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Castellammare di Stabia

La Rai racconta l’autismo ma ne ignora le difficoltà GIANLUCA NICOLETTI*

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er il 2 aprile giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, la Rai per poterne parlare chiede solo «storie a lieto fine». Da padre di un ragazzo autistico, mi lascia molto perplesso l’indicazione che è stata data all’associazione nazionale dei genitori di autistici. 

L’Angsa chiede infatti di fornire unicamente casi che non diano l’idea che in Italia l’autismo sia un problema.  

Si legge nella circolare diffusa agli associati dalla presidentessa dell’Angsa di Bologna Marialba Corona: «Per specifica richiesta Rai devono essere casi positivi di una buona prassi, di un successo, di un buon esempio, di buona gestione o di buona amministrazione ecc ecc . La Rai valuterà i casi che verranno sottoposti e sceglierà quelli che poi dovrà filmare per lanciarli sui programmi».  

Significa forse che le famiglie che gestiscono figli autistici sono invitate a segnalare le loro storie, purché siano tranquillizzanti e le istituzioni non siano messe in difficoltà? Può essere forse una interpretazione malevola, posso sbagliarmi e spero di aver frainteso, ma mi è difficile pensare diversamente quando leggo che, chi si volesse proporre per un passaggio Rai, deve segnalare: «una storia, una buona prassi, una buona amministrazione, una difficoltà o un problema magari risolto o in avvio di soluzione». Con l’aggiunta, a mio avviso imbarazzante per l’idea che ho di servizio pubblico: «Per espressa richiesta della Rai queste pillole devono lasciare il messaggio positivo di quanto sia possibile fare e di quanto si possa ottenere (..) Può essere un esempio d’inclusione nella scuola o nel sociale, o nel lavoro o tra un gruppo di amici, un aiuto che avete avuto».  

Mi viene da immaginare che ancora una volta gli autistici resteranno invisibili, almeno se tale sia effettivamente la «conditio sine qua non» per cui la Rai il 2 aprile, possa trattare il tema dell’autismo nei suoi programmi.  

In realtà le famiglie di autistici, che ben conosco, non hanno per nulla l’impressione di vivere in un idillio. Nel nostro Paese ancora si naviga a vista riguardo un serio e informato approccio abilitativo rigorosamente basato sulle evidenze scientifiche. Ne è stato testimone proprio un programma Rai di poche settimane fa, condotto dall’ottimo Riccardo Iacona, dove per la prima volta è risultato evidente il fiorente mercato delle illusioni che prospera sulle presunte cure omeopatiche per contrastare il presunto effetto dei vaccini in soggetti autistici.  

Sta riprendendo piede e sostegno, anche istituzionale, il detestabile approccio di alcuni psicanalisti psicodinamici, quelli che danno la colpa dell’autismo alle madri. Nelle scuole italiane si apprezza lo sforzo, ma ancora l’idea d’inclusione reale di soggetti neurodiversi è molto lontana dall’essere una realtà.  

Nessuno ancora riesce a dare risposte alle famiglie riguardo cosa accadrà ai loro figli autistici adulti, soprattutto quando i genitori non potranno più pensarci. Lo so bene, il mio sta per compiere 18anni e già dovrò ricominciare di nuovo la trafila delle valutazioni per dimostrare che non è guarito. E dopo? Inizierà per lui la dimensione del «fantasma» fuori da tutto e destinato a finire, prima o poi, in uno di quei posti che, con edulcorate formule nessuno ha più il coraggio di chiamare «manicomio»? 

Credetemi, non è facile essere ottimisti e parlare di buone prassi, quando si raccolgono quasi prevalentemente richieste disperate di aiuto da parte dei propri «colleghi» con un figlio autistico a carico e una montagna da scalare, da soli, ogni mattina. 

*lastampa

 
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