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L’Italia a scartamento ridotto per troppi cittadini

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Anche Emanuele Felice, nel suo articolo di oggi, analizza la situazione delle linee ferroviarie a scartamento ridotto che permangono in Italia. Situazione che ha portato alla strage di ieri, in Puglia, su una delle tante linee a binario unico che ancora restano in Italia a fornte di altre ad altissima velocità, anche per le merci che, a questo  sembrano più importanti di alcuni cittadini.

Quei viaggi a scartamento ridotto EMANUELE FELICE

I

n Italia corrono 9.200 chilometri di linee a binario unico. Sono oltre la metà, il 55 per cento del totale: una quota rimasta pressoché immutata negli ultimi cinque anni, cioè da quando, per l’intensificarsi della crisi economica, si è arrestata l’opera di modernizzazione delle tratte secondarie.

Nello stesso periodo, e per lo stesso motivo, dalle Regioni sono stati tagliati i finanziamenti ai gestori di quelle linee, bisognose di contributi pubblici perché meno remunerative. È questo il motivo per cui nelle tratte secondarie l’Italia è rimasta indietro rispetto agli altri grandi paesi europei (con la sola eccezione del Regno Unito): sia per le condizioni della rete, sia per la gestione del servizio.

Ma nell’ultimo decennio l’Italia ha fatto invece grandi, enormi progressi nell’alta velocità: nuove linee sono state inaugurate, che hanno letteralmente cambiato la mappa geografica della penisola, nuove stazioni costruite, nuovi treni e servizi offerti ai viaggiatori. Siamo anche stati fra i primi in Europa ad avviare un effettivo processo di concorrenza, con l’arrivo di Italo a sfidare Trenitalia, e un significativo beneficio per i viaggiatori in termini di prezzi e condizioni. Chi si sposta per affari fra le due capitali del Paese, gode oggi di un servizio fra i più avanzati in Occidente, che (nonostante qualche ritardo) poco ha da invidiare alla Germania o al Giappone. Ma chi deve muoversi lungo linee minori, e specialmente al Sud, si trova catapultato in un altro mondo, come se il tempo non fosse passato. Inchiodato a Eboli.

Questo dualismo è conseguenza delle riforme introdotte alla fine degli Anni Novanta, e delle modalità con cui sono state implementate dagli operatori e dai poteri pubblici. Ottemperando alla normativa europea, nel 1999 il governo D’Alema ha liberalizzato il settore, scorporando in due le Ferrovie dello Stato: una società per la gestione dei binari e delle stazioni, la Rete ferroviaria italiana, cui è stato assegnato anche tutto il personale preposto alla circolazione e agli scambi, dai deviatori ai manutentori della linea; una società per la gestione del servizio, Trenitalia, che ha mantenuto invece locomotive e carrozze e il personale dei treni. Un’analoga separazione tra infrastrutture e servizi avveniva anche sulle reti locali non di proprietà Fs. Con questo nuovo assetto, sulla gestione del servizio possono ora operare più società in concorrenza fra loro; tutte, anche Trenitalia, devono pagare un pedaggio alla società gestrice della rete, che sull’infrastruttura rimane l’unico monopolista. Da notare che tale sistema è molto diverso da quello in vigore nell’Ottocento, prima della nazionalizzazione delle strade ferrate: allora i singoli gestori, privati, avevano in concessione tutto il pacchetto, cioè binari, stazioni e treni. Ma quell’assetto era generalmente ritenuto inefficiente e costoso, tanto che quando nel 1905 le ferrovie furono nazionalizzate, il servizio migliorò considerevolmente.

Adesso il sistema, di nuovo liberalizzato, è diventato più razionale? Solo in teoria. Perché rimangono le profonde differenze fra le linee; e vi si aggiungono ora quelle fra le Regioni, dal 1997 preposte alla gestione dei trasporti nei rispettivi territori. Nei fatti, la concorrenza si è realizzata solo sulle reti a più alta percorrenza, le uniche che, poiché servono una domanda molto ampia, hanno buoni margini di profitto. Le linee locali, invece, non sono profittevoli. Dovrebbero essere gestite come servizio pubblico, da sovvenzionare per garantire i necessari collegamenti interni: è evidente che la soluzione ai loro problemi non può essere la concorrenza, bensì il coordinamento, per ridurre i costi e offrire ai cittadini migliori servizi; ad esempio integrando trasporti su rotaia e su gomma, cioè i treni e i bus. Ma qui tutto dipende dalle Regioni. Fra crescenti difficoltà di bilancio, ogni Regione ha proceduto in modo autonomo e, come di norma, gli esiti sono stati differenziati. Così in Alto Adige e in Lombardia, o in Emilia-Romagna, si sono avuti tutto sommato buoni risultati, migliori che nel Meridione. Il divario Nord-Sud si è ulteriormente allargato.

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