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Giuseppe Dosi: il superpoliziotto che i fascisti chiusero in manicomio

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Il funzionario di polizia Giuseppe Dosi, anche grazie ai suoi travestimenti, riuscì a far luce su molti casi. Il suo primo successo lo conseguì quando chiarì un inspiegabile «incidente» avvenuto a Gabriele D’Annunzio. Quando le sue indagini si fecero scottanti, finì in manicomio per volere dei fascisti.

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Quando le sue indagini si fecero scottanti, Giuseppe Dosi fu spedito in manicomio dai fascisti. Salvò dal fuoco l’archivio romano della Gestapo che ora va, in parte, online

Il sole è appena sorto in via Tasso quando il 4 giugno 1944 dal tetro stabile che tutti i romani ben conoscono come luogo di orrori e di torture per antifascisti ed ebrei si sprigiona un denso fumo: un funzionario di polizia, Giuseppe Dosi, che si fa notare per il fisico robusto e prestante, incurante del pericolo irrompe nell’edificio e recupera i documenti.

span class="nero">Le truppe a stelle strisce del generale Mark Wayne Clark

stanno entrando trionfalmente nella capitale e gli uomini delle SS e la Gestapo agli ordini del comandante Herbert Kappler sono fuggiti. Hanno provato a trasformare in cenere le carte che Dosi, facendosi largo tra la folla in procinto di dare l’assalto al carcere, riesce a sottrarre alla distruzione. Sono rapporti bruciacchiati sull’occupazione nazista della capitale, nomi di collaborazionisti, verbali d’interrogatori e tante schede segnaletiche di noti oppositori come don Pietro Pappagallo, don Giuseppe Morosini, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Tutta una serie di faldoni preziosi che, dopo essere stati custoditi per anni in casa del funzionario di polizia, sono stati donati al Museo storico della Liberazione di Roma, con sede proprio in via Tasso. A partire da mercoledì prossimo i documenti, molti dei quali fino a oggi inediti, potranno essere consultati sulla piattaforma web DIGILiberazione (a cui ha dato vita Alessia Glielmi, responsabile degli archivi del Museo). Adesso anche Raistoria dedica la sua attenzione a Dosi, poliziotto scomodo e quasi sconosciuto, e ne ricostruisce l’incredibile avventura giudiziaria nel bel documentario che andrà in onda martedì 29 novembre alle 22 e 10 (a cura di Massimiliano Griner, regia di Claudia Mencarelli).

Dosi, che cumulerà 43 anni di servizio e oltre 30 mila pratiche evase e che nel dopoguerra sarà tra i padri fondatori dell’Interpol, l’organizzazione internazionale della polizia criminale, fu chiuso in manicomio per aver pestato i piedi a gerarchi e superiori in epoca fascista. Non evitò questa sorte anche se era stato il risolutore dei più grandi casi giudiziari del tempo. Il suo primo, clamoroso successo il poliziotto lo conseguì quando riuscì a chiarire un’inspiegabile «incidente» che provocò seri guai fisici a Gabriele D’Annunzio. Il Vate nel 1922 era piombato giù dal balcone della sua dimora di Gardone Riviera. Circolava insistente la voce che il mandante di quello scivolone che aveva provvisoriamente tolto dalla scena politica l’unico personaggio in grado di insidiare la leadership del fascismo fosse stato proprio Mussolini.

Ma uno strano pittore claudicante, esule cecoslovacco, dal nome impronunciabile, Karèl Kratòkwill, riuscirà a farsi ospitare nella magione di D’Annunzio e a individuare l’autore di quel gesto sconsiderato. Dosi – era lui, il misterioso ceco, sotto mentite spoglie – chiarirà che all’origine della disgrazia era stata non la passione politica ma quella d’amore: la pianista Luisa Bàccara, amante del Vate, lo aveva defenestrato per gelosia nei confronti della sorella. Per evitare complicazioni fastidiose si deciderà di mettere tutto a tacere.

Il funzionario di polizia aveva esordito come attore al teatro Argentina di Roma ed era un geniale e un po’ folle esperto di travestimenti: ne praticava circa 17 e lo troviamo nel pieno esercizio delle sue funzioni nei panni di un libanese, di un emiro, di un bolscevico, di una dama dell’alta società e tanti altri. Un altro dei celebri intrighi su cui riuscì a far chiarezza fu lo stupro e l’assassinio, avvenuto nella capitale tra 1924 e il 1928, di quattro bambine. La polizia, desiderosa di individuare subito una vittima sacrificale, mise in ceppi il fotografo Gino Girolimoni, amante delle macchine di lusso e delle belle donne. Dosi era stato spedito a Capri dai suoi superiori per indagare su cenacoli e incontri omosessuali non graditi al regime.

Venne a conoscenza dell’arresto del reverendo anglicano settantunenne Ralph Lyonel Brydges per le molestie nei confronti di una piccola isolana. Tramite minuziose indagini, raccolse le prove che il vero responsabile dei delitti era il pedofilo padre Brydges. Con il suo desiderio di far luce sulla verità si scontrò con gli alti papaveri in camicia nera, per nulla desiderosi di processare il reverendo. Quest’ultimo, dopo essere stato arrestato fu lasciato libero di espatriare. Dosi insomma era un cavallo di razza che non si poteva imbrigliare: per la sua ostinazione nelle indagini fu ritenuto un elemento estremamente pericoloso. Fu rinchiuso prima a Regina Coeli e poi in manicomio criminale a Santa Maria della Pietà.

Verrà rilasciato dopo 17 mesi trascorsi a pane e acqua tra le docce gelate e la camicia di forza. Le carte salvate a via Tasso serviranno così anche alla sua riabilitazione: le cederà in parte al controspionaggio americano per essere riammesso nei ranghi della polizia dove porterà a termine altre investigazioni molto importanti, come la tratta delle bianche assai consistente nel dopoguerra. Ma quei documenti dagli orli ingialliti cambiarono anche il corso della storia: si riveleranno le pietre miliari che inchioderanno Kappler e anche Eichmann nei processi del dopoguerra e saranno fondamentali per la condanna dei criminali nazisti.

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