Crisi economica: meno soldi alle chiese, più all’accoglienza

Da quando è iniziata la crisi economica, la Chiesa italiana ha aumentato del 60% gli...

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Da quando è iniziata la crisi economica, la Chiesa italiana ha aumentato del 60% gli stanziamenti annuali alle emergenze sociali: migranti, disoccupati, senzatetto ed ex detenuti. L’attenzione passa dalle chiese ai bisognosi. Una scelta di solidarietà che non incontra sempre i favori dei Comuni che si ribellano: noi cacciamo i migranti, loro li prendono. La nostra inchiesta racconta questa stampella per il Welfare pubblico che non piace sempre a tutti.

La Cei ha cambiato rotta: meno soldi per le chiese, si investe sull’accoglienza

Dalle mense ai dormitori, aumentati gli stanziamenti del 60%. Molti Comuni si ribellano: noi cacciamo i migranti e loro li prendono

Da quando è iniziata la crisi economica, la Chiesa italiana ha aumentato del 60% gli stanziamenti annuali alle opere sociali: dai 90 milioni di euro del 2009 ai 150 del 2017, ai quali si sommano i 40 milioni per le «esigenze di rilievo nazionale» e gli 85 per «la cooperazione nel Terzo Mondo».

Un cambio di strategia, un ingente spostamento di risorse per nuove povertà e emergenze sociali (migranti, disoccupati, senzatetto, ex detenuti).

Per il Giubileo del 2000 furono costruite decine di nuove chiese nelle periferie urbane. La priorità ora sono le infrastrutture assistenziali. Una scelta strategica non priva di effetti e reazioni sul territorio.

C’è chi protesta

Quella della Chiesa è una stampella per il Welfare pubblico che non piace sempre a tutti. «Noi come comune di Genova non diamo locali per i migranti. E poi, invece, ci si mette la Curia che dà le strutture, come a Multedo», afferma l’assessore alla sicurezza del comune di Genova, Stefano Garassino, annunciando un’ordinanza, già adottata in altri comuni, che obbliga chi ha intenzione di mettere a disposizione delle prefetture edifici per l’accoglienza di comunicare preventivamente al comune il luogo prescelto e il numero di persone da ospitare. Le strutture legate alla Chiesa negli ultimi anni hanno accolto decine di migliaia di migranti. Un numero che è andato aumentando. Il lavoro sociale delle 23mila parrocchie, attraverso la rete dei centri di ascolto, ha generato migliaia di servizi di prima necessità (mense, prestiti, ambulatori, dormitori). A ridosso delle mura medievali di Jesi, 40mila abitanti sulle colline di Ancona, la Caritas ha costruito una palazzina nel cortile del seminario vescovile. «Per adesso offre servizi di assistenza e segretariato sociale, presto saranno in funzione due dormitori», spiega don Giuliano Fiorentini, parroco di San Giuseppe e fondatore della comunità Oikos. Silvana Dolciotti abita a due portoni di distanza dal nuovo centro Caritas. «Nel condominio di fronte al mio c’è già un’abitazione che ospita richiedenti asilo, di questo passo le strutture di accoglienza soffocheranno il quartiere», avverte. Petizioni di residenti, proteste e manifestazioni contro il centro non ne hanno fermato l’attività. «Ci coordiniamo con la diocesi per tenere la situazione entro numeri sostenibili e abbiamo aperto vicino alla stazione un dormitorio comunale per dare un tetto ogni notte a 18 persone senza fissa dimora», ribatte il sindaco di Jesi, Massimo Bacci.

La presenza delle realtà di aiuto legate alla Chiesa è capillare. Gli ultimi esempi sono a Torino il progetto formativo e occupazionale “Chicco Cotto” che affianca le famiglie dei disabili nel dramma del “dopo di noi”, a Roma il sostegno familiare della Caritas agli anziani e alle persone sole nei quartieri periferici, a Milano il rifugio notturno che accoglie oltre cento clochard ogni notte e a Verona la casa “Braccia aperte” che offre rifugio alle ragazze madri. «C’è stata una radicale revisione delle priorità e la Cei ha preso la crisi economica come una sfida per farsi massicciamente carico di tensioni e sofferenze sociali- spiega Marinella Perroni, teologa del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma-. Una scelta netta».

Redistribuzione di fondi  

I contributi approvati nell’ultimo anno dalla Cei sono andati in prevalenza alle famiglie (53 progetti per 5 milioni di euro), alle persone senza dimora (3,2), ai disoccupati (2,2), agli immigrati (1,9), agli ex detenuti (700mila). Alle iniziative anticrisi sono stati destinati 7,5 milioni e ai progetti di sostegno dei bisognosi segnalati dalle diocesi 16,5. Ad analizzare i dati al ministero del Lavoro è Raffaele Tangorra, direttore generale per l’inclusione e le politiche sociali. «Il Welfare ecclesiastico incide maggiormente sulla distribuzione alimentare, il sostegno ai senza fissa dimora e l’emergenza freddo – precisa -. Con l’Istat abbiamo censito 55 mila clochard nelle città con più di 80mila abitanti e, in assenza di una legge che li assista, l’apporto della Chiesa nei loro confronti è rilevante: i senza fissa dimora vengono intercettati più facilmente dagli enti caritativi che dai servizi sociali pubblici». Sui grandi numeri dell’assistenza (indennità e sussidi), lo Stato ha la netta prevalenza, mentre la Chiesa rafforza e specializza la sua presenza nella «presa in carico dei soggetti più deboli attraverso dormitori e mense».

La rete “social” della Chiesa integra l’azione degli enti locali alle prese ovunque con crescenti tagli ai bilanci, cercando di dare risposte concrete alle situazioni di necessità che lo Stato non riesce a risolvere. La metà dei fondi attribuiti dai vescovi per finalità caritative viene suddivisa in parti uguali per tutte le 226 diocesi, e la metà che rimane viene ripartita tra le diocesi secondo il loro numero di abitanti. Una «presa di coscienza» che alimenta il tessuto solidaristico. A La Spezia la “Cittadella della pace” offre un servizio d’accoglienza per famiglie in difficoltà, minori alla messa in prova, ex detenuti, senza fissa dimora e migranti. A Ragusa il vescovo Carmelo Cuttitta finanzia un piano anti-disoccupazione con corsi per bio-agricoltori, lavoratori edili e familiari che intendono creare piccole imprese. A Foligno la Taverna del Buon Samaritano, attraverso 150 volontari delle parrocchie, assicura 120 pasti al giorno 365 giorni all’anno, a Roma Caritas e Università Cattolica formano operatori che si occupano di minori stranieri non accompagnati, mentre a Perugia 400 famiglie indigenti fanno la spesa all’emporio della solidarietà “Sorella Provvidenza”. «Nell’ultimo ventennio il gettito del Welfare non si è adeguato all’esplosione delle disuguaglianze e della povertà, anzi in percentuale è diminuito – osserva Marco Rossi-Doria, esperto di politiche sociali, già sottosegretario all’Istruzione nei governi Monti e Letta -. La Chiesa svolge un crescente compito di supplenza contribuendo così a garantire la tenuta sociale».

Risposte alle emergenze  

I numeri fotografano questa presenza: 4488 centri ecclesiali erogano beni primari, facendosi carico dei bisogni essenziali di persone e famiglie, italiane e straniere. 3547 sono i centri di ascolto per le vecchie e nuove povertà, al servizio di chi è nel bisogno. 245mila interventi di orientamento, consulenza e segretariato sociale per disoccupati e nuclei economicamente svantaggiati. E ancora, 473 microimprese finanziate nell’ultimo anno, 150 progetti di servizio civile in 88 Caritas diocesane per mille e duecento posti. 28 bandi finanziati per un anno di volontariato sociale riservato ai giovani.Dietro i numeri ci sono esperienze in prima linea, come l’iniziativa “Gaudium” realizzata dalla diocesi di Mondovì, in provincia di Cuneo, per il disagio psichico: la Caritas accompagna e integra adolescenti con problemi di fragilità mentale, attraverso una “convivenza guidata” in famiglie della zona. Alla diocesi di Lamezia Terme è nato un coordinamento regionale sulla salute mentale che fa interagire enti pubblici e privati: comunità parrocchiali, associazioni di volontariato e operatori di servizi.

A Tempio Pausania, invece, per colmare le lacune dalla sanità, uno sportello gratuito garantisce agli indigenti cure salvavita, orientamento legale e distribuzione dei farmaci. Risposte ad esigenze, su più fronti e con diversi approcci, ma tutte sostenute dai vescovi. A Lucca la bottega solidale “5 pani” offre prodotti alimentari, freschi e secchi, recuperati con numerosi accordi commerciali nelle aziende locali della filiera del cibo. I produttori, in cambio di pezzi speciali, ottengono un bollino di eticità. E le verdure biologiche provengono dagli orti sociali ricavati da vasti terreni parrocchiali. Centinaia di beneficiari hanno una tessera a punti, caricata sulla base delle esigenze del nucleo familiare.

In prima linea nel cratere 

La diocesi di Spoleto-Norcia, per tradurre in pratica i contenuti dell’enciclica Laudato si’, ha riqualificato un’area inutilizzata da anni a Borgo Trevi: famiglie in difficoltà vi producono frutta e verdura a fini di auto-sostentamento. 8mila metri quadrati suddivisi in quaranta lotti per le coltivazioni, e altri 8mila sono diventati un frutteto. La fondazione “Migrantes”, inoltre, si occupa, attraverso 1500 operatori, 750 comunità etniche e 17 coordinamenti nazionali, dell’integrazione dei 5 milioni di immigrati e delle 180mila persone della comunità Rom. Per il terremoto che un anno fa nell’Italia centrale ha provocato 229 vittime e ha sconvolto intere aree dell’Appennino, la Caritas ha messo a disposizione 25 milioni di euro in una situazione di grave difficoltà tra centri storici fantasma, ricostruzione che non decolla, detriti e paure ancora da rimuovere. Le parrocchie aiutano le popolazioni locali a ripartire dalla loro terra, in prima linea anche nel denunciare ritardi ed eccessi di burocrazia.

«La fuga dalla propria quota di impegno lascia le macerie dove sono: rinviare non paga, serve una ricostruzione vera, capace di guardare avanti», avverte il vescovo di Rieti, Domenico Pompili. Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, aggiunge che «un patrimonio di bellezza rischia di andare perduto per sempre» e chiede allo Stato «vie sagge, percorribili e concrete per recuperarlo». Il vescovo di Ascoli, Giovanni D’Ercole segnala che «le difficoltà, gli ostacoli e gli intralci della burocrazia spietata tentano di spingere al fatalismo della disperazione». La ricostruzione include luoghi polifunzionali per rendere possibili alle comunità «attività religiose, culturali e aggregative». In tutte le diocesi terremotate sono stati realizzati in un anno container assemblati, prefabbricati metallici, strutture in muratura, acciaio o legno. In provincia di Rieti sono stati consegnati dalla Caritas moduli abitativi a 45 famiglie e 12 allevatori. A ciò si aggiungono prestiti, sussidi e microcrediti per chi non vuole andarsene. Ad Esanatoglia la diocesi di Camerino ha costruito una struttura di accoglienza per gli studenti universitari fuori sede, ad Amatrice è stato ampliato il cimitero con donazioni e collette. «In questo paese c’è un tessuto di solidarietà, in larga parte di matrice cattolica – sottolinea Andrea Riccardi, storico del cristianesimo -. La Cei ne ha preso coscienza, sostenendo in modo più largo questa realtà. I bisogni della gente sono molti e le risposte non possono venire solo da un Welfare che è ridotto e affaticato».

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lastampa/La Cei ha cambiato rotta: meno soldi per le chiese, si investe  GIACOMO GALEAZZI – ANDREA TORNIELLI

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