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“Deportazione” da Messina. Interviene la Lega nazionale a difesa dei cani

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ita testualmente la parola “deportazione” la nota diramata dalla Lega nazionale per la difesa dei cani e con cui annuncia “battaglia”.

“Deportazione” da Messina. Interviene la Lega nazionale a difesa dei cani

L’amara vicenda, o come l’abbiamo anche considerata, angosciante quanto meno per chi ama i nostri amici a quattro zampe, la stiamo seguendo da quando il Comune di Messina, con un bando avente scadenza 27 dicembre corrente anno, all’inizio di questo mese, improvvisamente ha di fatto avviato l’iter per “deportare” i cani del Rifugio Don Blasco in altre località, anche distanti.

Era subito apparsa inquietante la singolarità del ristretto tempo tra la decisione del Comune di Messina e la scadenza repentina, quando ci sarebbe stato molto più tempo disponibile a pensare e attivarsi se si fosse provveduto prima, almeno un anno addietro.

I nostri articoli “I cani del Rifugio Don Blasco di Messina sono a rischio”, “Rifugio Don Blasco (ME), Il M5S “tutelare gli animali” e “Non un lieto fine per i cani del Rifugio Don Blasco, si ritiene siano esaurienti su l’accaduto.

Adesso è intervenuta anche la “Lega Nazionale per la Difesa del Cane” che tramite il rispettivo Ufficio stampa ha diramato una nota a firma di Piera Rosati – Presidente LNDC Animal Protection, nella quale ripercorrendo ciò che era successo, ha aggiunto Come già precedentemente comunicato al comune, un altro aspetto che ci preoccupa in maniera significativa è la durata dell’appalto, pari a cinque mesi. Un tempo così limitato non permette un’adeguata pianificazione delle attività a tutela degli animali sia per quanto riguarda i soggetti che presentano problemi comportamentali e quindi necessitano di un percorso rieducativo, sia per i cani affetti da patologie che richiedono cure a lungo termine. Inoltre, allo scadere dei 5 mesi, ci potrebbe essere la possibilità che i cani vengano spostati altrove. Essendo i cani esseri senzienti e non pacchi o merce, tale evenienza comporterebbe uno stress inaccettabile per gli animali che perderebbero i loro punti di riferimento e le persone con cui in questo tempo hanno stretto un legame”, continua Rosati.

Ovviamente faremo tutto ciò che è in nostro potere per evitare che questa assegnazione si concretizzi e lotteremo per assicurare che tutti i cani del Comune di Messina ricevano le giuste garanzie per continuare ad essere accuditi al meglio come è stato fatto fino ad ora. Auspichiamo che tutti gli animalisti messinesi, indipendentemente dall’associazione di appartenenza, si schierino al fianco degli animali in questa battaglia di civiltà, a tutela dei diritti di chi non ha voce”, conclude Rosati.

La notizia ci è arrivata come una doccia fredda”, afferma Aldo Alibrandi – Presidente della Sezione LNDC locale, “soprattutto perché ci eravamo sentiti un po’ rassicurati dalle affermazioni dell’Assessore Minutoli. I tanti nostri sostenitori in questo momento ci stanno chiedendo cosa succederà e posso soltanto dire che lotteremo affinché tutti i cani del comprensorio messinese – non solo quelli del canile Millemusi – non vengano deportati.”

Si auspica che il Ministro della Salute verifichi se sono stati rispettati tutti i diritti degli animali coinvolti, poiché sul sito del Ministero si legge “La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale è stata sottoscritta il 15 ottobre 1978 presso la sede dell’UNESCO a Parigi. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale. Preambolo. Considerato che ogni animale ha dei diritti; Considerato che il riconoscimento ed il disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l’uomo a commettere dei crimini contro la natura e contro gli animali; Considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto all’esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza della specie nel mondo; Considerato che genocidi sono perpetrati dall’uomo e altri ancora se ne minacciano; Considerato che il rispetto degli animali da parte dell’uomo è legato al rispetto degli uomini tra loro; Considerato che l’educazione deve insegnare sin dall’infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali; Articolo 1) Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza. Articolo 2 a) Ogni animale ha diritto al rispetto; b) L’uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali o di sfruttarli violando questo diritto. Egli ha il dovere di mettere le sue conoscenze al servizio degli animali; c) Ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell’uomo; Articolo 3 a) Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli; b) Se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, né angoscia. Articolo 4 a) Ogni animale che appartiene ad una specie selvaggia ha il diritto a vivere libero nel suo ambiente naturale terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi; b) Ogni privazione di libertà, anche se a fini educativi, è contraria a questo diritto; Articolo 5 a) Ogni animale appartenente ad una specie che vive abitualmente nell’ambiente dell’uomo ha il diritto di vivere e di crescere secondo il ritmo e nelle condizioni di vita e di libertà che sono proprie della sua specie; b) Ogni modifica di questo ritmo e di queste condizioni imposta dall’uomo a fini mercantili è contraria a questo diritto. Articolo 6 a) Ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità; b) L’abbandono di un animale è un atto crudele e degradante. Articolo 7) Ogni animale che lavora ha diritto a ragionevoli limitazioni di durata e intensità di lavoro, ad un’alimentazione adeguata e al riposo. Articolo 8 a) La sperimentazione animale che implica una sofferenza fisica o psichica è incompatibile con i diritti dell’animale sia che si tratti di una sperimentazione medica, scientifica, commerciale. Articolo 9) Nel caso che l’animale sia allevato per l’alimentazione, deve essere nutrito, alloggiato, trasportato e ucciso senza che per lui ne risulti ansietà e dolore. Articolo 10 a) Nessun animale deve essere usato per il divertimento dell’uomo; b) Le esibizioni di animali e gli spettacoli che utilizzano degli animali sono incompatibili con la dignità dell’animale. Articolo 11) Ogni atto che comporti l’uccisione di un animale senza necessità è un biocidio, cioè un delitto contro la vita. Articolo 12 a) Ogni atto che comporti l’uccisione di un numero di animali selvaggi è un genocidio, cioè un delitto contro la specie; b) L’inquinamento e la distruzione dell’ambiente naturale portano al genocidio. Articolo 13 a) L’animale morto deve essere trattato con rispetto; b) Le scene di violenza di cui animali sono vittime devono essere proibite al cinema e alla televisione, a meno che non abbiano come fine di mostrare un attentato ai diritti dell’animale. Articolo 14 a) Le associazioni di protezione e di salvaguardia degli animali devono essere rappresentate a livello governativo; b) I diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo. 

Quanto sopra è la risaputa politica attuata da molti Comuni del Sud, che sempre più spesso si affidano ad associazioni o privati per trasferire gli animali in zone in cui avrebbero maggiori possibilità di essere adottati. Una strategia che però sposta il problema anziché risolverlo e solleva interrogativi sia sulle condizioni di trasporto sia sulle reali destinazioni dei cani. Affidati spesso a «staffette» che si incaricano del trasporto, alcuni animali trovano casa, altri finiscono in rifugi di diverse regioni o in località sconosciute. A volte è notorio che oltre al trasporto, le amministrazioni del sud pagano un forfait per il mantenimento dei cani nelle strutture di destinazione, almeno per i primi mesi. Spedire poi i cani lontani significa non poter controllare direttamente come vengono trattati dopo l’adozione o nelle strutture che li accolgono. 

Dal 1991, la legge quadro 281 ha vietato la soppressione dei cani, ha imposto ai Comuni di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e ha promosso la sterilizzazione delle femmine. Una politica che, se correttamente applicata, avrebbe portato in questi decenni all’estinzione dei meticci “indesiderati”, considerato che i cani non vivono più di 20 anni. Non è andata affatto così, soprattutto nelle regioni in cui la prospettiva delle sterilizzazioni è stata disattesa. I costi per i comuni sono esplosi (centinaia di migliaia di euro l’anno nelle città) e le mafie si sono interessate a questo business.

In Sicilia si è innescato un circolo vizioso: si rincorre costantemente l’emergenza (anche perché numerosi sono gli episodi di violenza e le soppressioni sommarie di animali da parte di criminali o di cittadini esasperati dal randagismo), quindi non si ha il tempo o la volontà di investire nelle sterilizzazioni, che darebbero frutti nel lungo periodo. Ma così il problema si perpetua. Accade che si spostino cucciolate anche senza assicurarsi che la madre sia stata sterilizzata prima della reimmissione sul territorio, lasciando fabbriche di cuccioli in circolazione.

Considerando il business che ne potrebbe derivare, da quanto sopra esplicato, speriamo che non sia generata volutamente tale condizione, al sol fine di “guadagnarne” e agevolarne l’aspetto affaristico speculativo,  a discapito di quello che invece, dovrebbe essere l’unico scopo raggiungibile, ossia, quello umanitario.

La Giurisprudenza ha chiarito che per integrare il reato in danno degli animali non occorrono lesioni necessariamente fisiche, ma è sufficiente la sofferenza degli stessi, poiché la norma mira a tutelarli quali esseri viventi in grado di percepire dolore, anche nel caso di lesioni di tipo ambientale e comportamentale (Cass. n. 46291/2003; Trib. Pen. Torino 25.10.2006). È chiaro che per ravvisarsi maltrattamento non è necessaria l’azione materiale di cagionare lesione ad un animale, ma sia sufficiente lasciarlo soffrire (per mancanza di cure, inedia, ecc.) attraverso condotte omissive consapevoli di tali inflizioni (Cass. n. 46291/2003). Per integrare il reato di maltrattamento è sufficiente anche il dolo generico ricavabile dal secondo requisito soggettivo, ovvero la mancanza di necessità. Per cui, ai fini del reato di cui all’art. 544-ter c.p. può bastare la coscienza e la volontà di causare sofferenze agli animali e l’accettazione di esse (Trib. Pen. Torino 25.10.2006).

Mariella Musso


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