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Verso elezioni per soli ricchi: uno scenario che rischia di portare una Tangentopoli bis

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Le prossime elezioni politiche potrebbero far esplodere i costi della politica: il sistema basato sulle preferenze spingerà un esercito di candidati a tentare di farsi largo senza badare a spese. Un contesto, ci spiega Ugo Magri, in cui la magistratura, forte di nuove leggi ormai operative, potrà verificare chi paga e con i soldi di chi. Uno scenario che rischia di portare una Tangentopoli bis.

Verso elezioni per soli ricchi

La corsa alle preferenze moltiplicherà le spese dei candidati. Nuove leggi per punire chi bara ma si rischia una Tangentopoli bis

ROMA – Nella storia della Repubblica mai si è visto niente del genere. Eppure, alle prossime Politiche potrà davvero accadere che la Guardia di Finanza faccia irruzione, clamorosamente, in campagna elettorale. E su ordine della magistratura verifichi chi paga le spese di certi candidati, con che soldi, provenienti da dove, per quali finalità. Non era accaduto in passato ma forse accadrà tra pochi mesi, in quanto saranno pienamente operative un paio di nuove leggi volte a reprimere il malcostume della politica, con tanto di sanzioni penali prima inesistenti. La severità di queste leggi rischia di trovare terreno fertile nel sistema di voto che, se la normativa non cambierà, pare fatto apposta per calamitare le attenzioni delle Procure. Si basa infatti sulla libera competizione a colpi di preferenze, tanto avvincente e democratica quanto economicamente costosa. Un esercito di candidati tenterà di farsi largo senza badare a spese.

Falò delle vanità  

A

lle ultime elezioni, la campagna dei singoli candidati costò complessivamente 3milioni 800mila euro. Così perlomeno ha calcolato Openpolis sulla base delle autocertificazioni rese dagli eletti. Una cifra davvero modesta che si spiega con i “listini” del famigerato «Porcellum», dove bastava essere inseriti per avere la garanzia del seggio. Guarda caso, il 41 per cento degli eletti nel 2013 ha dichiarato di non aver investito nemmeno un cent. Ma stavolta, grazie alle correzioni della Corte costituzionale, di ogni lista alla Camera saranno “nominati” al massimo 100 (i cosiddetti “capilista bloccati”), laddove gli altri dovranno battersi all’ultimo sangue. Al Senato tutti i 315 scranni saranno assegnati con il metodo della preferenza unica, su circoscrizioni a base regionale, cioè gigantesche. I costi della campagna balzeranno alle stelle perché solo chi già gode di vasta notorietà potrà limitare le spese della propaganda. Perfino nell’era del web, per vincere nei corpo a corpo è ancora indispensabile mettere in piedi comitati locali, squadre di galoppini, allestire call center, affiggere manifesti, distribuire “santini”. Dunque pagare, pagare, pagare. Chi si intende della scivolosa materia stima che, per giocarsela al Senato, un candidato berlusconiano dovrà spendere non meno di 7-800 mila euro. La cifra scende (non di molto) per il Pd, dove esiste ancora una rete organizzativa che premia i personaggi legati al territorio. Dentro Lega e M5S si annuncia una guerra tra “poveri”, dove gli spiccioli per la benzina potranno fare la differenza. Globalmente, centinaia di milioni verranno arsi nel falò delle vanità.

Tetti e tentazioni

In teoria nessuno potrebbe superare i “tetti” che variano a seconda delle circoscrizioni: si va dai 55 mila euro in Molise ai 150 mila della Lombardia. Ma questi limiti sono aggirabili; per esempio, spendendo e spandendo prima che la campagna elettorale abbia ufficialmente inizio. Oppure tenendo parzialmente nascoste le entrate e le uscite. In questo caso chi viene eletto rischia la decadenza; se poi si scopre che ha preso più di 5mila euro senza denunciarli, può farsi da 6 mesi a 4 anni in carcere per finanziamento illecito. Idem chi passa i denari: non per nulla Tangentopoli trascinò a fondo la Prima Repubblica in cui vigeva, guarda caso, il regime delle preferenze. Che non sono certo il male assoluto ma, segnalava tempo fa Raffaele Cantone, scatenano la corsa ai finanziamenti per “aiutare” i candidati. E qui, sempre secondo il presidente dell’Anticorruzione, «può inserirsi la consorteria criminale». Lobby, mafie e malavita organizzata sono lì per dare una mano, cosicché il tasso di illegalità rischia di crescere proprio nel momento in cui si dispiegherà con più forza il rigore della legge.

Pistole puntate  

Il reato di «scambio elettorale politico-mafioso», ad esempio, quattro anni fa ancora non esisteva. O meglio: era previsto, ma solo nel 2014 è stato tipizzato e rinverdito (articolo 416 ter del codice penale). I voti delle cosche, promessi in cambio di «altre utilità», potranno diventare oggetto di segnalazioni e di esposti che la magistratura avrà l’obbligo di prendere in esame senza nemmeno aspettare il giorno delle elezioni. Se ci fossero sospetti sulla provenienza dei finanziamenti, la legge offre nuovi agganci per intervenire in tempo reale. Lo stesso vale per l’altra tipologia di reato che promette scintille: il «traffico di influenze illecite», introdotto dalla legge Severino sul finire della scorsa legislatura (articolo 346 bis del codice penale). Nel mirino finirà il sottobosco che promette, illude, millanta. Il clientelismo avrà un confine. Ma pure i rapporti con imprese e categorie dovranno ispirarsi ai canoni di trasparenza, perché la materia è scivolosa, i margini di interpretazione incerti, la discrezionalità parecchio vasta. La guerra delle preferenze si combatterà in una terra di mezzo da cui si terranno prudentemente alla larga, per paradosso, le persone più timorate e perciò meno propense a sporcarsi le mani. Mentre si tufferanno i veri ricchi. Oppure chi ama il brivido e non teme la sinistra profezia dell’ex radicale Giuseppe Calderisi: «Dopo le elezioni apriranno un nuovo corridoio per collegare direttamente la Camera con Regina Coeli».

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