La Chiesa non ritiene mai di aver fatto abbastanza per i poveri». Nunzio Galantino, segretario della Cei, spiega la strategia di impegno della Chiesa italiana nella solidarietà alle fasce più bisognose della popolazione.
State facendo abbastanza per il sociale o potete fare di più?
«
Finché ci sarà anche solo un bisognoso che ha fame o è senza un tetto, non avremo mai fatto abbastanza. Aumentiamo le risorse destinate a tante forme di povertà perché crescono i bisogni. La Chiesa non ritiene mai di aver fatto abbastanza».
Con le sue iniziative la Chiesa supplisce al welfare colpito dai tagli di bilancio?
«Non direi che supplisce, ma che aiuta il welfare. Il miliardo di euro che viene assegnato alla Chiesa con l’otto per mille viene restituito per 11 volte tanto in servizi sociali al Paese. E non è una stima fatta da noi. È importante che ci facciamo carico, insieme con lo Stato e con le altre realtà, dei più poveri e dei più fragili».
È vero che la Chiesa aiuta gli immigrati più che gli italiani?
«I dati documentabili degli interventi dimostrano che la percentuale maggiore di risorse è destinata agli italiani. Al primo posto ci sono le famiglie povere. Ma non ha senso fare classifiche e la povertà non si misura dal colore della pelle. Queste polemiche pretestuose mirano a trascinare tutti – compresa la Chiesa – in una lotta tra poveri che incattivisce chi già soffre».
Quali criteri seguite per assegnare gli aiuti?
«I criteri sono legati ai reali bisogni e alle povertà accertate. Non pensiamo soltanto alle bollette pagate e al piatto di minestra. Quando qualcuno bussa a un centro Caritas, viene accolto, ascoltato, accompagnato. Il sostegno non è mai solo materiale, le persone hanno bisogno di sentirsi amate. I criteri sono decisi volta per volta, caso per caso, bisogno per bisogno».
In pochi anni la Chiesa ha raddoppiato i fondi per la solidarietà. Una svolta sociale?
«Questi fondi tratti dall’otto per mille sono cresciuti dai 27 milioni di euro del 1990 a 275 milioni del 2017. Non parlerei di svolta ma di un incremento costante negli ultimi 28 anni. Le risorse per la solidarietà, poi, non sono solo quelle che arrivano ai bisognosi. Se si creano centri di culto e di aggregazione nelle periferie o nei piccoli paesi, anche questa è vicinanza ai bisogni della gente. Per noi il culto non sono solo incenso o candele: costruiamo luoghi che sono di preghiera ma anche di incontro».
Le iniziative di micro-credito, sono efficaci? Stiamo uscendo dalla crisi?
«Aiutiamo tante iniziative che sostengono start-up di giovani desiderosi di lavorare. Ogni epoca ha attraversato le sue crisi e la Chiesa non ha l’obiettivo di risolverle, ma di sostenere chi ne è vittima. Mi sembra ci sia ancora tanto cammino da fare per uscire dalla crisi. Non possiamo sostituirci alle istituzioni, ma cerchiamo di collaborare con tutti per contrastarne gli effetti. E ringrazio gli oltre 15 milioni di italiani che destinano l’8 per mille alla Chiesa cattolica, continuando a darle fiducia».
Quali sono oggi le priorità nella società italiana?
«Alle mense Caritas si affacciano sempre di più italiani, nelle parrocchie non mancano famiglie un tempo economicamente autonome, che chiedono soldi per le bollette. I nuovi poveri sono padri separati, persone vittime di ludopatie e anche dell’usura: la Cei sostiene la fondazione anti-usura. Fra tante povertà non dimenticherei la povertà di relazioni e di motivazioni per continuare a vivere e sperare in una società che è stata molto più capace a globalizzare l’indifferenza che le risorse e i beni».
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