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Confiscati investimenti per finanziare il superlatitante. Era stato operato a Messina

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Beni e conti correnti confiscati dalla Dia di Trapani a imprenditori di San Giuseppe Jato. Messina Denaro era stato operato in un ospedale di Messina.

La DIA di Trapani ha eseguito il sequestro di beni e di conti correnti riconducibili agli imprenditori di San Giuseppe Jato (PA), FICAROTTA Ciro Gino cl. 52, FICAROTTA Leonardo cl. 81 (figlio di Ciro Gino) e VIVIRITO Paolo cl. 79 (nipote di FICAROTTA Ciro Gino).

Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal Tribunale di Trapani – Sezione Penale e Misure di Prevenzione, su proposta del Direttore della DIA.

Nei confronti di FICAROTTA Ciro Gino (già coinvolto negli anni novanta in vicende giudiziarie per via dei suoi rapporti con i noti boss mafiosi Giovanni BRUSCA e Baldassare DI MAGGIO), del figlio e del nipote è stata proposta, inoltre, la misura della sorveglianza speciale di P.S., con obbligo di soggiorno, perché tutti indiziati di appartenere all’organizzazione mafiosa “cosa nostra”.

I presupposti che giustificano l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei tre imprenditori, con interessi economici nel trapanese, trovano fondamento nelle molteplici risultanze investigative provenienti dalle indagini giudiziarie sviluppate dalla DIA di Trapani e dall’Arma dei Carabinieri sulle infiltrazioni della mafia trapanese negli investimenti immobiliari sui terreni agricoli, offerti all’asta nell’ambito di procedure esecutive.

A seguito di tale vicenda, i citati soggetti, unitamente ad altri, sono stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, confermata dal Tribunale del Riesame.

Le attività investigative, con l’importante contributo di collaboratori di giustizia (FOGAZZA Attilio, NICOLOSI Nicolò e CIMAROSA Lorenzo) e la ri-valorizzazione dei dialoghi captati tra Vito GONDOLA (già reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo) e altri associati mafiosi – nell’ambito del procedimento finalizzato alla cattura del latitante MESSINA DENARO Matteo – avevano permesso di ricostruire gli interventi dell’associazione mafiosa, rappresentata nella circostanza da CRIMI Salvatore e GUCCIARDI Michele (ritenuti rispettivamente i capi delle famiglie mafiose di Vita e Salemi), nella gestione di una grossa operazione, finalizzata alla speculazione immobiliare attraverso l’acquisto, in un’asta giudiziaria, di una vasta tenuta agricola di oltre sessanta ettari (sita in località Pionica del comune di Santa Ninfa) e la successiva rivendita alla VIEFFE, società agricola riconducibile ai tre imprenditori di San Giuseppe Jato.

L’azienda agricola, di proprietà della moglie di SALVO Antonio, nipote dei noti esattori salemitani, i cugini Nino e Ignazio SALVO (quest’ultimo assassinato da Cosa nostra nel 1992, sotto la regia di cosa nostra trapanese), veniva formalmente acquistata all’asta da Roberto NICASTRI, ritenuto prestanome del fratello Vito NICASTRI, noto imprenditore del settore eolico, già sorvegliato speciale di P.S., per poi essere ceduta alla VIEFFE dei FICAROTTA e VIVIRITO, per l’importo di 530.000 euro.

Il prezzo di vendita reale dei terreni era, però, notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata versata da FICAROTTA Ciro Gino e dai suoi congiunti in contanti nelle mani dagli uomini di ‘cosa nostra’, per la loro attività di “intermediazione immobiliare”.

Secondo le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia CIMAROSA Lorenzo, parte di tale somma sarebbe stata destinata da GUCCIARDI Michele e Vito GONDOLA al mantenimento del latitante Matteo MESSINA DENARO, che l’avrebbe ricevuta per il tramite proprio di CIMAROSA Lorenzo e GUTTADAURO Francesco, nipote prediletto del latitante, in atto detenuto.

GUCCIARDI Michele avrebbe inoltre costretto l’originaria proprietaria dei terreni a rinunciare ai propri diritti di reimpianto dei vigneti insistenti sulla tenuta agricola, onde consentire agli imprenditori di San Giuseppe Jato di ottenere finanziamenti comunitari per seicentomila euro circa, in parte distratti per pagare il prezzo d’acquisto della tenuta stessa.

Inoltre, è emerso come nel corso di riunioni riservatissime si sia parlato anche delle sorti di altri terreni sottoposti a procedure esecutive, appartenenti invece a SALVO Antonio, marito di SALVO Giuseppa. Tali contesti erano finalizzati, altresì, alla veicolazione della corrispondenza (i cc.dd. “pizzini”) da e per il citato latitante, cui partecipavano gli stessi Vito GONDOLA, Michele GUCCIARDI e SCIMONELLI Domenico, della famiglia mafiosa di Partanna (tutti tratti in arresto nell’agosto 2015 proprio perché ritenuti al centro del sistema di comunicazione con il latitante).

Nel caso dei terreni di SALVO Antonio, comunque, l’infiltrazione progettata da Cosa nostra, sempre attraverso il nucleo familiare di FICAROTTA Ciro Gino (VIEFFE soc. agr.) non fu portata a termine per una contingente difficoltà nel reperire i fondi necessari e, in seguito, anche per il rifiuto dell’aggiudicatario di cedere alle “pressioni” mafiose.

A seguito di tali risultanze, il Tribunale di Trapani ha disposto il sequestro dell’intero compendio aziendale della Società Agricola semplice VIEFFE (di FICAROTTA Leonardo e VIVIRITO Paolo, ma riconducibile a FICAROTTA Ciro Gino), proprietaria della tenuta agricola di oltre sessanta ettari di c/da Pionica di Santa Ninfa, per un valore di mercato stimabile in circa un milione e mezzo di euro, oltre che di numerosi conti e depositi bancari.

Intanto si apprende che il superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa Nostra trapanese, sarebbe stato operato in un ospedale di Messina sotto false generalità, protetto a vista dai reggenti della famiglia stragista di Brancaccio.

La dirompente rivelazione è giunta all’ultima udienza del processo Borsellino quater contro gli autori della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, in svolgimento presso la Corte d’Appello di Caltanissetta.

Autore Gaspare Spatuzza, l’ex boss di Brancaccio responsabile dell’omicidio di padre Pino Puglisi, che dopo essersi convertito in carcere alla fede cristiana è divenuto il collaboratore di giustizia più importante per far luce su alcuni dei misteri delle stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Firenze e Milano e sul fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 2014.

Gaspare Spatuzza non ha fornito elementi utili a determinare la data in cui sarebbe stato effettuato l’intervento oculistico al superlatitante trapanese, ma è presumibile che esso si sia verificato in un arco temporale compreso tra la strage di Capaci (23 maggio 1992) e il dicembre 1995.

Il 6 febbraio 2019, nel corso di un interrogatorio con il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltanissetta Amedeo Bertone e il sostituto procuratore Pasquale Pacifico, Gaspare Spatuzza ha fornito altri importanti elementi sull’origine, la composizione e le modalità con cui furono preparati gli ordigni per la campagna stragista del biennio 1992-93 “Confermo le mie precedenti dichiarazioni in merito alla circostanza che mentre stavamo eseguendo la mietitura dell’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci con il Tinnirello ed il Lo Nigro, si discuteva che, nel tenere il computo dell’esplosivo da utilizzare, bisognava tenere conto di altro esplosivo proveniente da Catania o da Messina”, si legge nel verbale d’interrogatorio ancora in buona parte omissato.

A

dduso Sebastiano

 

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