Il voto per le amministrative punisce i grillini e suggerisce il ritorno del bipolarismo. Fin dai primi exit poll è stato chiaro che Il M5S è rimasto fuori dai ballottaggi nei maggiori Comuni perfino a Genova, la città di Beppe Grillo.
Dalle sfide per le città risorge il bipolarismo M5S fuori dai ballottaggi
Testa a testa destra e sinistra a Genova, Verona, Taranto e Catanzaro
D
eludono in tutti i maggiori comuni dove si è votato ieri (oltre 9 milioni gli aventi diritto in 1004 città, superiore al 61 per cento l’affluenza alle urne). Il “flop” grillino sarà ricordato come la vera sorpresa di questo test amministrativo, politicamente di un certo peso poiché a detta degli esperti si è trattato di un campione molto attendibile degli umori su scala nazionale, un vasto sondaggio con voti veri.
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Le cause di una débâcle
Sulla base dei primi «exit poll», M5S non arriva al ballottaggio nemmeno nella patria del suo fondatore, Genova, forse anche per il pasticcio delle votazioni online. Il tenore Luca Pirondini, imposto d’autorità a Marika Cassimatis, si ferma tra il 18 e il 22 per cento. Quel movimento che appena l’anno scorso sembrava una valanga inarrestabile (vedi i trionfi di Appendino a Torino e della Raggi a Roma), osserva adesso con il binocolo la performance di un vecchio politico come Leoluca Orlando a Palermo (verso la vittoria al primo turno) e dello “scomunicato” Federico Pizzarotti a Parma, che è a cavallo del 40 per cento. In alcune delle 25 città capoluogo i candidati di Grillo e Casaleggio si fermano addirittura sotto la doppia cifra, per esempio a L’Aquila e a Catanzaro, a conferma che si tratta di un movimento giovane, di gracile costituzione, non ancora radicato nel territorio. Se davvero Renzi ha rinunciato (come egli dichiara) alle elezioni politiche in settembre, può darsi che alla luce di questi risultati si stia mangiando le mani per non avere approfittato del momento fiacco dei Cinquestelle e di un vento che, nel resto d’Europa, non gonfia più le vele dei populisti.
Sinistra in salute
I tradizionali duellanti invece se la battono spalla contro spalla: a Genova (dove al momento di andare in stampa Bucci è alla pari con Crivello), a Verona (anche qui sgomitano Sboarina e Salemi), a Taranto (il berlusconiano Baldassarri leggermente davanti a Melucci), a Catanzaro (il sindaco uscente Abramo e Fiorita praticamente appaiati). È nettamente in vantaggio il Pd a L’Aquila, con Di Benedetto che sfiora la vittoria al primo tentativo. Ci sono le condizioni perché nei ballottaggi del prossimo 25 giugno il partito renziano confermi, o magari superi, le 17 bandierine piantate 5 anni fa negli stessi Comuni capoluogo, laddove Forza Italia e Lega insieme avevano vinto in 5 città. Per la sinistra nel suo insieme, è un indizio di discreta salute che riscatta le più recenti batoste.
Destra forte se unita
La buona notizia per Berlusconi è che il centrodestra si conferma una forza per nulla trascurabile, nel suo insieme ragguardevole. Lo sarà ancora di più se tra due settimane metterà a segno il “colpo” di Genova che farebbe il bis della Regione Liguria, conquistata due anni fa con Toti. La notizia cattiva per Silvio, invece, è che questo risultato gli lega politicamente le mani. Costringe il Cav a restare avvinto a Salvini, che l’uomo di Arcore molto poco sopporta (ancora ieri teorizzava l’importanza di una legge elettorale proporzionale, che lo svincolerebbe dall’abbraccio con i “sovranisti”). Il primo turno di ieri segnala che, nonostante tutte le insofferenze, i due funzionano bene insieme. Quanto è accaduto ieri sembra dare ragione ai teorici del partito unico, basato sulle primarie e sul ricambio generazionale con i quarantenni finalmente al potere.
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