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Renzi, Referendum ed i problemi delle Isole e Regioni Meridionali

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elle isole e nelle regioni meridionali – praticamente nessuna esclusa – il «no» al referendum è infatti ancora decisamente avanti, e Renzi comincia ad esser preoccupato dal fatto che parole d’ordine come «riduciamo le poltrone» e «togliamo soldi alla politica» non facciano breccia in aree del Paese dove i veri problemi sono i tassi di occupazione, quelli della disoccupazione giovanile, il pil pro-capite, l’asfissiante presenza della criminalità organizzata. E per questi non basta nemmeno aver rispolverato il ponte ormai più famoso (o famigerato) del mondo anche se non esistente: Il ponte sullo Stretto.

Ma leggiamo ora, nel merito, l’intero editoriale di Federico Geremmicca

Referendum alla campagna del Sud

Dalla Casa Bianca al teatro Santa Cecilia, Palermo. Dalla Johns Hopkins University al Palacultura, Messina. E non si esagera a immaginare che forse – lustrini e giusto orgoglio a parte – per Matteo Renzi i secondi appuntamenti, quelli siciliani, siano addirittura più importanti dei primi.

Lanciato l’allarme due giorni fa a Bruxelles di fronte agli eurodeputati Pd («per il referendum abbiamo un problema al Sud»), il premier-segretario ha deciso di dare l’esempio: e così, la due giorni siciliana avviata ieri sera – appunto a Palermo – sembra assumere il profilo di una vera e propria «campagna del Sud».

Nelle isole e nelle regioni meridionali – praticamente nessuna esclusa – il «no» al referendum è infatti ancora decisamente avanti, e Renzi comincia ad esser preoccupato dal fatto che parole d’ordine come «riduciamo le poltrone» e «togliamo soldi alla politica» non facciano breccia in aree del Paese storicamente non insensibili a temi che sembrano rubati a certa cosiddetta antipolitica.

Al Sud, del resto, la luna di miele col più giovane premier della storia repubblicana sembra non esser mai cominciata. Perfino alle elezioni europee del 2014 le percentuali ottenute dal Pd da Roma in giù furono assai più contenute: 5 o 6 punti in meno rispetto al 40,8 nazionale, con picchi ancor più deludenti (il 33% della Sicilia). E non è che prima di Renzi le cose per i democratici andassero meglio, se si ricorda che con Bersani – alle elezioni politiche dell’anno prima – il Pd in Sicilia si fermò al 18 per cento, quasi doppiato dal Movimento di Beppe Grillo che toccò l’imprevedibile percentuale del 34,5.

È indubbio che su tali risultati e sulle odierne difficoltà del «sì» al referendum, pesi la storica predisposizione del Mezzogiorno d’Italia a lasciarsi affascinare da politiche e movimenti alternativamente consociativi o ribellisti – dal laurismo al milazzismo – e comunque sempre antigovernativi o addirittura antirepubblicani: si pensi alla nettissima vittoria della monarchia nel referendum del 1946.

Né aiuta la campagna del sì al Sud – e questo è un fatto – la presenza di governatori (da Emiliano in Puglia a Crocetta in Sicilia) in pessimi rapporti con Renzi e a volte dichiaratamente schierati per il no. Ma anche questo elemento, come il precedente, spiega solo fino a un certo punto la difficoltà a raccogliere consensi per l’approvazione popolare del referendum costituzionale.

Per trovare una risposta convincente a certi comportamenti elettorali, forse serve – più semplicemente – rileggere i dati e le statistiche che fotografano questa area del Paese: i tassi di occupazione, quelli della disoccupazione giovanile, il pil pro-capite, l’asfissiante presenza della criminalità organizzata. Problemi che non nascono con Renzi, certo, ma per i quali il premier rischia di pagare oggi un prezzo assai salato. E l’idea che tale radicatissimo malessere possa esser fatto rientrare rilanciando suggestioni come il ponte sullo Stretto rischia di essere illusoria, oltre che assai rischiosa: come il 4 dicembre potrebbe dimostrare…

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