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Per l’Europa è tempo di far squadra STEFANO STEFANINI *

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STEFANO STEFANINI

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La cenere si sta ancora posando sugli attentati e sulle vittime di Zaventem e di Maelbeek. Bruxelles alla vigilia di Pasqua è una città ferita che teme il peggio. Quanti terroristi sono ancora in fuga? Dove? Rintanati in quartieri dai nomi ormai tristemente famosi? Quanto diffusa la rete di complicità o omertà che li circonda?Sta drammaticamente venendo a galla l’impreparazione europea nell’affrontare la serpe in seno del terrorismo.

Il dipanarsi della matassa investigativa ha messo impietosamente a nudo gli errori e le manchevolezze del Belgio. Le dimissioni, respinte, di due ministri, Interno e Giustizia, ne rivelano la profondità.

Anziché salire in cattedra gli altri Paesi europei farebbero bene a fare un esame di coscienza – c’è da augurarsi che lo abbiano fatto i ministri riunitisi giovedì a Bruxelles. Innanzitutto per aver tollerato la falla nella capitale d’Europa, mettendo a rischio leader e politici nazionali che vi si recano regolarmente (per non parlare del crogiolo dei loro cittadini – le vittime del 22 marzo sono un mosaico internazionale). In secondo luogo, perché il filo che collega gli attentati di Parigi e di Bruxelles e l’andirivieni dei jihadisti in Europa e, via Turchia, verso i campi di proselitismo e addestramento in Siria (magari domani in Libia), avrebbe potuto essere spezzato da una più incisiva e organica condivisione d’intelligence e di polizia.

L’Europa è in ritardo. Il combinato disposto di Parigi e Bruxelles rivela lacune di collaborazione che fanno sembrare peccati veniali quelle emerse fra le agenzie di sicurezza americane dopo l’11 settembre. All’attacco di Al Qaeda, oltre che con un impegno militare esterno che gli tagliò la testa, l’America reagì rompendo i compartimenti stagni del sistema interno e con l’imperativo categorico della circolazione informativa. Si può discutere di alcuni metodi, ma non dei risultati: da allora, sotto due Presidenti, gli Stati Uniti sono stati graziati dagli attentati del terrorismo internazionale organizzato, non certo per benevolenza jihadista. Non sono invulnerabili ai cani sciolti di Boston e San Bernardino, ma sono certo molto più sicuri.

Rispondere su base nazionale alla sofisticazione transnazionale dello Stato Islamico è come giocare in Serie A con una formazione raffazzonata di mediocrità e di talenti. Per bravi che siano alcuni giocatori, si perderà sempre per superiorità di gioco di squadra dell’avversario. All’Europa serve ora il gioco di squadra. Ma non lanciandosi dietro a formule vuote, come «l’unione della sicurezza», o fantasticando nuove istituzioni o uffici. E’ l’ultima cosa che vogliono gli europei, l’ultima che li rassicurerebbe. Serve la volontà politica dei governi. Serve, oggi contro il terrorismo, la determinazione di uomini come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Louis Freeh che negli Anni 90 inventarono la cooperazione contro la criminalità organizzata. Servono cose concrete come la guardia costiera europea, il rafforzamento di Frontex, lo scambio quotidiano e in tempo reale di dati. Tutte cose che si possono fare con le strutture esistenti – basta volerle.

Non c’è neppure bisogno di cessioni di sovranità. Silenziosamente, alcuni anni fa, sotto la guida dell’allora Vice Segretario Generale Claudio Bisogniero, la Nato portò a termine un’efficace «fusione» d’intelligence. Rispetta le prerogative nazionali e non ha richiesto nuove risorse.

L’Ue può intervenire incisivamente sul contrasto ai finanziamenti e alla linfa dei traffici illeciti, dalle armi al banale ma lucrativo contrabbando di sigarette. Per funzionare Stato Islamico e cellule terroriste hanno bisogno di soldi, tanti soldi. Il G7 ha maturato esperienza e capacità in questo campo. E’ venuto il momento di collaborare a tutto campo con gli americani su scambio dati e controllo identità viaggiatori. Chi accampa il feticcio della privacy per opporvisi farebbe bene a visitare la carneficina dell’atrio partenze dell’aeroporto di Bruxelles. Altre misure di protezione fisica, tipo il filtro degli ingressi, sposterebbero semplicemente il bersaglio all’esterno, senza parlare di costi e disagi. L’equilibrio fra privacy e sicurezza è solo questione di buon senso.

 

L’Europa oggi ha molto da imparare. Speriamo che impari la lezione giusta.

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