino, che rivendica numeri quantomeno opinabili, visto che vanta 67 sindaci del centrosinistra contro 59 del centrodestra (su 22 capoluoghi al voto domenica, ben 16 sono andati a Berlusconi e alleati) e che infatti gli procura ironie del web e smentite di compagni di partito (sempre Orlando: «è stata una sconfitta»). Ecco perché, nonostante lui stesso fosse preparato al peggio, ammette che «il risultato complessivo non è granché» ma insiste sul fatto che si tratta di un voto locale («le elezioni amministrative sono un’altra cosa rispetto alle politiche»), che nello scegliere un sindaco «i candidati contano più del dibattito nazionale» e insomma rifiuta l’idea – su cui invece analisti e politici sono perlopiù concordi – che il voto di domenica sia stato «un campanello d’allarme: non si capisce per cosa e perché visto che in un comune perdi, in quello accanto vinci».
La linea viene trasmessa ai colonnelli, uno dei suoi fedelissimi come Matteo Ricci si presenta alle tv a sostenere l’ardita teoria che «l’unico sconfitto è Grillo e il Movimento cinque stelle, il centrosinistra vince nella maggioranza dei comuni nonostante l’avanzata della destra»; il presidente del partito Matteo Orfini, ex leader dei Giovani turchi e oggi uno degli uomini a lui più vicini, sbeffeggia la richiesta dell’altro ex leader della medesima corrente Orlando di convocare «un tavolo delle forze di centrosinistra» pubblicando su Twitter un grafico dell’affollato, litigioso tavolo dell’Unione con hashtag «Anche no».
Se lo schema è cambiato, se l’avversario da battere non è più tanto Grillo quanto il centrodestra, è il ragionamento di Renzi, allora bisogna cambiare strategia: «Anziché rincorrere Pisapia devo tornare a fare Renzi», ha detto ai suoi. E allora, la prima prova ieri, quando ha lanciato dalla sua pagina Facebook il dibattito quotidiano che si tiene alla sede del Pd. Argomento della discussione, il bonus per i 18enni e la politica «un euro in sicurezza e uno in cultura». Anche questa misura finì nel mirino della sinistra del partito, essendo concessa in modo indiscriminato a neomaggiorenni incapienti come a milionari. «Il presidente Macron l’ha integralmente ripreso nel suo programma per la Francia», rivendica invece il leader Pd. Come a dire: altro che cambio di linea, è su quella strada che vuole continuare a battere. Avrà modo di farlo capire,nei prossimi appuntamenti del partito: l’Assemblea nazionale dei circoli Pd, a Milano nel fine settimana, e la Direzione il 10 luglio.
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