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Adnkronos) – “Ho sempre detto che il calcio è un contratto di lavoro a tempo determinato, però bisogna pensare invece che la cultura, la formazione è qualcosa che nessuno mai potrà portarti via”.Lo dice all’Adnkronos l’ex difensore della Lazio e attuale tecnico della squadra della Luiss Guglielmo Stendardo, avvocato e docente del corso di diritto sportivo “Il giurista entra in campo” dell’ateneo privato romano.
L’occasione per parlare di calciatori e alta istruzione, non proprio un’accoppiata consueta, è la fresca laurea in Psicologia del capitano del Cagliari, Nicolas Viola, che a 32 anni ha conseguito la triennale. “Lo studio è una certezza, mentre lo sport è un qualcosa che educa, con dei valori precisi.Noi abbiamo fatto uno studio e viene fuori che il 70% dei calciatori di Serie A ha la terza media, il 26,2% ha il diploma e il 4,8% ha una laurea.
E negli ultimi anni il dato dei laureati è cresciuto”. “Anche se negli ultimi anni rileviamo una crescita, secondo me va fatto ancora tanto, perché la rivoluzione deve essere culturale: bisogna orientare, supportare e indirizzare gli atleti verso scelte consapevoli e profittevoli per il proprio futuro”, spiega Stendardo.Ne va anche nel futuro non solo economico ma anche motivazionale delle persone? “Certo, assolutamente, quindi bisogna orientare il calciatore nella prima fase della sua esperienza in campo e questo lo possono fare le famiglie, i genitori, le società, le istituzioni sportive.
Poi bisogna organizzarsi, e formarsi in un periodo ovviamente che va dai 18 ai 30 anni, e infine valorizzare queste competenze nel post carriera”.Come ha fatto lui, che è anche docente di diritto sportivo nell’ateneo di cui allena la squadra, attiva nel campionato di Eccellenza, oltre ad avere il patentino di allenatore Uefa. Nel suo studio, che dà anche il titolo al corso di diritto sportivo alla Luiss, Stendardo mette in risalto la necessità di avere una “doppia carriera”, tra sport e istruzione, per assicurarsi un futuro all’altezza delle aspettative che, spesso, risultano invece irraggiungibili proprio per la mancanza di formazione di alto livello. “Alcune ricerche dimostrano che, quand’anche si riuscisse a raggiungere il sogno di divenire un calciatore professionista (con ciò intendendo le tre categorie serie A, B, C) la realtà -si legge nel capitolo dedicato al post carriera- si dimostra spesso tutt’altro che rosea in termini di guadagni e prospettive future.
Il 55% dei calciatori professionisti guadagna meno di 50.000 euro annui.L’offerta di posizioni lavorative nel mondo dello sport è misera rispetto alla domanda eccessiva degli ex atleti, solo il 10% resta nel mondo del calcio.
Il 60% dei calciatori dopo 5 anni nel post carriera vive in uno stato di indigenza; Igli Tare, ex Direttore Sportivo della Lazio, intervenuto in Luiss lo scorso 15 ottobre 2022, ritiene la suindicata percentuale addirittura più alta, ovvero dell’87%.Le motivazioni sono diverse: investimenti sbagliati, tenori di vita alti, scarsa educazione finanziaria”. “Si tratta di una situazione delicata, sulla quale bisognerebbe intervenire.
Gli atleti professionisti durante la loro carriera e al termine della stessa possono affrontare innumerevoli difficoltà e problematiche, riassumibili in tre categorie: disagi psicologici, gap formativi e problemi economici collaterali.Per quanto riguarda il punto di vista psicologico, accade spesso che l’atleta definisca sé stesso solo attraverso lo sport, che faccia fatica a creare identità diverse rispetto a quella.
Tale identificazione unilaterale può portare all’ossessione per la propria prestazione sportiva, accompagnata da una comprensibile paura dell’insuccesso.Da ciò discende, inevitabilmente, un conflitto con la propria autostima e, per concludere, una perdita totale di interesse per le altre attività della vita.
In psicologia, si parla di un vero e proprio lutto, con ciò intendendo la perdita del ruolo di atleta, la realizzazione di non avere gli strumenti per iniziare una nuova carriera, l’assenza di stimoli o di opportunità e soprattutto un vuoto fisico ed emotivo difficilmente colmabile”. “Il dato forse più allarmante è però quello relativo alla cattiva gestione del patrimonio degli atleti.Secondo la ricerca condotta da Lombard International Assurance in Europa il 40% dei calciatori è a rischio di indigenza dopo 5 anni dal ritiro, nel Regno Unito la percentuale sale al 60%.
Le motivazioni sono molteplici: investimenti sbagliati, tenore di vita inadeguato e, come detto, problemi psicologici.Gli atleti spesso sono soli, non hanno modo di essere accompagnati e supportati nel processo di transizione dalla carriera sportiva verso il loro post carriera e, soprattutto, non posseggono gli strumenti per reinventarsi con successo”. —sportwebinfo@adnkronos.com (Web Info)