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Agrigento, 35 provvedimenti cautelari per il reato di associazione mafiosa

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Eseguiti dai CC del Comando provinciale di Agrigento: un consigliere comunale e appartenenti alla famiglia che uccise il Giudice Livatino. Il ‘paracco’.

I Carabinieri del Comando provinciale di Agrigento, stanno eseguendo dalle prime luci dell’alba, fra Licata, Palma e Favara, 35 provvedimenti cautelari di cui 12 arresti in carcere per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. L’operazione, denominata in codice “Oro bianco” è coordinata dalla Dda di Palermo.

In manette è finito anche un consigliere comunale di Palma di Montechiaro, Salvatore Montalto, accusato dalla Dda di Palermo di essere stato uno dei capi decina del ‘paracco’, l’altra mafia della provincia agrigentina.

L’indagine che ha condotto al blitz è stata coordinata dal Procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido e dai sostituti Gery Ferrara, Pierangelo Padova, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.

Tra gli arrestati figurano fiancheggiatori del Giovanni Brusca e appartenenti alla famiglia stiddara che uccise il giudice Rosario Livatino.

Il gruppo dei ‘paraccari si occupava di spaccio di droga ed estorsioni. E aveva rapporti con alcuni mafiosi palermitani per la fornitura di cocaina.

Tra i tentativi di estorsione svelati dall’indagine dei Carabinieri, quello ai danni del gruppo di imprese che si è aggiudicato un appalto da due milioni e trecento mila euro nell’ambito del “Contratto di quartiere”.

L’inchiesta inizia nel palermitano ma ben presto si sviluppano i collegamenti con la provincia di Agrigento. Collegamenti che sono stati tracciati anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. Dalla figura di Salvatore Troia, uomo d’onore di Villabate, si è giunti a Favara dove era in contatto con Giuseppe Blando, arrestato (e assolto in primo grado) nell’operazione Montagna. Blando è il fratello del più noto Domenico, favoreggiatore della latitanza di Giovanni Brusca a Cannatello.

L’accusa per gli indagati è di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali.

Gli arrestati: Rosario Pace, Domenico Manganello, Sarino Lauricella, Sarino Lo Vasco, Gioacchino Rosario Barragato (imprenditore già coinvolto in operazione contro Stidda gelese) , Salvatore Montalto (consigliere comunale di Palma di Montechiaro), Tommaso Vitanza, Giuseppe Morgana, Gioacchino Pace, Salvatore Emanuele Pace, Giuseppe Blando. Ai domiciliari Calogero Lumia.

Il ‘paraccoè un gruppo che non fa parte di Cosa nostra, ma ne ha tutte le caratteristiche organizzative. Come la ‘Stidda’ (28 Settembre 2019 La ‘Stidda’ cerca di intimidire con locali attentati. Cos’è la ‘Stidda’) Determinanti, per l’inchiesta, sono state anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta di Favara che ha spiegato come «a Palma di Montechiaro a gestire ogni cosa c’è Rosario Pace, inteso ‘cucciuvì’». I rapporti con il reggente della famiglia mafiosa di Cosa Nostra di Palma di Montechiaro – stando a quanto emerge dall’inchiesta – sono di stretta collaborazione. Quella scoperta a Palma di Montechiaro non è la tradizionale ‘Cosa Nostra’, ma ne ricalca lo schema organizzativo. Ed è per questo che la Procura di Palermo contesta il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il paraccocome la stidda si affianca alla mafia, di cui subisce l’autorità, ma si muove in autonomia. Quaranta ne ha descritto le ‘famigghiedde’ costituite da una decina di persone, i ‘paraccari’ e che hanno una struttura gerarchica composta da capi, sottocapi, capidecina, tutti si mettono sotto l’ombrello di protezione della rispettiva associazione criminale.

Adduso Sebastiano

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