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Castellammare di Stabia

IN ATTESA DELLA VERITA’ SULLE STRAGI DI PALERMO. TESTIMONIANZA DEL PENTITO CALCARA

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(

Di Virginia Murru)

Dire qualcosa sui 25 anni di processi riguardanti le stragi di Palermo, significa introdursi, sia pure da cittadini comuni, in una fitta rete di accadimenti, tra i resoconti sommari (considerato lo spazio che consente un articolo) dei collaboratori di giustizia, e infine, nelle trame oscure dei tentativi di depistaggio, che hanno offeso ancora di più la memoria delle vittime.

Povera Italia, sempre imbavagliata, messa a tacere in un angolo, mentre illustri innominati ne guidano i passi, senza il coraggio di mostrarsi a volto scoperto, di rispondere all’appello della Giustizia quando chiama. 50 anni di storia violenta alle spalle, di stragi e vittime,  fiumi di sangue e  lacrime. Possibile che tutto questo debba dissolversi nel nulla, che tanto male debba essere immolato alla causa del tacere (e del potere)?

Sono questi i veri “non luoghi a procedere” che bloccano la Verità.

Possibile che sia questo il modo migliore per andare incontro alla svolta? Non si può passare in una sponda più degna così, per scrivere parole nuove è necessario che si abbia il coraggio di dire basta. Basta alla corruzione, alla sopraffazione, basta soprattutto alla violenza chiara e occulta. Basta all’insidia del silenzio. Un Uomo ha altre prerogative più degne, un Uomo sbaglia, anche, ma non può contraffare la propria natura fino a questo punto. Eppure, i veri mandanti, ossia la Verità ultima delle stragi di Palermo (e non solo), è ancora preclusa.

In nome di coloro che sono passati sotto i cingoli spietati del potere violento, è necessario lottare per la verità e la trasparenza nell’attività delle Istituzioni.

Il giudice Antonino Di Matteo, il 17 settembre scorso, in audizione al Csm, ha fatto un bilancio positivo sui 25 anni di processi contro i responsabili delle stragi del ’92/93, e l’accertamento della verità sulla trattativa Stato-mafia. Il magistrato ha chiesto che l’audizione fosse pubblica, Radio Radicale (e non solo) ha infatti registrato tutto il suo intervento.

Sostiene il magistrato : “non è vero che tutti questi anni di indagini e ricerca della verità siano stati inutili, intanto sono state inflitte pene esemplari, l’irrogazione di 26 ergastoli è già una prova”.

E aggiunge: “Su via d’Amelio siamo  ad un passo dalla verità. Mai come ora siamo stati vicini all’accertamento dei fatti riguardanti le stragi di Palermo . E questo grazie al mio contributo  e a quello di altri magistrati. Non è giusto che questi magistrati siano oggi accostati a depistaggi, l’ accusa è strumentale a chi non vuole che si vada avanti”.

Sembra retorico chiedersi perché è necessario andare oltre. La risposta è evidente:  nonostante i progressi, restano tante ombre e interrogativi sulle stragi. Su Via D’Amelio, per esempio, non è stato affrontato  solo il depistaggio legato alle false affermazioni del pentito Scarantino, che ha ritardato il corso della verità. C’è anche quello che riguarda l’agenda rossa del giudice Borsellino. I giudici della Corte d’assise l’hanno definito come il “depistaggio più grave della storia”. Proprio alcuni giorni fa sono stati rinviati a giudizio tre poliziotti, accusati “di avere favorito la mafia, tramite una falsa ricostruzione della fase esecutiva della strage, che ebbe come conseguenza la condanna all’ergastolo di sette mafiosi, estranei all’attentato”.

Nelle vicende di mafia concernenti gli anni ’80 e ’90, c’è anche un testimone di giustizia piuttosto noto, Vincenzo Calcara – il quale, avendo fatto parte, fino  al ’91, dell’organizzazione mafiosa in qualità di uomo d’onore ‘riservato’ (‘riservato’ perché non era conosciuto dagli altri membri dell’organizzazione), al servizio di Francesco Messina Denaro – avrebbe voluto essere ascoltato dai giudici che si sono occupati negli ultimi 25 anni della strage di Via d’Amelio.

Vincenzo Calcara ha scritto un memoriale, pubblicato peraltro  nel blog di Salvatore Borsellino (ma anche in altri), la sua è una storia lunghissima e travagliata, che per ovvie ragioni di spazio non può essere riportata per intero in un articolo. Egli ha tuttavia riferito fatti nelle sedi opportune che sembrano inverosimili, ma si tratta di testimonianze rese a suo tempo  al giudice Paolo Borsellino, il quale ha preso nota per mesi delle sue rivelazioni, sul finire del ’91, e nel ‘92, fino a poco prima della strage  in cui, insieme alla sua scorta, fu assassinato.

Il rapporto tra il testimone di Giustizia e il giudice, fu di rispetto reciproco, nonostante la scioccante rivelazione del Calcara, il quale gli confidò di avere ricevuto, poco tempo prima del suo arresto, l’incarico da parte del capo famiglia  Francesco Messina Denaro di Castelvetrano,  di ucciderlo con un fucile di precisione, nella statale tra Palermo e Agrigento. Qualora si fosse decisa la strage attraverso l’uso del tritolo, e dunque con un’autobomba, avrebbe dovuto svolgere un ruolo di copertura.

“Di quel Borsalino –  pare avesse detto in modo sprezzante il boss – non devono restare nemmeno le idee..”

Per chi volesse conoscere la testimonianza di Vincenzo Calcara, basta leggere i suoi memoriali. Le video interviste e la partecipazione a tante trasmissioni televisive, inoltre, rendono l’idea dell’attaccamento alla memoria del giudice Borsellino, e al rispetto sempre dichiarato  nei confronti della sua famiglia.

Da anni è uscito fuori dal programma di protezione, vive con la moglie e le quattro figlie, ma gli resta il rammarico di non essere stato ascoltato abbastanza in ambito giudiziario. Solo il giudice Borsellino gli aveva prestato la dovuta attenzione. Vincenzo Calcara vorrebbe offrire il suo contributo per il riscatto della verità, ma non è stato messo a confronto  con i pentiti più seguiti sia nei processi svoltisi a Caltanissetta che a Palermo.

Tanto è stato l’impegno della Magistratura per la ricerca della verità, e tuttavia un’infinità d’interrogativi restano ancora senza risposta, perché mancano i nomi e i volti dei veri direttori d’orchestra, ossia le cosiddette ‘entità’ di un potere occulto che dietro le quinte sembra sia stato il vero regista. E’ il muro più ostinato, invalicabile fino ad ora, col quale i magistrati si sono misurati. Sono quelle ‘menti raffinatissime’ alle quali faceva riferimento  il giudice Falcone.

Questi misteri sono le ‘terre irredente’ della giustizia, rappresentano la porta blindata delle istituzioni deviate che fu interdetta a Borsellino, e ai giudici coraggiosi come lui, che hanno pagato con la vita l’ardire di condurre le indagini negli angoli più oscuri della vita della Nazione. Che hanno vissuto di tradimenti e detrazioni, hanno respirato l’aria piena di veleni e sospetti di chi era già inviso alla verità e alla giustizia. Una terribile lotta in sordina tra bene e male, dove la distanza, tra irreprensibilità e corruzione, è davvero una questione di maschere. Chi ha osato inoltrarsi in questi fondali limacciosi, aveva solo il fine di portare in superficie la verità; unico obiettivo che ha distinto  l’operato delle persone cadute sotto gli strali di queste forze oscure. Ma qui la verità è avvolta davvero da una spessa coltre  di nebbia, non è un percorso illuminato, non si può andare oltre.

Occorrerebbe ora un altro ordine di pentiti, come scrive la rivista on line Antimafia Duemila: proprio quelli che si riparano dietro il paravento di cariche pubbliche, Istituzioni. Persone che conoscono risvolti inediti, in grado di spalancare la porta più inaccessibile: la Verità ultima sulle stragi. Ossia coloro che hanno sempre considerato il potere violento alla stregua del fine che giustifica i mezzi.

Il collaboratore di giustizia Antonino Giuffré, nei suoi resoconti, è stato molto più onesto di altri, meno strumentale nei confronti di altri pentiti, ha almeno fatto riferimento a questi presunti poteri occulti che agivano in concerto con i criminali mafiosi.  Così come Leonardo Messina, anch’egli nel ’92 riferì al giudice Borsellino particolari e nomi utili alle indagini, grazie al suo contributo furono arrestati 200 uomini d’onore ( fu definita  ‘Operazione Leopardo’).

A Vincenzo Calcara, dopo avere ascoltato con attenzione i fatti che ha raccontato, ho rivolto alcune domande. Devo precisare che la registrazione è troppo lunga, il pentito è un torrente in piena, e per ragioni di spazio ho dovuto riassumere ed estrapolare i dettagli che ritenevo più rilevanti.

 Sig. Calcara, lei ha sempre dichiarato la sua perplessità sul fatto che, pur essendo stato un testimone di giustizia, che ha goduto della fiducia del giudice Borsellino, non è stato coinvolto nel corso dei tanti processi condotti sulle stragi, lei avrebbe voluto che le si chiedesse anche solo una conferma, un confronto, con le confessioni di alcuni pentiti.

Quali sono a suo avviso gli angoli ancora oscuri sui quali è necessario fare luce, al fine di arrivare alla verità  dei fatti criminali legati a cosa nostra, e quale contributo potrebbe dare in questo versante?

Sono tanti ancora gli angoli oscuri sulle stragi, io avrei voluto offrire il mio contributo, mi sarei reso utile, perché avere militato nell’organizzazione mafiosa nel ruolo di ‘uomo riservato’, significa venire a conoscenza di fatti importanti. In questo senso mi sento frustrato, vorrei veramente essere almeno messo a confronto con i collaboratori che non hanno detto tutta la verità.

Sono entrato a fare parte di cosa nostra il 4 ottobre del 1979, nel 1981 io ero sorvegliato speciale, con una condanna a 15 anni di carcere per omicidio, ero un uomo libero perché aspettavo la sentenza della cassazione. In quel periodo fui assunto nell’aeroporto di Linate a Milano, con tanto di cartellino al collo, nella dogana; ma lo scopo non era il lavoro in sé quanto favorire i traffici di droga, e proteggere i colli dalle ispezioni delle forze dell’ordine.

Per questo ‘lavoro’ l’Istituto previdenziale mi ha versato i contributi.. Nessuno ha mai fatto i dovuti controlli al riguardo. Come poteva un pregiudicato come me entrare in un posto così delicato come la dogana di un aeroporto tanto importante, se non grazie a complicità che stavano veramente in alto?

E’ tutto verificabile. Lo affermo limpidamente, proprio per dimostrare che la Giustizia su tanti aspetti che riguardano la criminalità organizzata, è arrivata in ritardo, e su tanti altri forse deve ancora arrivare.

Ho trasportato droga e armi sul finire degli anni ’80 con persone affiliate alla Ndrangheta, io in seguito alla mia scelta di collaborare con la Giustizia, ho segnalato questi fatti con nomi e cognomi, e grazie  alla mia testimonianza sono stati identificati, processati e condannati.

Sig. Calcara, è semplice dedurre dalle sue testimonianze, che ha un grande rammarico, ossia non avere avuto l’opportunità di parlare di importanti fatti dei quali è venuto a conoscenza, o per esperienza diretta, nelle sedi opportune. Soprattutto – lei dice – di non essere stato messo a confronto con tanti collaboratori di giustizia, che a suo avviso, non solo non hanno detto la verità su questioni importanti riguardanti le stragi, ma si sono resi responsabili di  omissioni, che avrebbero acceso una luce più chiara sulle indagini. Con quali pentiti avrebbe voluto confrontarsi nei processi?

Con diversi pentiti, in particolare con Giovanni Brusca, che era figlio di un capo mandamento (S. Giuseppe Jato) e a sua volta, dopo la scomparsa del padre, è stato lui a tenere le redini. Ci sono diversi vuoti nelle testimonianze del Brusca, in particolare non ha parlato dei poteri occulti, quella linea trasversale alla criminalità organizzata siciliana, e non solo. Avrebbe dovuto parlarne, perché sicuramente, questi personaggi ancora senza un nome, hanno difeso e protetto gli interessi della sua famiglia, quindi sa molto di più di quanto abbia dichiarato. Le mie rivelazioni su questo punto, sono state confermate dalle testimonianze di Antonino Giuffré, anch’egli collaboratore di Giustizia, Leonardo Messina, ed altri pentiti.

Ma dei poteri forti ormai sono in tanti ad  averne parlato,  i giudici dopo anni d’indagine, si sono persuasi che esista una linea di convergenza d’interessi con l’organizzazione mafiosa, del resto tanti sono i testimoni di giustizia che hanno parlato di servizi segreti deviati, e purtroppo di uomini delle istituzione coinvolti a vario titolo in complicità sconcertanti. Ai poteri occulti si è riferito Walter Veltroni, Piero Grasso, e tantissimi giudici che sono pervenuti a questa conclusione, dopo fiumi d’interrogatori ai collaboratori di giustizia, e  conclusioni scaturite dalle indagini. Se ne parla ormai apertamente, non ne parlo solo io, non è un mistero per nessuno che dietro le stragi vi sia una verità sommersa, coperta,  proprio perché riguarda personaggi ‘intoccabili’, purtroppo spesso ‘irreprensibili’ davanti alla gente. Lo so che non è facile,  è un’impresa arrivare al capolinea della Verità che riguarda poi tutte le stragi commesse in Italia. Questo lo so bene.

Io sono convinto che esiste una ‘Commissione nazionale’, della quale fanno parte anche esponenti delle organizzazioni mafiose, siciliane e calabresi, e questa Commissione è potentissima. Ma sono altrettanto convinto che esista anche un riferimento internazionale. Certi fatti gravissimi, come sono state le stragi, non potevano essere organizzate solo dalla criminalità organizzata, dietro ci sono altri referenti, complicità e collusioni ad altissimo livello. Del resto, il giudice Falcone parlava di “menti raffinatissime..” E se ne stava convincendo anche il dottore Borsellino, per questo doveva sparire.

Una parte della politica siciliana, ormai è noto, era collusa con la mafia, e basterebbe citare Salvo Lima, Vito Ciancimino, e tanti altri nomi illustri, per capire quanti scambi di favori ci fossero dietro l’apparente irreprensibilità di certi personaggi. Non si dimentichi che i collegamenti tra esponenti di primo piano della politica nazionale con i boss di cosa nostra sono stati provati, e se gli interessati  non sono stati condannati è dipeso dallo scadere dei termini di prescrizione del reato di associazione per delinquere/ mafiosa (caso Andreotti).

Signor Calcara, sappiamo che i depistaggi che hanno riguardato la strage di Via d’Amelio, hanno concorso a ritardare l’esito delle indagini, e che alcuni pentiti, con le loro false rivelazioni, ne hanno deviato il corso. Ma comunque si è fatta luce, sia pure dopo diversi anni, soprattutto grazie al contributo di testimoni di giustizia più attendibili e coerenti con il reale svolgimento dei fatti. Ci sono stati 26 ergastoli e tante altre condanne per concorso in strage, ma la verità, tutta la Verità, sembra ancora sulla Via di Damasco. 

Sì, è vero, ma perché? Certamente, ci sono stati ritardi perché purtroppo si è concessa fiducia troppo presto a falsi pentiti come Scarantino, non tutti i cosiddetti collaboratori di giustizia sono affidabili, molti usano la Giustizia e i vantaggi che ottengono con le loro confessioni, ma fanno affermazioni non corrispondenti al vero, e soprattutto non dicono tutto quello che sanno.

Lei cosa mi dice sui tanti depistaggi legati alla sparizione dell’agenda rossa del giudice Borsellino, conosce dettagli importanti al riguardo?

Cosa posso dire.. io prima di tutto quell’agenda l’ho vista più volte nelle mani del dottore Borsellino, lui annotava anche davanti a me dettagli che erano importanti per le indagini. Non conosco i nomi di coloro o di chi l’hanno resa irreperibile. Non ho certezze, ma sono convinto che l’agenda, per il valore del suo contenuto, sia oggetto di ricatti proprio all’interno di questo sistema di poteri occulti e deviati di cui ho già accennato. Il notaio Salvatore Albano era molto probabilmente un tramite tra queste entità, che hanno un potere enorme.

Io ho conosciuto il notaio Albano, avevo portato di persona, una decina di miliardi che dovevano essere ‘ripuliti’. Lo stesso Brusca ha confermato in una deposizione, che il notaio in rappresentanza di un noto esponente politico, aveva fatto avere un regalo alla figlia di uno dei fratelli Salvo che si era sposata.

Altro sull’agenda rossa non so, ma direi che la sua sparizione  è la prova del fatto che esiste una gerarchia di poteri forti, e che il destino del giudice Borsellino è stato forse deciso in “alte sfere”, così come l’agenda è stata sottratta per le stesse ragioni: perché la verità è scomoda. Del resto anche il suo ufficio era stato ‘visitato’ subito dopo la strage, e documenti importanti sono stati portati via.

E non è la prima volta, è stato fatto anche dopo la strage di Capaci, con documenti e prove importanti in mano del dottore Falcone. Ma anche a casa del generale Dalla Chiesa, erano arrivate puntuali le visite nella sua abitazione, dopo la strage.

Stiamo ancora a chiederci le ragioni? Ci chiediamo ancora perché la villa di Totò Riina non è stata perquisita, e non è stata chiusa e sigillata dopo avere portato via documenti sicuramente importantissimi ai fini delle indagini? La sua villa è rimasta senza un’ispezione per settimane, il tempo necessario alla mafia di ripulirla bene, perfino imbiancare le pareti..

Sig. Calcara, lei ha parlato in più occasioni delle “cinque entità”, ossia un insieme di poteri occulti del quale fa parte la criminalità organizzata, istituzioni deviate, servizi segreti ecc. E tuttavia  non può provare l’esistenza di questa Commissione nazionale..

Ma esiste! E come ho già avuto modo di sottolineare, a questi poteri deviati fanno riferimento in tanti, tutte persone rispettabili e non compromesse con la giustizia. Non è un mio delirio. Si dovrebbe indagare ora in questa direzione, perché qui si troveranno le risposte ai tanti interrogativi che hanno interessato la storia d’Italia negli ultimi cinquant’anni, se non anche prima.. Qui è la verità, lo sostengono ormai in tanti, come bisogna dirlo?

L’ultima domanda: come mai sig. Calcara è uscito fuori dal programma di protezione?

Sono uscito fuori volontariamente, in seguito ad un rinvio a giudizio per calunnia, dichiarazioni ritenute false, ma io ho detto la verità riguardo ai dieci miliardi consegnati al notaio, per questo mi sono rivoltato verso questo trattamento. Ne avevo parlato con la moglie del giudice Borsellino, la sig.ra Agnese, la quale mi aveva assicurato, che in mancanza di un aiuto da parte dello Stato, avrebbe pensato la sua famiglia a trovarmi un lavoro, e infatti lo ottenni. Con mansioni di custode lavorai in un convento al nord. Ho ricevuto sostegno morale ed economico dalla stimatissima famiglia Borsellino, e non finirò mai di essere loro grato per tutto il bene che hanno fatto a me e alla mia famiglia.

Grazie, sig. Calcara della sua testimonianza.

Il giudice Roberto Scarpinato, in un’intervista, definisce l’agenda rossa come “una sorta di promemoria dell’indicibile”. E aggiunge: “forse le tracce che portano a questi ‘indicibili’ sono proprio nell’agenda  del giudice scomparso”.

E basterebbero le conclusioni di questo giudice coraggioso a fare riflettere: “L’Italia è un Paese democraticamente immaturo, che non ha mai saputo fare i conti con il proprio passato”.

Lo stesso giudice Paolo Borsellino confidò alla moglie, poche settimane prima della strage: “sarà la mafia a uccidermi, ma altri a deciderlo..”

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