Il premier prenda ora l’iniziativa di un’intesa dei Paesi che condividono l’obiettivo e consolidi l’identità di vedute con Mario Draghi.
IL DIBATTITO tuttora vivacemente in corso dopo l’approvazione in Senato della legge Cirinnà sulle unioni civili, era prevedibile: in Parlamento sono presenti numerose posizioni politiche e non più, come accadeva nel Novecento repubblicano, un centro democristiano con una spolverata di piccoli partitini laici, una destra fascistoide molto minoritaria e una sinistra comunista. Ora le posizioni sono molte, la politica è estremamente frazionata non solo in Italia ma in tutta Europa, come ha analizzato con meticolosa completezza Ezio Mauro su queste pagine venerdì scorso.
Non so fino a che punto questo dibattito interessi l’opinione pubblica italiana. Direi che interessa poco, eravamo in vergognoso ritardo rispetto a tutti gli altri Paesi d’Europa e d’America e il risultato ottenuto dal Pd di Renzi rimette finalmente a posto una situazione ormai insostenibile riconoscendole diritti finora ingiustamente ignorati. Renzi ha scelto, dopo qualche tentennamento, la via giusta per vincere con una larga maggioranza di voti: lo stralcio delle adozioni per far passare finalmente la legalizzazione delle coppie di fatto e unioni civili etero e omosessuali. Non poteva far meglio.
La discussione sulla fedeltà è ridicola. È evidente che non toglie assolutamente nulla alle coppie di fatto: la fedeltà c’è o non c’è e non esiste norma di legge che tenga se viene interrotta. Spesso l’interruzione è ignorata dall’altro coniuge o convivente che la subisce e il rapporto di coppia continua inalterato. Oppure è nota e il rapporto s’interrompe. Le coppie di fatto non possono ricorrere al divorzio ma questo è un regalo, si limitano ad informare l’autorità amministrativa che il loro rapporto ha cessato di esistere con le conseguenze amministrative che la cessazione comporta.
L’altro tema di discussione – che impegna soprattutto la sinistra del Pd – è il contributo di Verdini e del suo gruppo alla vittoria renziana. Ma anche questa critica mi sembra priva di fondamento. Se la sinistra ha accettato che Alfano facesse parte della maggioranza di governo, non si vede perché non possa accettare Verdini che è perfino più ragionevole di Alfano. Una nuova destra non populista e non berlusconiana è un tentativo ancora in una fase iniziale che sarebbe da incoraggiare, così come la Dc di Aldo Moro si alleò con i socialisti di Pietro Nenni e poi alcuni anni dopo addirittura con il Pci di Berlinguer, non solo per affrontare in forze tempi assai oscuri (quelli attuali non sono oscuri ma neri come l’inchiostro) ma anche per aiutare la nascita d’una destra moderna alla quale in un futuro auspicabilmente prossimo si fosse contrapposta una sinistra riformatrice. La separazione di Alfano da Forza Italia fu incoraggiata da Monti e da Enrico Letta, la cui tempra democratica di sinistra non è mai stata in discussione.
Dunque il preteso scandalo Verdini, a mio avviso, è inesistente e la discussione è oziosa. Il problema semmai è un altro: è di sinistra il Pd guidato da Renzi? E che cos’è la sinistra del ventunesimo secolo? Nell’Europa e nell’Italia di oggi? Questo dunque dovrebbe essere il tema da discutere. In questo chiassoso e confuso dibattito il termine più ricorrente è stato “famiglia”, soprattutto da chi, dichiarandosi cattolico, avversava ogni riforma che in qualche modo intaccasse la solidità e l’unicità di quella tradizionale istituzione. È certamente vero che tutti noi usiamo il termine famiglia per designare la coppia di uomo e donna che ha celebrato il matrimonio e i figli che ne sono nati, ma quella parola non è appropriata né storicamente né religiosamente.
Storicamente il termine famiglia ha sempre designato non una ma molte più numerose comunità. Nella Roma classica la famiglia si identificava col nome del capo e comprendeva non soltanto i parenti anche lontani ma i “clientes”, le persone che stabilmente lavoravano, i beni materiali che ne componevano il patrimonio, i servitori e gli schiavi. Quella famiglia aveva anche il nome, la gens Claudia o Giulia o Flavia o Marcia; insomma un’infinità di famiglie che costituivano la casta senatrice degli Ottimati. Ma ci sono anche le famiglie mafiose, anche quelle sono una casta che prende il nome del boss. Religione: Gesù odiava la famiglia e lo diceva pubblicamente fin dall’inizio della sua predicazione come raccontano almeno due dei vangeli sinottici. Infine anche un’unione di fatto, etero o omosessuale, può usare il termine di famiglia, lessicalmente è corretto, è una comunità di due persone ed i loro eventuali figli, naturali o adottivi.
Oltre ad avere ben meritato con la legislazione delle coppie di fatto e delle unioni civili, Renzi ha modificato in modo sorprendente la sua visione del futuro dell’Europa. Non posso nascondere che questo cambiamento mi fa molto piacere ed è venuto in modo assai repentino. Ancora l’11 febbraio scorso, in una lettera a me diretta e pubblicata su Repubblica, rispondendo alla proposta da me più volte sostenuta sulla necessità di istituire un ministro del Tesoro unico che gestisse le finanze dell’Eurozona, con un bilancio autonomo, un debito sovrano, il potere di emettere eurobond per finanziare investimenti pubblici e incentivare quelli privati, la lettera di Renzi dice: “La risposta ad una politica di rigore che fa soltanto danni, non è un superministro delle Finanze, ma la direzione della politica economica”. Sono passati pochi giorni e Renzi ha presentato alle autorità europee un documento di nove pagine diviso in tre punti e una conclusione.
Il primo punto è intitolato: “A Fragile Recovery: Challenges and Opportunities ” (è redatto in inglese). Il secondo punto è intitolato: “A Comprehensive Policy Mix”. Dove si descrive un complesso di misure che realizzino una politica espansiva al posto di quella di austerità e rigore fin qui imposta dalla Commissione (e dalla Germania). Bisogna aumentare le capacità di crescita, sostenere la politica monetaria della Bce, varare una politica fiscale europea che tenda a riequilibrare le politiche nazionali aiutando la loro flessibilità in modo da ristabilire tra loro un equilibrio attualmente molto alterato. Completare l’Unione Bancaria ed estendere le garanzie in favore dei depositi bancari dei singoli Paesi. Fare intervenire l’Europa anche nelle politiche sociali e sindacali dei singoli Paesi, sempre al fine di rafforzare l’integrazione europea ed una politica di crescita e di equità. Rafforzare i confini europei verso il resto del mondo e smantellare al più presto possibile i confini interni ripristinati in molti Paesi violando il patto di Schengen. Dunque una politica comune dell’immigrazione più volte chiesta dall’Italia ma finora inesistente.
Infine il punto tre del documento che rappresenta, con un titolo altamente significativo, lo sbocco istituzionale della politica europeista delineata nelle pagine precedenti: “From the Short-term to the Long-term View” e così prosegue: “Una più forte comune politica monetaria ha bisogno di istituzioni comuni. Abbiamo bisogno d’una comune casa europea adottando un sistema comune. Queste funzioni debbono essere gestite da un ministro delle Finanze dell’Eurozona che persegua una comune politica fiscale. A questo scopo abbiamo bisogno d’un bilancio dell’Eurozona dotato delle risorse necessarie. Naturalmente questo ministro deve essere politicamente dotato di poteri per svolgere questo ruolo. Un ministro del genere deve far parte della Commissione europea e deve avere forti legami con il Parlamento di Bruxelles”. Debbo dire: mi sono stropicciato gli occhi a leggere queste nove pagine del documento, la loro conclusione e il titolo che è tutto un programma. Bisogna passare da una politica a breve termine ad una visione a lungo termine: una frase nella quale c’è qualcosa che somiglia molto agli Stati Uniti d’Europa.
Sembrava che Renzi fosse andato inutilmente a Ventotene e invece il messaggio contenuto nel Manifesto firmato da Spinelli, Rossi e Colorni è stato, almeno così sembra, fatto proprio da Renzi che non si limita a invocare una politica di crescita e flessibilità economica, ma sceglie anche una bandiera che guidi l’opinione pubblica europeista e i governi che decidano di rappresentarla verso un radicale mutamento delle istituzioni: la visione di lungo termine, che però non può essere attesa senza darle subito un avvio. Bisognerà accendere una serie di motori e quello iniziale che dia inizio al percorso. Così accadde negli anni del dopoguerra con Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman. Allora nacque la Comunità del carbone e dell’acciaio e furono firmati nel 1957 i Trattati di Roma. Assumere come guida politica quella bandiera dà all’Italia uno status politico completamente diverso da quello avuto finora. Non più un monello che chiede concessioni alla spicciolata, un miliardo per un progetto, un altro miliardo per un’iniziativa, alternando sorrisi e insulti alla maniera d’un questuante, ma rivendicando il progetto che fu fatto proprio dai fondatori dell’Europa ma che aspetta ancora d’essere attuato.
Se Renzi ha scelto sul serio questa strada, che non sarà certo di rapida attuazione, il suo compito è di prendere l’iniziativa di un’intesa dei Paesi che condividono l’obiettivo, consolidare l’identità di vedute con Mario Draghi affinché il motore politico si sposi a quello economico e monetario e ponga alla Germania il dilemma che quel Paese leader non può eludere. Aggiungo ancora che questo è anche il vero modo di rappresentare la sinistra. La domanda che prima ci siamo posti sulla vera natura della sinistra del ventunesimo secolo ha qui la sua risposta: la sinistra ha il compito di porsi l’obiettivo di costruire l’Europa federata che riformisti e moderati debbono far nascere insieme, come richiede una società globale governata da Stati di dimensioni continentali.
La sinistra italiana ed europea deve porsi alla testa di questo ideale e farne una concreta realtà dove le diseguaglianze siano rimosse e la produttività economica sia tutt’una con l’equità sociale, la comunione dei valori, il riconoscimento dei diritti e dei connessi doveri, la separazione dei poteri che garantiscano la nobiltà della politica e la democrazia. L’Inno alla gioia e la bandiera stellata europea, come ha proposto Laura Boldrini, divengano i simboli della Nazione Europa. Da questo punto di vista ben venga il Partito democratico se lotterà affinché la Nazione Europa diventi una realtà.
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larepubblica
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