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Femminicidio, altro che emergenza. Ormai è una endemia sociale!

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Femminicidio. Governo, regioni e comuni dovrebbero ammettere che si tratta di una endemia sociale e dotarsi di una strategia politica capace di estirpare il male alla radice

I

numeri delle donne uccise nel 2016 dai loro mariti, fidanzati, amici, conoscenti o altri sono davvero drammatici. Nei primi otto mesi si contano circa 80 vittime. E nella prima settimana di agosto, le donne trucidate sono state tre, Vania a Lucca, Rosaria a Caserta e Barbara a Bologna. Barbara era una donna che si riteneva libera, così libera da decidere di vendere il suo corpo. A solo 47 anni ha trovato un cliente aguzzino e spietato. Un uomo che ha comprato il suo corpo e ha ritenuto di poterne disporre a suo piacimento, come già aveva fatto altre volte, sfigurandolo e colpendolo mortalmente con 30 coltellate. Barbara non era una donna né di alta né di bassa quota, le prostitute non sono donne in quota, e come tali non sono tutelate come avrebbero diritto.
Nella civile Emilia Romagna in questo anno si sono avuti 5 femminicidi (parola orribile) e 4 tentati omicidi. Se il fenomeno viene allargato ai tanti episodi di minaccia e di violenza contro le donne, registrati come denunce alla polizia e come medicazioni al Pronto soccorso degli ospedali, si ha un quadro che porta a parlare di emergenza sociale. Di fronte a questa inarrestabile tragedia, chi governa si limita a esprimere la propria indignazione e a convocare l’ennesima commissione ministeriale o regionale. Come se si trattasse di uno dei tanti problemi che occasionalmente esplode e che bisogna tamponare.
Governo, regioni e comuni dovrebbero, invece, prendere atto della evidenza dei fatti, cioè dovrebbero riconoscere che la violenza, la persecuzione, la tortura e l’omicidio contro le donne sono un fenomeno persistente nella società italiana e diffuso sull’intero territorio nazionale. Sarebbe corretto se ammettessero che si tratta di una endemia sociale e se di dotassero di una strategia politica capace di estirpare il male alla radice.

I Centri anti violenza, giustamente, denunciano la loro impotenza per l’assenza di azioni da parte delle istituzioni pubbliche, che con la riduzione del già esiguo finanziamento stanno condannando alla chiusura gli stessi Centri, unici presidi a livello territoriale d’intervento, di aiuto e di sostegno alle donne violentate.
Questi Centri dovrebbero estendere il loro intervento agli uomini violentatori, con un percorso di rieducazione e riabilitazione, attivando gruppi di auto aiuto. Intanto sarebbe apprezzabile se il governo assumesse prioritariamente l’impegno a finanziare con più risorse i progetti dei Centri anti violenza, e se le regioni e i comuni mettessero in atto programmi di prevenzione e di lotta alla persecuzione di genere. E’ chiaro che i fondi, le leggi, i processi, le condanne e il carcere contro gli uomini la cui prepotenza non ha limiti, sono importanti ma non sufficienti.
Il problema vero è quello di dare vita a una sana cultura della relazione uomo-donna, una qualità che dovrebbe coinvolgere la famiglia, scuola, coppia e comunità. E’ a questi diversi livelli che il rapporto fin dalla prima età prende forma e si sviluppa o come dominio del più forte o come incontro di reciproca valorizzazione. Il percorso di una formazione culturale di riconoscimento e rispetto delle diversità di genere dovrebbe permettere all’uomo e alla donna di vivere una comune esperienza di libertà e di uguaglianza.
Purtroppo siamo costretti a fare i conti con un mondo globale fatto a livello locale di spietate diseguaglianze, quelle di genere sono persistenti, e di un generale analfabetismo emotivo, quello relazionale è preoccupante. Nonostante le leggi sulla parità di genere, alla uguaglianza formale si contrappone quella reale. In Italia nel 2016 a parità di contratto e di lavoro le donne continuano a guadagnare in meno circa l’11% rispetto ai loro colleghi maschi.

Nel paese che vorrebbe esportare la sua civiltà e democrazia nel mondo, il più premiato attore-regista Clint Eastwood parla dei giovani americani di oggi con l’epiteto di “fighette”, precisando «parlo delle fighette, non delle fighe, queste sono un’altra cosa».
Le diseguaglianze di genere e la cultura maschilista della violenza, ci fanno capire che il percorso formativo che permetta all’uomo e alla donna di ritrovarsi soggetti con pari dignità e diritti in un incontro dialogante, è ancora lungo e difficile. Ma è sicuramente possibile.

Femminicidio, altro che emergenza di Giovanni De Plato – il manifesto 12 agosto 2016

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