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entre i terremotati iniziano a pensare al domani, un ingegnere dell’ateneo di Pavia ci spiega che l’Italia ha inventato le tecniche antisismiche per mettere in sicurezza gli edifici, ma non le usa. Questo avviene perché nel nostro Paese ci sono “problemi di risorse e di volontà politica”.
Le misure antisismiche che l’Italia progetta ma esporta e non usa CLAUDIO BRESSANI
L’esperto: «Il costo? Solo il 10% di quello che pagheremmo per la ricostruzione»
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Per l’adeguamento degli edifici privati non ci sono obblighi di legge, solo gli incentivi fiscali del 65% per i Comuni inseriti nelle zone 1 e 2. Per gli edifici definiti strategici gli obblighi invece ci sarebbero, «eppure – osserva il professor Bazzurro mentre nel pomeriggio torna dalla riunione della commissione Grandi rischi a Roma – in tutto l’epicentro non è rimasto più un edificio pubblico agibile. L’ospedale è andato giù, le scuole pure, la caserma dei carabinieri è lesionata. Ci sono programmi per intervenire, ma poi per attuarli di solito si aspetta la catastrofe. Dove è stato fatto, come a Norcia dopo il sisma del 1997, ha dimostrato la sua efficacia. La forza del terremoto che l’altra notte ha colpito la cittadina umbra è stata solo di poco inferiore a quella di Arquata del Tronto. Quest’ultima è distrutta, mentre a Norcia non c’è stato un solo morto e credo neanche un ferito».
Cosa possiamo fare dunque per proteggere i vecchi edifici di cui l’Italia è piena? «Se partiamo con l’idea di trasformare quelli in muratura raggiungendo livelli di sicurezza comparabili con gli edifici moderni costruiti con criteri antisismici, bisogna rassegnarci: non ci si arriverà mai. Ma sarebbe già un grande risultato renderli sicuri, fare cioè in modo che non collassino e che la gente non resti sotto». E quanto costa? «Si può fare con una spesa abbordabile, nell’ordine del 10 per cento di quello che costerebbe la ricostruzione».
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«Gli antichi edifici in muratura – osserva ancora il professore pavese – stavano in piedi con catene, tiranti, morsature agli angoli, tetti in legno. Poi le catene sono state tolte, magari per ragioni estetiche, le finestre sono state ingrandite, sono state aggiunte porte, il tetto è stato rifatto in cemento armato che pesa di più. Risultato: l’edificio è diventato più vulnerabile».
Per migliorare la sicurezza può bastare poco, dalle semplici piastre per aggiungere vincoli, ad esempio tra pilastro e trave, alla posa di tendini d’acciaio all’aggiunta di elementi di rinforzo come archi o puntelli. Per gli edifici in cemento armato si va dal rendere le colonne più resistenti con un «jacket», un cappotto di calcestruzzo o materiali compositi, all’isolamento alla base, cui si ricorre di solito per edifici più importanti come ospedali e che si può adottare anche per quelli esistenti, dopo averli «sollevati». All’Aquila è stato impiegato diffusamente anche per i moduli abitativi del progetto Case. Soprattutto per gli edifici in acciaio si usano gli smorzatori o dissipatori sismici. Altre tecniche più complesse, come il cosiddetto «slosh tank», si utilizzano per edifici più alti come i grattacieli.
Gli strumenti a disposizione sono parecchi, per decidere quali adottare serve un’attenta analisi delle caratteristiche di ciascun edificio. Certo, il problema è che sono centinaia di migliaia: «Ci vogliono tanti soldi – conclude il professor Bazzurro – ma sono comunque meno di quelli che spendiamo per ricostruire».
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