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Zaia: modello Gandhi per il Veneto

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Dopo il referendum Mattia Feltri intervista Luca Zaia, incarnazione dell’autonomismo padano. Il governatore veneto vuole un accordo con il governo prima del voto: «Combatto come Pannella e Gandhi, a Roma nessuno faccia il furbetto».

Davide Lessi, nel suo reportage, racconta come si vive a Lamon (Belluno) e Castello Tesino (Trento), paesi gemelli divisi dall’autonomia. Distano solo pochi chilometri, ma da un lato casse vuote e invidia, dall’altro bonus a pioggia e agevolazioni.

Zaia: “Combatto come Pannella e Gandhi. Accordo col governo prima del voto”

Il governatore del Veneto: “Non cerco la rissa, voglio tutte le 23 competenze Nessuno faccia il furbetto, a Roma sono tenuti a trattare”

ROMA – Luca Zaia, presidente del Veneto, 49 anni, di Treviso, precisamente di Conegliano («per essere ancora più precisi di Bibano di Godega, sponda sinistra del Piave: noi abbiamo un dialetto diverso da quelli di Treviso»), dietro di sé ha una cartina (si direbbe d’epoca risorgimentale) di Venezia, così dettagliata che il portavoce individua e indica casa sua. Senza gel, senza gessato, a smentire tutti gli stereotipi estetici, piuttosto l’incarnazione dell’autonomismo padano, di ritorno, di colpo, nella Lega sovranista di Matteo Salvini.

«

Da ragazzo ci facevano vedere Radici, lo sceneggiato sugli schiavi neri d’America. Il protagonista, Kunta Kinte, veniva picchiato e tenuto nell’ignoranza perché gli fosse impossibile ribellarsi. Poi ho letto anche il libro, di Alex Haley, e ho capito che quella era la stessa strategia coi veneti: lasciarli ai margini, alla periferia dell’impero. La vera sintesi di questo referendum è che la politica romana è distante, ma tanto distante dal popolo. E che l’autonomismo veneto non si è mai assopito».

Un po’ enfatico ma chiaro. Il referendum in effetti è stato un trionfo, inatteso solo per chi non sa. Però lei ha subito rilanciato chiedendo lo statuto speciale e il trasferimento dei 9/10 del gettito fiscale.

«C’è un terribile fraintendimento. Se il governo dovesse concederci le ventitré competenze che la Costituzione ritiene trasferibili alle regioni, la conseguenza di fatto sarebbe il trasferimento al Veneto dei 9/10 del gettito. Per la proprietà transitiva, direi. Il mio non è né un salto in avanti né tantomeno un passo indietro. Altra questione è la richiesta al Parlamento di una modifica costituzionale perché al Veneto sia riconosciuto lo statuto speciale come quello delle province autonome di Trento e Bolzano, richiesta che nulla c’entra col referendum e con la conseguente trattativa sul passaggio di competenze da Stato a regioni. Molti in questo momento lo commentano negativamente, nonostante in passato abbiamo votato provvedimenti identici, sia da destra sia da sinistra. Ma sono due azioni distinte».

Il sottosegretario Bressa vi ha dato degli irresponsabili. Anche il presidente lombardo Bobo Maroni è perplesso. 

«Maroni ha smentito, ha detto che sta con me. Quanto a Bressa, e a chi la pensa come lui, rispondo che oggi sono io a sventolare le idee dei padri della patria. Luigi Einaudi nel ’48 disse “daremo ad ognuno l’autonomia che gli spetta” e Luigi Sturzo, siciliano, nel ’49 disse “sono unitario ma federalista impenitente”. Io la penso come Einaudi. Bressa non so».

In effetti il premier Paolo Gentiloni si è dimostrato attento e rispettoso.  

«Noi non cerchiamo la rissa e non facciamo giochini. Con Gentiloni ci incontreremo nelle sedi deputate e istituzionali. Saremo seri. Saremo pannelliani e gandhiani. Gandhi diceva “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci”. Saremo istituzionali e non violenti come Pannella e Gandhi».

Anche Matteo Renzi ha detto che non si deve minimizzare.  

«Renzi è un uomo intelligente. Aveva capito che attraverso l’articolo 116, e il trasferimento delle ventitré competenze, si apriva la strada a un federalismo compiuto. Con la riforma costituzionale ha cercato di cambiare, anche per questo l’abbiamo combattuta. Voleva ridurre le competenze a nove. Per fortuna non c’è riuscito».

Queste sono parole. Il suo percorso non sembra agile né facile. Non teme la palude romana?  

«Voglio essere inequivocabile. Nessuno deve fare il furbetto. Il governo è tenuto a trattare con noi. Non è una gentile concessione. È un obbligo stabilito dalla Costituzione. Il fatto che ci siano le elezioni a marzo non vuole dire niente. Anzi, può essere un vantaggio. Sono persuaso che per la ratifica del Parlamento toccherà aspettare la prossima legislatura, ma entro le elezioni si può arrivare a firmare l’intesa con il governo Gentiloni. Altrimenti sarò curioso di vederli qui in Veneto, a fare campagna elettorale, se non avranno soddisfatto le richieste di due milioni e 400 mila veneti che domenica sono andati a votare sotto il diluvio per avere tutte le competenze che gli spettano».

Sono competenze enormi. Non le avrà mai tutte. E allora che farà, percorso catalano?  

«Io dico che le avremo tutte. Il referendum non è interpretabile. E se non le avremo continueremo a combattere, ma secondo la legalità. Non appoggio nulla che sia fatto fuori dalla legalità e dalla Costituzione».

Sicuro che non farà il premier? 

«Questa cosa comincia a darmi fastidio. Resto in Veneto, l’ho detto e lo faccio. Ora basta. Il candidato premier della Lega è Salvini. E quanto al suo sovranismo – come lo chiamano i giornali – ricordate che il centralismo è centrifugo, il federalismo è centripeto. Quindi, nessuna contraddizione».

Lei si sente più della Liga o della Lega?  

«Innanzitutto veneto. Questo è un referendum vinto dal Veneto. In due milioni e 400 mila voti ci sono tutte le idee politiche, è ovvio, la Lega, la sinistra, i berlusconiani, i cinque stelle. E dico di più, c’è anche il voto dei nuovi veneti».

Gli immigrati?  

«Certo. Sono 517 mila. Lavorano. Sono onesti. Contribuiscono al Pil della regione per il 5 per cento. Nessuno di loro mi ha mai chiesto dello Ius soli, mi hanno chiesto sicurezza e lavoro, però. Io ce l’ho coi fannulloni e coi delinquenti, indipendentemente dalla provenienza».

Lei è vegetariano?  

«No. Ci ho provato ma è difficile, però amo tutti gli animali, soprattutto i cavalli. Corro, prima andavo in bici, faccio palestra ma più di ogni cosa adoro andare a cavallo, e so che i cavalli non sono mezzi, ma sono compagni. Quando cavalco faccio lunghi tratti a piedi, per non pesare troppo sulla bestia. A casa dei miei c’è il mio cavallo storico, Royal. Ha ventinove anni, un quarter horse americano. Sta in giardino, come un cane».

Da presidente della provincia di Treviso assunse degli asini rasaerba…  

«È vero. L’appalto costava un sacco di soldi, ottanta milioni di lire all’anno, più o meno. Con sei milioni di lire ho comprato gli asini che per dieci anni hanno tenuto perfettamente quella scarpata sulla tangenziale, dove passavano poche macchine, e ci stavano benissimo. Sembrava un prato inglese. Poi avevano fatto anche gli asinelli».

Questa cosa dell’animalismo è diventata una moda…  

«Gli altri non so, io lo sono sempre stato. Facevo l’istruttore di equitazione nell’altro millennio. Anche per questo mi è piaciuto fare il ministro dell’Agricoltura nell’ultimo governo Berlusconi. Non andavo nei convegni, io. Dicevo che un ministro dell’Agricoltura deve avere le scarpe sporche, e le avevo sporche davvero. Anche ora, che continuo a girare le aziende del Veneto».

A lei piace fare un po’ l’uomo della strada, l’uomo che ha fatto la gavetta, che sa parlare con tutti. 

«Ognuno ha la sua storia. Io ho fatto da studente l’operaio, il muratore, il pr in una discoteca, l’uomo delle pulizie, il cameriere. È la mia vita, né me ne vanto né me ne vergogno. Sapete che mi divertiva di più? Dare ripetizioni di chimica. Sono laureato in Scienze della produzione animale, e la chimica l’ho studiata molto. Mi è sempre piaciuta da pazzi».

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lastampa/Zaia: “Combatto come Pannella e Gandhi. Accordo col governo prima del voto” MATTIA FELTRI

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