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Castellammare di Stabia

Per l’Italia l’esame di maturità STEFANO STEFANINI

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TEFANO STEFANINI

Il viaggio di Barack Obama aveva tre obiettivi. A Riad, ricucire il rapporto con l’Arabia Saudita. A Londra, spezzare le reni a Brexit. In Germania stringere le file atlantiche, su Russia, Siria e Libia e rilanciare il trattato per la liberalizzazione commerciale (Ttip) come motore di crescita. Ha fatto un buco nella sabbia con il primo; in attesa del prossimo Presidente i sauditi non gli hanno fatto sconti. Ha ammonito i britannici che hanno solo da perdere con l’uscita dall’Ue; vedremo l’effetto nei sondaggi, intanto le scommesse su Brexit sono scese di quasi il 30%. I bookmakers non mentono.

A Hannover si gioca oggi la partita più importante, quella della coesione Stati Uniti-Europa. All’ultimo momento la Casa Bianca si è accorta che la Germania non bastava. Ha aggiunto Francia, Italia e Gran Bretagna. Esserci è molto importante e non era affatto scontato; in passato abbiamo spesso sofferto esclusioni da questo consesso. Matteo Renzi può vantare il successo, ma dovrà meritare il posto a tavola con idee, impegno e concretezza.

Mancano 265 giorni alla fine di quest’amministrazione americana: un’eternità. L’ha ricordato a Bruxelles il responsabile delle strategie politiche della Casa Bianca, David Simas.

Da giocatore di basket Obama sa che le partite si decidono spesso negli ultimi minuti o secondi. S’impegnerà fino alla fine. Presidente fuori dagli schemi, sin dall’improbabile vittoria nel 2008, affronta questo finale di amministrazione senza nascondere il proprio pensiero.

Di qui l’asprezza irritata dei fautori di Brexit, punti sul vivo; comunque vada, Boris Johnson rimpiangerà la frase sull’ipocrisia del «mezzo keniano». Più saggi e pazienti i sauditi che, malgrado freddezza e piccole scortesie, incassano assicurazioni difensive americane in cambio del loro impegno contro Isis. Un do ut des bilanciato. Né Riad né Washington hanno interesse a buttare alle ortiche un rapporto che rimane strategico. E non tutti i mali vengono a nuocere: a Riad, il Presidente uscente ha spianato la via al successore, a cui i sauditi vorranno riservare un’accoglienza più favorevole proprio per marcare la differenza.

Il Golfo può aspettare. L’Europa no. Dalle urne austriache suona un campanello d’allarme sul vuoto lasciato dai partiti tradizionali che populismo e estremismi sono pronti colmare. Voto su Brexit (23 giugno) a parte, entro giugno l’Ue decide sulle sanzioni alla Russia. Il 7-8 luglio il vertice Nato a Varsavia cercherà di bilanciare deterrenza di Mosca a Est con le minacce delle crisi mediterranee e del terrorismo di Isis a Sud. In Siria la tregua è appesa un filo. In Libia, il governo di Al Sarraj è l’ultima spiaggia di un Paese sull’orlo del precipizio. Isis può tracimare nei Paesi confinanti, Tunisia, Algeria, Egitto, e saldarsi attraverso il Sahara con la galassia jihadista africana. Nei prossimi mesi si decidono le sorti del Ttip: chiudere con Obama, magari con un accordo parziale rispetto alle ambizioni, o fermarsi e riprendere col nuovo Presidente, forse più esitante?

A Hannover, oggi, Barack Obama e i quattro leader europei decidono se la tempesta perfetta di giugno e luglio li trova insieme o in ordine sparso (che Brexit renderebbe caotico). Possiamo solo immaginare il fitto lavoro diplomatico dietro la presenza italiana; l’ambasciatore Varricchio non poteva iniziare meglio la sua missione a Washington. Proprio l’Italia è al centro delle due decisioni più importanti: segnali alla Russia e cosa fare in Libia.

Il segnale a Mosca verrà dal combinato disposto sanzioni Ue-vertice Nato. Fondamentali saranno fermezza e coesione. Il rinnovo delle sanzioni Ue può essere sufficiente. La Nato non deve abbassare la guardia, ma non ha bisogno di alzarla. Al contrario, l’attuazione dell’accordo di Minsk sull’Ucraina lascia troppo da desiderare per rimuovere le sanzioni. A Hannover l’attesa sarà che l’Italia esca dall’ambiguità; in cambio, Renzi può ottenere assicurazioni di moderazione per Varsavia. Oggi la priorità è evitare l’escalation militare, anche indicando che la rinnovata «prontezza» (Readiness Action Plan) dell’Alleanza è destinata anche a Sud e non è quindi in funzione anti-russa.

Secondo un alto funzionario del Pentagono, gli americani riconoscono il ruolo guida dell’Italia in Libia. Hanno finito con l’assecondare la nostra cautela, ma avvertono che sia il momento di dare un più risoluto sostegno al governo Sarraj. O sarà troppo tardi. Pensano, come noi, all’addestramento di forze libiche non ad azioni di combattimento, salvo operazioni di forze speciali contro Isis.

La Libia è l’amaro calice che Matteo Renzi non può più rinviare. Oggi può però tracciarne le linee rosse. Capita raramente all’Italia. Obama lo appoggerà. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione.

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