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Le motivazioni della condanna a Pogliese e altri deputati: Spese ingiustificabili, doppi rimborsi e collaboratori in nero

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Le motivazioni in primo grado dei Giudici di PA che hanno condannato a 4 anni e tre mesi l’allora deputato regionale oggi sindaco di Catania.

I Giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo hanno motivato severamente la sentenza del 22 luglio 2020 nei confronti di Salvo Pogliese, al tempo dei fatti deputato regionale del Pdl (centrodestra) e oggi sindaco di Catania, confluito qualche anno addietro in FdI, il partito di cui è presidente Giorgia Meloni la quale nel 2019 l’ho nominò coordinatore regionale della Sicilia orientale di Fratelli d’Italia.

Il Collegio presieduto da Fabrizio La Cascia, con Giudici a latere Daniela Vascellaro e Elisabetta Stampacchia – a seguito alle indagini condotte dal Procuratore aggiunto Sergio Demontis e dal Sostituto Laura Siani prematuramente scomparsa e dei Finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria – ha depositato il 10 gennaio 2021 le motivazioni della sentenza che a luglio ha condanna a 4 anni e tre mesi il primo cittadino, accusato di peculato. Pogliese era stato sospeso per effetto della legge Severino, poi dopo il ricorso dei suoi legali a settembre 2020 a dicembre è stato reintegrato, poiché il Tribunale civile aveva accolto l’opposizione contro la sospensione.

Nella sentenza, i Giudici ripercorrono tutte le spese fatte con i soldi dell’Assemblea regionale all’epoca in cui Pogliese era vice presidente del gruppo Pdl, dal 2008 al 2012: innanzitutto, 1.200 euro per lavori di ristrutturazione nello studio del padre. Poi 1.366,20 per una serie di regali in occasione del Natale 2010 (bottiglie di vino, panettoni, salami e prodotti gastronomici vari).

“Tutte cose comprate dall’imputato presso un centro commerciale di Caltagirone – scrivono i Giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna – La merce fu poi recapitata presso lo studio professionale dell’imputato, come risulta dal documento di trasporto. Si tratta di spesa certamente non funzionali alle attività del gruppo parlamentare, in quanto trattasi di regalie per cui sono stati utilizzati soldi pubblici, non in occasioni di specifici eventi istituzionali e non dirette a personalità istituzionali”.

I Giudici ripercorrono le indagini della Guardia di finanza coordinate dall’allora Sostituto procuratore, oggi procuratore aggiunto Sergio Demontis e parlano di “numerose irregolarità sulla gestione del conto”. Vengono contestati anche 8.267,70 euro di alberghi per Pogliese e i familiari.

“In quel periodo – scrive il Collegio, respingendo le argomentazioni della difesa – Pogliese aveva percepito una specifica diaria a titolo di rimborso per le spese di soggiorno a Palermo”. Pertanto non aveva diritto ad un altro rimborso e naturalmente non doveva pagare con i soldi pubblici l’albergo ai familiari.

L’allora deputato regionale aveva un rimborso anche per pranzi e cene, pure per la benzina. E, invece, rileva il Tribunale di Palermo, prese dal conto del gruppo parlamentare 6.221,80 euro per il vitto, 20.610,43 per il carburante.

Al centro dell’indagine ci sono i rimborsi che ogni mese l’Ars prevede per le spese dei gruppi politici costituiti in quella legislatura: tra vari rialzi e tagli nel corso degli anni, si tratta di un minimo di tremila euro per ogni deputato, gestiti dal capogruppo. In questo caso, quindi, da Innocenzo Leontini, allora a capo del gruppo Pdl (centrodestra) all’Ars.

Se non fosse che, per un accordo tra partiti, le fila del Popolo della libertà avevano accolto pure i parlamentari di Alleanza Nazionale, in una sorta di sotto-gruppo gestito proprio da Salvo Pogliese.

Sulla base di questo accordo, il Pdl versava quasi ogni mese sui conti di AN la quota parte del contributo spettante al sotto-gruppo. Secondo i Pm, in totale, 364.438,26 euro su un contributo unificato di 1.566.571 euro.

Da questi conti, a cui erano collegate anche carte di credito e bancomat utilizzate da Pogliese, nel corso degli anni sono partiti bonifici e assegni anche verso i conti personali dell’attuale sindaco. Creando, per l’accusa, non solo una serie di spese che nulla avevano a che vedere con le finalità del contributo, ma anche una confusione col patrimonio personale dell’ex deputato che poco si adatta a una gestione trasparente del denaro pubblico.

Carburante, ristoranti, fast-food e hotel: 41.183,13 euro contestati. Spese sostenute non solo a titolo personale, ma anche per parenti e amici, come il soggiorno all’hotel Athenaeum di Palermo insieme ad autista, moglie, figlio, suoceri e altri ospiti non legati alla politica.

Spese che si affiancano a quelle per i ristoranti – “anche in questo caso, parte dei contributi pubblici è stata utilizzata in favore di soggetti diversi dal deputato” – per la benzina e per le spese telefoniche.

Tutti costi non solo illegittimi, secondo i Giudici, ma già coperti da altri rimborsi percepiti da Pogliese: la diaria per le spese di soggiorno a Palermo, i buoni pasto presso il ristorante dell’Ars, l’indennità di trasporto su gomma “che Pogliese percepiva direttamente sul proprio conto” così come il rimborso forfettario di 4150euro all’anno per le spese di rete sia mobile che fissa.

“ln sostanza – sintetizzano i Giudici – l’imputato ha lucrato un duplice rimborso per la medesima fonte di spesa”. La retta dell’asilo, i lavori allo studio e le ceste regalo: 2846,20 euro contestati. Dai 280 euro per pagare al figlio la scuola dell’infanzia ai 1366,20 euro utilizzati per l’acquisto di 40 ceste regalo consegnate presso lo studio di commercialisti diretto dal padre Antonio. E anche 1200 euro per pagare parte dei lavori di ristrutturazione presso lo stesso studio del padre: maniglie delle porte, saldature e pittura. Spese che lasciano allibiti gli stessi Giudici, per i quali “sul punto appare superfluo ogni ulteriore argomentare”.

I Giudici contestano anche che in “due conti vi era una iniziale giacenza di poco meno di 90mila euro e in seguito affluirono, durante la legislatura, ben oltre 540milaeuro”. Sono quelli che il Sindaco di Catania Pogliese ha indicato come stipendi e Tfr dei dipendenti del Gruppoo politico, più alcune spese per il funzionamento di quest’ultimo.

Sul punto, i Giudici riportano le testimonianze di alcune persone chiamate dalla difesa. Come l’autista di Pogliese che ha raccontato di aver ricevuto 17mila euro di anticipo per stipendi e tredicesima. Somme, evidenziano i Giudici, di cui non si sa anticipate da quale conto e, soprattutto, «versate in nero e non documentate da qualche pur informale ricevuta di pagamento».

Un caso non isolato, poiché continuano i Giudici “Diversi collaboratori operavano per il Pogliese e per il gruppo ex AN senza alcun contratto percependo in nero varie somme di denaro alle quali si faceva fronte attingendo alle somme concesse a titolo di contributo unificato”.

Inoltre gli esponenti politici locali di Catania, chiamati a testimoniare, hanno raccontato di avere ricevuto delle cifre per attività di propaganda politica. Soldi per i Giudici “non riferibili al funzionamento del gruppo all’Ars”.

Pogliese continua a proclamarsi innocente. Quando è stato reintegrato nella poltrona di sindaco ha detto: “Sono consapevole della mia buona fede e della mia condotta sempre rispettosa delle regole e delle leggi”. Ora, punta tutto sul processo d’appello.

A luglio, con la stessa sentenza, i Giudici hanno condannato gli ex deputati Cataldo Fiorenza (dirigente medico, Partito dei siciliani – MPA) a 3 anni e 8 mesi, Giulia Adamo (preside, Componente Commissione D’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia – PDL) a 3 anni e 6 mesi, Rudy Maira (avvocato, vice presidente della Commissione regionale Antimafia, ex Dc, poi UDC e quindi in Popolari di Italia Domani  e Cantiere popolare) a 4 anni e 6 mesi e Livio Marrocco (nel 2008 Vice Presidente Commissione D’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia, Futuro e Libertà) a 3 anni.

Indagini che coinvolsero un’ottantina di persone tra onorevoli e dipendenti passando al setaccio le spese dei capigruppo in carica dal 2008 al 2012. In tutti questi anni ci sono state sentenze di condanna da parte della Corte dei Conti, che ha inflitto agli ex onorevoli il pagamento di laute somme come risarcimento per le “spese pazze”. Solo Giulia Adamo deve rifondere 180 mila euro. Il percorso seguito dalla Giustizia contabile è stato parallelo, ma più spedito della giustizia ordinaria, e ha visto già emettere condanne definitive.

Anche per i Giudici di primo grado del Tribunale di Palermo: cravatte, spese, cene, regali, erano spese personali, ingiustificate e che poco c’azzeccavano con la rappresentanza politica. Anche in un parlamento regionale, quello siciliano, che ha sempre avuto regole elastiche e generose sulle spese per i gruppi parlamentari.

I Giudici, nelle motivazioni della sentenza di condanna, parlano di “disvalore delle condotte degli imputati, oltre che apprezzabile in termini di danno patrimoniale alle casse dell’Erario come rilevato nel corso dei giudizi di responsabilità contabile, conclusisi con sentenza di condanna, è stato anche e soprattutto di ordine morale, essendo stato leso il prestigio e l’immagine dell’Ars, la quale è bene ricordare in virtù della sua storia e del particolare stato legislativo di cui gode, è l’unica assemblea regionale all’interno dello Stato Italiano i cui componenti sono definiti deputati, al pari di quelli nazionali”.

Ad esempio, nelle spese nel carrello di Giulia Adamo c’erano liquori e vini pagati 1600 euro, la famosa borsa Luis Vuitton costata 440 euro, cravatte e carrè di seta Hermes da 1.320 euro, una borsa Bagagli da 145 euro. Tutti acquisti “estranei all’attività parlamentare” e privi di “giustificazione contabile coerente con la finalità per cui era stato concesso il contributo”, scrivono i Giudici.

Su Giulia Adamo, la cui condanna le ha fatto perdere il treno per la candidatura alle amministrative di Marsala, ci sono due episodi singolari. Uno riguarda la festa in casa dei suoceri del deputato Aricò “dove era stata organizzato su input del presidente della Regione Lombardo una sorta di festa di riconciliazione dopo alcuni contrasti politici che avevano caratterizzato quel periodo. A tale evento avevano partecipato numerosi onorevoli e lo stesso Presidente della Regione”. Per ringraziarli Giulia Adamo gli regalò un portafogli Luis Vuitton. Una circostanza che i giudici hanno fatto passare, perchè, seppure si era trattato di un evento conviviale era stato organizzato per “ragioni politiche interne” e se avessero dovuto affittare un locale, gli sarebbe costato molto di più. C’è poi anche il regalo a Gianfranco Miccichè, allora Sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, 300 euro in bottiglie di vino. Ma questa circostanza è stata smentita dalle indagini. Non poteva essere un regalo per l’attuale presidente dell’Ars: lo scontrino era datato 29 aprile, Miccichè compie gli anni il primo aprile.

Per l’altro trapanese, Livio Marrocco, sono state ritenute legittime le spese per l’evento organizzato il 19 luglio 2012, all’hotel Villa Igiea, al quale era presente l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, ritenute spese di rappresentanza e in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio.

Nell’immagine di copertina il tribunale di Palermo, il municipio di Catania e l’ARS (Assemblea Regionale Siciliana).

L’opinione.

span style="font-size: 14pt;">Come se ne esce

dal risaputo, generalizzato, decennale, trasversale, incancrenito, tronfio, ipocrita, clientelare, familista e ormai come costituzionalizzatosi, sistema politico, nazionale e regionale, di tutta evidenza culturalmente ingordo, traviato, misantropo, sprezzante, se non anche in diversi perseguiti casi, mafioso ?

Adduso Sebastiano

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