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Le battaglie dei forzati del lavoro: Ikea, licenziata madre bambino disabile

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kea ha licenziato a Milano la madre di un bambino disabile che aveva richiesto di cambiare l’orario di lavoro per poter assistere il figlio. L’algoritmo che decide i turni automaticamente non le consentiva una modifica, e così è arrivata la lettera di licenziamento.

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MILANO – È un algoritmo a decidere i turni di lavoro per i 6500 dipendenti dell’Ikea in Italia. Lo fa una volta ogni sei mesi, a settembre e marzo, sulla base di uno schema prestabilito che contempla il flusso dei clienti, il numero dei lavoratori impiegati e le esigenze di ogni singolo reparto.

Schiacciata sotto questa macchina fredda ha trovato il licenziamento per «giusta causa» la signora Marica Ricutti, 39 anni, separata, madre di due figli piccoli, di cui uno disabile. Era impiegata all’Ikea di Corsico, periferia di Milano, dal 1999: non aveva mai ricevuto un richiamo e nemmeno una contestazione sulla sua professionalità.

La signora Ricutti sapeva bene, però, che non avrebbe potuto entrare al lavoro alle 7 del mattino, come previsto dal nuovo turno assegnatole dall’algoritmo al reparto ristorante. Soprattutto il martedì, non era possibile. Quel giorno deve portare suo figlio in un centro specializzato dove sta seguendo una terapia. Ecco perché ha cercato più volte di incontrare il capo del personale. Ha spiegato i suoi problemi, ottenendo rassicurazione verbali. Solo a quel punto, convinta di essere stata compresa, ha accettato lo spostamento nel nuovo reparto. «Mi avevano detto che avrebbero tenuto conto della situazione, non mi sarei mai aspettata un trattamento del genere».

Nessuno ha cambiato il suo turno. Il cervellone non ha previsto eccezioni. L’algoritmo contemplava sempre lo stesso orario: 7 del mattino. Per quattro volte la signora Ricutti ha timbrato il cartellino alle 9, come nel suo orario precedente. Era il 3 di ottobre quando ha ricevuto la prima lettera di contestazione della sua carriera. Il 13 novembre è stata convocata per fornire spiegazioni. Ma quello che ha detto non ha convinto i responsabili dell’azienda.

Infatti, ecco la lettera datata 21 novembre 2017, oggetto: «Licenziamento per giusta causa». Così scrive «Ikea Italia Retail Srl» senza un nome al fondo, se non quello della licenziata: «Gentile signora Ricutti, abbiamo attentamente valutato le giustificazioni da Lei rese in data 13 novembre 2017, in cui non sono stati in alcun modo smentiti i fatti contestati, risultando anzi da Lei ammessi. La Società non può pertanto che ritenere confermati i gravi fatti a Lei addebitati. Sia considerati singolarmente che, a maggior ragione, nel loro complesso hanno fatto venire meno il vincolo fiduciario che è presupposto indispensabile di ogni rapporto di lavoro e sono di una gravità tale da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro. Pertanto, sulla base di…, siamo costretti a comunicarle, ai sensi dell’articolo 2119…, il licenziamento per giusta causa. Le competenze di fine rapporto verranno corrisposte non appena effettuati i relativi conteggi. Distinti saluti».

Ma cosa ha fatto di così grave la signora Ricutti? «Niente, assolutamente niente», dice Marco Beretta della Filcams Cgil Milano. «L’unica contestazione riguarda proprio quei pochi ingressi con due ore di ritardo. Cercava in quel modo di sollevare l’attenzione sul suo problema. Visto che tutti gli altri tentativi per trovare una mediazione si erano rivelati inutili. Quel che fa più male di questa storia, è che stiamo parlando di una lavoratrice che ha diritto alla protezione della legge 104, che tutela le madri con figli disabili. Come ha ben detto Marica Ricutti, lei non stava chiedendo un privilegio». Ecco perché dopo due ore di sciopero nel giorno del licenziamento, i sindacati il 5 dicembre faranno un presidio davanti all’Ikea di Corsico per stigmatizzare l’accaduto. Marco Beretta è profondamente amareggiato: «A dispetto delle campagne pubblicitarie sempre così sensibili ai temi sociali, l’Ikea dimostra di considerare i lavoratori soltanto dei numeri da tagliare per abbassare i costi. Come dei mobili. Da montare e smontare a piacimento».

Otto ore di lavoro al giorno, più una di pausa. Stipendio: 1250 euro al mese. La signora Ricutti adesso sta male. «Ho sempre cercato di comprendere le ragioni dell’azienda, ma forse adesso sta venendo meno il valore della dignità umana», ha detto in un’intervista all’HuffPost. «Andrò avanti. Impugnerò il licenziamento accanto alla Cgil». Il suo caso non è isolato. Proprio ieri, un lavoratore dell’Ikea di Bari, padre di due bambini piccoli, è stato licenziato per una pausa più lunga del consentito: 5 minuti. Molti altri lavoratori hanno segnalato problemi di adattamento all’algoritmo. «È un’azienda che è cambiata radicalmente negli ultimi anni», dice Fabrizio Russo, il segretario nazionale della Filcams Cgil. «Rifiuta qualsiasi mediazione sindacale».

Cosa dice l’Ikea di tutto questo? «Negli ultimi 8 mesi Ricutti ha lavorato meno di 7 giorni al mese. Nell’ultimo periodo, in più occasioni, si è autodeterminata l’orario di lavoro senza alcun preavviso nè comunicazione di sorta, mettendo in grave difficoltà i colleghi». E ancora: «Da lei gravi episodi di insubordinazione».

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