S
e la Lega non fosse un partito in salute, la dichiarazione di voto fatta ieri da Matteo Salvini (in un ipotetico ballottaggio tra la Raggi e Giachetti, la Lega a Roma sceglierebbe la prima), ecco, questa dichiarazione potrebbe somigliare ad una sorta di «staffetta»: un ideale passaggio di testimone, insomma, dal primo vero partito antisistema italiano – il Carroccio, appunto – ai nuovi arrivati del Movimento Cinque Stelle. La Lega, però, non è in declino, e le cose – dunque – non possono stare così. E infatti, piuttosto che un annuncio a sostegno del partito avvertito come il più vicino, la sortita del leader leghista sembra un nuovo capitolo della guerra sorda in atto tra le due maggiori forze anti-establishment del panorama politico italiano.
È una guerra che Grillo e Salvini stanno combattendo ormai da tempo evitando di portare, almeno per ora, i rispettivi movimenti allo scontro frontale, ma piuttosto sparando con ogni tipo di munizione contro quello che viene considerato – evidentemente – il nemico comune.
E cioè il Pd di Matteo Renzi, reo di essere il partito-architrave del sistema politico e l’argine più resistente (forse addirittura l’unico rimasto) di fronte alla bufera antisistema che spazza il Paese.
Ognuno, naturalmente, è libero di scegliere il nemico che vuole e di combatterlo (leggi e codice penale permettendo) con i toni e gli argomenti che ritiene: quel che dovrebbe essere evidente, però, è che la guerra in atto – condotta con la violenza e la spregiudicatezza con cui è condotta – rischia di produrre danni non solo e non tanto al Pd, quanto a qualcosa di assai prezioso e che dovrebbe stare a cuore a tutti. Potremmo chiamarlo spirito civico, tessuto connettivo. O perfino orizzonte comune. Tutto quel che solitamente tiene insieme, insomma, una comunità .
Gli effetti di questa guerra – improntata sempre più all’odio che alla polemica politica – cominciano purtroppo a manifestarsi in tutti i loro aspetti: fino a condizionare le valutazioni di un giudice solitamente illuminato arrivato a sostenere, tout court, che tutti i politici rubano. Il clima da vigilia elettorale certo non favorisce tregue, anzi. E nell’ultimo paio di settimane ci si è incamminati verso una sorta di cupio dissolvi che potrà forse portare qualche voto in più alle forze antisistema, ma a prezzo di ferite gravissime inferte all’intero Paese.
Tra i partiti, per dirne solo una, è ormai in corso una sorta di gara a chi accusa con più violenza l’avversario di corruzione, ruberie e pratiche di malaffare. Un rimpallo continuo tra le vicende e le inchieste di Potenza e di Lodi, di Parma e di Livorno, di Quarto e della Sicilia. I toni più duri e sprezzanti, sono sempre quelli usati dalla Lega e dagli uomini di Grillo: salvo poi esser ripagati con la stessa moneta quando a finire nei guai (magari per vicende perfino irrilevanti) sono sindaci o amministratori leghisti o grillini.
E’ una escalation della quale non si vede la possibile fine. E non giureremmo che con le battute razziste di Grillo all’indirizzo del sindaco di Londra o gli attacchi di Salvini al Capo dello Stato, si sia toccato il fondo. La guerra in corso, infatti, sembra non aver quartiere. E gli effetti sono perfino paradossali.
Dopo aver stravolto un referendum (quello sulle trivelle) fondendolo con inchieste che con le piattaforme in mare non c’entrano niente e dopo aver avviato una campagna (quella del plebiscito su Renzi) che rischia di mutare il senso del referendum costituzionale di ottobre, è in corso uno scontro elettorale interamente combattuto al grido «loro rubano di più», nel quale lo spazio per le idee ed i programmi da minimo che era è diventato nullo. I cittadini-elettori osservano, ascoltano e non sanno che pensare. O forse lo sanno. E allora auguri al vincitore, chiunque esso sarà : dopo il tanto odio seminato, il rischio è trovare non municipi da governare, ma cumuli di macerie da sgombrare. Con buona pace di «onestà », «omertà » e stupidaggini simili.
vivicentro.it/editoriali / lastampa / La rischiosa offensiva della Lega FEDERICO GEREMICCA
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