Politica – UGO MAGRI
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OLITICA – C’è un’espressione che Renzi si guarda bene dal pronunciare, ma nel suo mondo circola con insistenza: «giustizia a orologeria». Amici fidati del premier vedono (o credono di scorgere) i segni premonitori di un nuovo protagonismo giudiziario. Temono che una parte delle toghe voglia profittare dei prossimi passaggi politici – le elezioni nelle grandi città , il referendum costituzionale d’autunno – per assestare un colpo al capo del governo e al partito di cui Renzi è il leader. In altre parole, provano la sgradevole sensazione di sentirsi nel mirino delle procure.
Non esattamente come lo fu Berlusconi, anzi il paragone verrebbe considerato oltraggioso dal presidente del Consiglio, però con qualche tratto in comune.
Per esempio, dell’inchiesta di Potenza sui petroli viene contestato il metodo. Che consiste nell’isolare e descrivere un sistema di potere, in questo caso del Pd in Basilicata, per poi cercare a strascico le prove del malaffare che lì e più in alto loco si sarebbe consumato. Dalla Guidi il premier ieri ha preso congedo senza rimpianti, ha colto anzi l’occasione per rivendicare la novità dei ministri che finalmente si dimettono alla prima telefonata «inopportuna», non come prima che restavano incollati alla poltrona. Però l’inchiesta di Potenza non si ferma qui, il premier ne è consapevole. Procede sulla base di un’ipotesi criminale che in Italia è al suo debutto: il cosiddetto «traffico di influenze». Cioè gli scambi di favori tra lobbismo e sottobosco del potere, in quella zona d’ombra dove il confine tra lecito e illecito è sempre stato incerto, spesso indefinibile. E adesso, con l’avvento di questo nuovo reato, lo diventa ancora di più.
È in fondo, a guardar bene, lo stesso mix di affari e politica locale che emerge dalle vicende di Banca Etruria, per cui risulta indagato Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena. Circolano da giorni i «rumor» di nuovi prossimi sviluppi giudiziari, figurarsi se a Palazzo Chigi non ne sono al corrente. Così come non è sfuggita a ottobre la proroga dell’inchiesta genovese che riguarda Tiziano Renzi, babbo del premier, da due anni sulla graticola (un tempo particolarmente lungo). Il sospetto è che si possa o si voglia sollevare un grande polverone. E guai se il metro di giudizio fosse quello di una magistratura prevenuta o vogliosa di riprendersi il centro della scena: questo si osserva non solo ai vertici del Pd, ma pure negli ambienti istituzionali più responsabili. La giustizia deve aiutare i partiti a liberarsi delle loro zavorre. L’allarme di questi giorni, invece, è che possa diventare la scusa per qualcos’altro: per l’esercizio di una tutela permanente nei confronti della politica. Anche di quella pulita, che Renzi è sicuro di incarnare.
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