“Il massacro di civili deve finire” ha detto Trump e Il presidente americano Trump ha lanciato nella notte il suo primo attacco militare. Da due navi nel Mediterraneo sono partiti 59 cruise. L’obiettivo del blitz è la Siria di Assad e in particolare la base da dove erano decollati i jet che hanno sganciato il gas sarin sui civili della provincia di Idlib. Per il Segretario di Stato Tillerson c’è anche un messaggio alla Russia: “O è complice di Assad oppure non lo controlla”
Trump: “Il dittatore siriano Assad ha attaccato civili innocenti, ecco la nostra reazione”
L’annuncio del capo della Casa Bianca ieri sera alle 21,40 ora americana. Circa un’ora prima 59 missili Tomahawk erano stati sparati dalle navi Ross e Porter nel Mediterraneo
span class="nero">Con queste parole, pronunciate alle 9,40 di ieri sera dalla sua residenza di Mar-a-Lago, il presidente Trump ha annunciato di aver scatenato la rappresaglia contro Assad
. Circa un’ora prima, 59 missili Tomahawk erano stati sparati dalle navi Ross e Porter nel Mediterraneo, per colpire la base di al Shayrat, poco lontana da Homs. La pista da cui martedì, secondo l’intelligence americana, erano decollati gli aerei del regime siriano che avevano scaricato le bombe chimiche sulla popolazione di Khan Sheikoun.
«Il dittatore siriano Bashar al Assad – ha detto il capo della Casa Bianca – ha lanciato un orribile attacco chimico sui civili innocenti. Usando il mortale gas nervino, ha soffocato le vite di uomini, donne e bambini indifesi. E’ stata una morte lenta e brutale per così tante persone. Anche bei bambini sono stati crudelmente assassinati in questo attacco molto barbarico. Nessun figlio di Dio dovrebbe soffrire un simile orrore».
Quindi Trump ha detto di aver ordinato la rappresaglia, e ha spiegato le ragioni: «Prevenire e impedire la diffusione e l’uso delle armi chimiche è nel vitale interesse nazionale degli Stati Uniti. Non c’è dubbio che la Siria abbia usato ordigni vietati, violando i suoi obblighi in base alla Convenzione per le armi chimiche, e ignorando le sollecitazioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Secondo il presidente «anni di tentativi precedenti di cambiare il comportamento di Assad sono falliti, e falliti molto radicalmente. Come risultato, la crisi dei rifugiati continua a peggiorare, e la regione continua a destabilizzarsi, minacciando gli Usa e i loro alleati».
Quindi Trump ha lanciato un appello: «Stasera invito tutte le nazioni civili ad unirsi a noi nel cercare la fine del massacro e dello spargimento di sangue in Siria, e anche la fine del terrorismo di tutti i tipi. Speriamo che finché l’America difenderà la giustizia, la pace e l’armonia prevarranno, alla fine».
La giornata di ieri era cominciata con la conferma da parte dell’intelligence americana che l’attacco chimico di martedì era stato lanciato dal regime di Assad. La sorveglianza Usa aveva visto gli aerei decollare dalla base di al Shayrat, e seguendo il tracciato radar li aveva seguiti sopra Khan Sheikoun, fino a quando avevano sganciato le bombe. Trump aveva chiesto al Pentagono di offrirgli le opzioni militari per rispondere, e il segretario Mattis lo aveva seguito in Florida per presentarle nei dettagli. Le opzioni erano tre, e il presidente ha scelto quella più sicura, perché la possibilità di fare danni collaterali era limitata, e più legata all’attacco che voleva punire.
I leader dell’amministrazione, cioé T rump, Mattis, il segretario di Stato Tillerson, si sono riuniti a Mar-a-Lago e il capo della Casa Bianca ha dato via libera all’operazione. W ashington ha informato alcuni alleati, ma non Vladimir Putin. I militari americani però hanno avvertito i colleghi russi sul terreno che l’attacco stava arrivando. Nella base, infatti, c’era personale di Mosca, che così ha avuto il tempo di evacuare. Questo pone ora due problemi: primo, verificare che nessun soldato russo sia stato colpito, perché questo potrebbe scatenare uno scontro diritto fra le due potenze; secondo, appurare le responsabilità del Cremlino, perché se l’attacco chimico è partito da una base dove c’erano militari di Putin, o non hanno capito cosa accadeva, oppure sono stati complici.
Gli obiettivi erano la pista di decollo, gli eventuali aerei rimasti negli hangar, i distributori di carburante. Lo scopo strategico era rendere inutilizzabile la base e distruggere i suoi mezzi.
Quello politico era lanciare ad Assad, ai russi, agli iraniani e a tutto il mondo, il messaggio che gli Usa non sono più disposti a tollerare abusi. Solo pochi giorni fa l’amministrazione Trump aveva detto che rovesciare Assad non era più la priorità, perché intendeva concentrarsi sulla lotta al terrorismo. In passato però il capo della Casa Bianca aveva criticato il predecessore Obama, per non aver imposto il rispetto della «linea rossa» stabilita nel 2013, quando Assad aveva lanciato l’attacco chimico a Ghouta. Il presidente quindi è stato costretto ad agire per preservare la sua credibilità, e ha cambiato idea nel giro di due giorni, decidendo di intervenire.
Dopo l’attacco il segretario di Stato Tillerson ha detto che la linea politica sulla Siria non cambia: l’obiettivo resta quello di raggiungere un accordo politico sul futuro del paese ai negoziati di Ginevra gestiti dall’Onu. La rappresaglia di ieri quindi non rappresenta l’inizio di una lunga campagna militare sul terreno, ma dimostra la determinazione di Trump ad agire quando lo ritiene necessario. Se Assad tornerà ad usare le armi chimiche, ora sa cosa lo aspetta. Se vuole salvarsi, deve sedersi con intenzioni serie al tavolo del negoziato di Ginevra, che probabilmente determinerà la fine del suo potere e la partizione di fatto della Siria, anche se restasse formalmente unita.
Questo è un messaggio lanciato anche alla Russia, che ora dovrà decidere se sfidare gli americani, oppure lavorare con loro per sconfiggere i terroristi, stabilizzare il paese e convincere Assad a farsi da parte. Ma è un avvertimento anche per la Corea del Nord, inviato proprio mentre Trump cenava a Mar-a-Lago col collega cinese Xi. La linea è cambiata: la forza torna ad essere uno strumento che Washington è pronta ad usare, dove politica e diplomazia non bastano. Anche se comporta il rischio di allargare i conflitti.
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