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Mattarellum 2: il ritorno

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L’ex premier archivia il “renzismo” e propone il ritorno alla vecchia legge elettorale in vigore tra il 1993 e il 2005, il “ Mattarellum ”. Come scrive Giovanni Sabbatucci, la proposta è una mossa che spariglia i giochi e riapre la partita.

Mattarellum, la legge che riapre la partita

Col suo intervento all’Assemblea nazionale del Pd, Matteo Renzi ha fatto capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, di non essere per nulla disposto ad abbandonare, seppur momentaneamente, il centro della scena politica, come in molti gli avevano suggerito.

A

l contrario, ha gettato sul tavolo una carta capace di sparigliare i giochi, al di là delle autocritiche e delle dispute retrospettive, e di mettere in difficoltà i suoi avversari interni ed esterni: la proposta di sciogliere il nodo della legge elettorale riesumando quella in vigore fra il 1993 e il 2005, che porta il nome dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Sul merito si può naturalmente discutere. Non dimentichiamo che quella legge fu scritta e applicata in una fase storica, la stagione del bipolarismo vincente, molto diversa dall’attuale; e fu a suo tempo contestata per il suo carattere ibrido (nel 1999 si tenne addirittura un referendum per l’abolizione della quota proporzionale, fallito per mancanza di quorum) e per la sua inidoneità ad assicurare da sola governi solidi e maggioranze stabili: basterà ricordare i travagli che accompagnarono la legislatura «ulivista» del 1996-2001. Ma di meccanismi capaci di assicurare quell’obiettivo ce n’è uno solo: il ballottaggio nazionale previsto dall’Italicum, oggi teoricamente in vigore, ma ormai abbandonato dai suoi stessi proponenti, anche perché inapplicabile in presenza di un Senato eletto, come vuole la Costituzione, su base regionale (non solo dunque per il timore di una vittoria dei grillini).

Il Mattarellum, con tutti i suoi difetti, presenta invece alcuni vantaggi indiscutibili. Si può reintrodurre con una legge di poche righe, senza nemmeno dover ridisegnare la carta dei collegi, e consente dunque di andare alle urne nei tempi rapidi auspicati anche dalle opposizioni. Ma soprattutto è al riparo da possibili contestazioni della Corte costituzionale: può dunque assicurare il sistema dal rischio di dar vita per la quarta volta a un Parlamento delegittimato, o comunque a rischio di delegittimazione. Un rischio che il Paese non può permettersi.

Resta da capire se la proposta sia oggi in grado di raccogliere una maggioranza, possibilmente non risicata. La minoranza del Pd si è detta disponibile, anche a costo di evidenziare i suoi cambiamenti di rotta e le sue contraddizioni interne (risultano tanto più incomprensibili i comportamenti «aventiniani»). La Lega si è dichiarata indifferente rispetto al sistema da adottare, tutto subordinando alla richiesta di elezioni subito. Grillo ha denunciato un non meglio definito «mercato delle vacche». I berlusconiani, corresponsabili undici anni fa dell’affondamento del Mattarellum, ritenuto non abbastanza maggioritario, e della sua sostituzione col Porcellum, si sono detti al momento contrari, ribadendo la loro recente conversione al proporzionalismo.

La situazione è dunque ancora fluida. Quel che è certo è che un’ampia convergenza almeno sulla legge elettorale contribuirebbe non poco a svelenire i toni del confronto, a cominciare da quello interno al partito di maggioranza relativa. Se invece prevalessero ancora una volta i tatticismi di breve respiro, l’unica alternativa possibile a nuovi e pericolosi pasticci sarebbe il recupero della vecchia normativa proporzionale pre-Mattarellum. Si tratterebbe evidentemente di una restaurazione. Ma sarebbe comunque preferibile a soluzioni raffazzonate e a compromessi pasticciati dell’ultima ora.

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