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Migranti, emergenza Milano

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Milano accoglie in questi giorni almeno 3300 migranti. È un record che richiede l’attività di centinaia di associazioni e mette a dura prova la metropoli. A parlarne e a dare l’allarme ci ha pensato il comune che ha allertato le associazioni e, Gorla e Moscatelli, con un articolo su la Stampa, ne danno diffusione.

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Confine sigillato, a Milano approdano 3300 migranti SIMONE GORLA, FRANCESCO MOSCATELLI

La città scoppia, allarme del Comune alle associazioni. L’assessore: “Assurdo, più facciamo più ce ne mandano”

MILANO «Nelle ultime due notti lo sforzo di accoglienza a cui siamo stati costretti all’hub di via Sammartini ha raggiunto livelli mai visti prima. Vi chiediamo un impegno ulteriore». Le frontiere di Ventimiglia e di Como-Chiasso sono chiuse e la Milano che apre le porte ai migranti, la «Milan col coeur in man», rischia di trasformarsi nel collo dell’imbuto e di pagare il prezzo più alto dell’ennesima estate di emergenza.

Il campanello d’allarme è squillato all’alba di domenica. Una mail urgente dell’assessorato ai Servizi sociali chiede alle associazioni in prima linea nell’ospitalità di dare fondo a tutte le energie. Perché? In città ci sono 3300 migranti, un record assoluto. Per dare un letto a tutti hanno aperto due strutture temporanee a Bruzzano e a Quarto Oggiaro, e i centri esistenti hanno utilizzato ogni metro quadro disponibile.

Nell’hub di via Sammartini, a due passi dalla stazione Centrale, oltre 400 persone sono state stipate in uno spazio pensato per ospitarne un centinaio. Sono eritrei, etiopi, somali e sudanesi, molti minorenni soli, ma anche famiglie con bambini. Nella loro testa Milano dovrebbe essere solo un punto di passaggio, una sosta di due o tre giorni per riposarsi e organizzare l’ultima parte del viaggio verso il Nord Europa.

Ogni etnia ha i suoi canali illegali per lasciare l’Italia e i suoi indirizzi a cui chiedere aiuto. I migranti del Corno d’Africa fanno la spola con la vicina Porta Venezia, il quartiere eritreo di Milano, dove la rete dei passatori ha le sue basi fra i call center e i locali che offrono Zighni di carne e di pesce. Peccato che da un mese a questa parte tutte le rotte siano chiuse. A Como 500 persone bivaccano in stazione dal 15 luglio perché la polizia di frontiera di Chiasso non fa passare nemmeno i minorenni. Qualcuno si affida ai valichi dei vecchi contrabbandieri tra il lago Maggiore e il Lario, ma la maggior parte si ritrova in un limbo senza uscita, anche perché le autorità elvetiche pattugliano i cieli con i droni capaci di fare mappature termiche del territorio.

In via Sammartini conoscono bene la storia. «Fino all’anno scorso affrontavamo grandi masse di migranti, ma si trattava di persone in transito – racconta Fabiana Longo, responsabile di Progetto Arca, la Onlus che gestisce la struttura -. Oggi chi arriva non riesce a ripartire e, messo alle strette, finisce per chiedere asilo in Italia». I numeri lo confermano: nel 2014 lo 0,3% dei migranti aveva come destinazione finale l’Italia, nel 2015 la percentuale è cresciuta al 4,8% mentre oggi siamo al 49,3%, uno su due. Così i tempi si allungano: nel 2015 la permanenza media nelle strutture di accoglienza cittadine era di 6 giorni, oggi è di 20. Senza contare che Milano spesso deve gestire anche centinaia di persone assegnate ai centri di altre regioni, ma che appena riescono a raccogliere i soldi per il viaggio ripartono verso Nord. «La nostra città sta facendo un mezzo miracolo, però è pazzesco il modo in cui siamo beffati – si sfoga l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino -. Facciamo più degli altri e ce ne mandano sempre di più. Siamo al limite e alla prossima ondata rischiamo di lasciare la gente in mezzo alle strade». Un incubo che fa passare notti insonni anche al sindaco Beppe Sala. Da quando è stato eletto chiede aiuto a Regione e governo ma le richieste di spazi – dal campo base di Expo alle ex caserma di via Corelli – cadono nel vuoto. Su questo tema, poi, la Lega ha deciso di andare allo scontro frontale. «Non sono profughi ma clandestini che vanno rimandati a casa», ha detto ieri il presidente della Lombardia, Roberto Maroni. «Non vogliamo né tendopoli né caserme» ha ribadito il deputato leghista Nicola Molteni.

In mancanza di soluzioni stabili e di un accordo politico, Milano si arrangia come può. All’oratorio di Bruzzano tutto si regge sulle spalle della Casa della Carità, a cui danno una mano i detenuti del carcere di Bollate. «Ospitiamo fino a 90 persone, senza un solo euro di finanziamento pubblico», racconta Roberta Frigerio, una delle volontarie.

La palestra del centro di via Aldini, a Quarto Oggiaro, è una distesa di brande. «Gestire 100 persone che si fermano per settimane o mesi è molto faticoso – spiega Saif Abouabid, coordinatore del dormitorio – . Ci stiamo riorganizzando». Con lui lavora Mujahed Abbas, fuggito due anni fa dalla Siria. La sua testimonianza fa riflettere: «Lavoravo come mediatore nei campi profughi palestinesi. È incredibile, ma in Italia faccio lo stesso lavoro».

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