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La qualità della vita da Nord a Sud. Ancora il Meridione complessivamente in fondo alla classifica

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Come ogni anno torna la classifica sulla qualità della vita nelle province italiane. A cura di ItaliaOggi e Università La Sapienza di Roma.

span style="font-size: 14pt;">Anche quest’anno torna la classifica della “qualità della vita” nelle provincie italiane giunta alla sua ventiduesima edizione e stilata quest’anno da ItaliaOggi e l’Università La Sapienza di Roma. L’anno passato ci eravamo occupati della classifica sulla “qualità della vita” in Sicilia. E già il titolo dell’articolo era purtroppo eloquente “17 Dicembre 2019 Qualità di vita, sei provincie siciliane agli ultimi posti”. Impietosa al riguardo l’allora nostra “opinione” come purtroppo ancora quella odierna in calce.

Quest’anno sostanzialmente viene nuovamente confermata la pressocché rafferma situazione nazionale degli anni passati, con le regioni del Nord Italia complessivamente più vivibili rispetto a quelle del centro e del Sud, pertanto un Meridione, una Calabria e una Sicilia generalmente ancora nella parte bassa della classifica. Le province che figurano nelle posizioni di testa sono come nella passata edizione delle province dell’Italia settentrionale.

Un risultato che per certi versi lascia sconcertati poiché il clima, l’aria, il sole, il mare, la cucina e tanto altro, sono un insieme di elementi innati e naturali propri del Sud Italia, in particolare della Sicilia, i quali danno un senso di benessere non facilmente ritrovabili unitamente in altre località persino nel mondo. Eppure è sempre il Meridione e anche l’Isola a rimanere indietro pressoché in tutto quando si tratta di progresso civile, modernità, sviluppo, quindi infrastrutture, collegamenti, lavoro, occupazione, criminalità, insomma a rimanere indietro nel generale benessere, indipendenza economica e crescita individuale e sociale.

Complessivamente il risultato vede Pordenone nel Friuli-Venezia Giulia è al primo posto, seguita da Trento, in quintultima posizione Napoli e in coda alla classifica Foggia.

Quest’anno la classifica è stata influenzata anche dal parametro della pandemia, tanto che rispetto all’anno passato le province più colpite dalla prima ondata della pandemia sono infatti quelle che perdono più posizioni in classifica generale. Bergamo scende dal 26esimo posto dell’anno scorso al 40esimo di quest’anno. Lodi indietreggia di 37 posizioni, Milano di 16, Piacenza di 41, Cremona addirittura di 46. Ma la sostanza generale rimane. Il Sud e la Sicilia rimangono sempre un fanalino di cosa.

La graduatoria evidenzia come quasi la metà della popolazione italiana, circa il 42,5 per cento abita in territori contraddistinti da una qualità della vita scarsa o insufficiente.

Le provincie caratterizzate da un livello di qualità della vita insufficiente è composto anche quest’anno da province dell’Italia meridionale e insulare. Cioè il 60,1% circa della popolazione residente nel Mezzogiorno è al di sotto di livelli considerati civilmente accettabili.

Le prime posizioni, dopo Pordenone e Trento, vedono due nuovi ingressi: Vicenza (era 14ª) e Padova (11ª). Ma il salto più alto è di Ascoli Piceno: dalla 37ª alla quinta posizione.

In fondo alla classifica, sopra Foggia rimane stabile come l’anno passato, Crotone in Calabria, mentre Agrigento sale due gradini.

Perdono posti le grandi aree urbane: per trovare Milano bisogna scendere alla posizione 45 (era 29ª); Roma è al 50° posto (ma in risalita dal 76°), Torino al 64° (dal 49°) Napoli è in coda (103ª, era terzultima).

Nel settore degli affari e lavoro tengono il livello Bolzano e Bologna che aprono la classifica mantenendo le posizioni di vertice già ottenute in passato, così come Trento, che al terzo posto e di nuovo conferma i piazzamenti già ottenuti negli ultimi anni. Ultima in classifica, come nel 2019, è Crotone.

Il rispetto dell’ambiente trova la città di Trento al primo posto, seguita da Milano, Pordenone e Sondrio. Come lo scorso anno, chiude la classifica Catania.

In materia di reati e sicurezza spicca Ascoli Piceno considerata la provincia più sicura d’Italia, confermando gli ottimi piazzamenti già conseguiti nelle passate edizioni. Seguono Nuoro in Sardegna, Treviso e Oristano della Sardegna centro-occidentale, che a loro volta confermano la presenza nelle zone alte della classifica. Rimini chiude la classifica in ultima posizione per il terzo anno consecutivo.

La sicurezza sociale quest’anno è stata condizionata dalla pandemia in corso, sicché la variazione nella mortalità e l’incidenza dei casi registrati di Covid-19 hanno variato la classifica rispetto al passato. La provincia che quest’anno apre la classifica è Imperia, con un balzo di 89 posizioni, seguita da Benevento, Ascoli Piceno e Fermo.

Nell’istruzione e formazione è Trento la provincia/città metropolitana a classificarsi in prima posizione. A seguire altre tre province del Nordest, Bologna, Trieste e Udine. Ultima in classifica è Crotone.

Per quanto riguarda la salute, Isernia in Molise, si classifica ancora al primo posto, seguita da Terni, Cagliari e Catanzaro. Le posizioni di coda vedono 6 città dislocate nel Nordovest, Cuneo, Vercelli e Asti; Como; Imperia e La Spezia. Anche il Nordest figura nel gruppo di coda con 6 province, fra cui Trento; Vicenza e Treviso; Trieste e Gorizia; Reggio Emilia.

Il tempo libero e turismo confermano ancora al primo posto i piazzamenti conseguiti nelle sei passate edizioni, così come Rimini, Aosta e VerbanoCusio-Ossola, mentre Grosseto si piazza in quinta posizione. Ultima Crotone.

Il reddito e ricchezza vedono Milano confermata come lo scorso anno al primo posto inquanto tenore di vita. A seguire nel gruppo di testa c’è Bologna, che a sua volta conferma il secondo posto del 2019, Aosta e Parma. Chiude ancora la classifica, come lo scorso anno, la provincia di Crotone.

Dove la qualità ambientale risulta ‘insufficiente’ ci sono 5 province del Nordovest (Asti e Alessandria in Piemonte; 3 delle 4 province liguri ad eccezione di La Spezia), una provincia del Nordest (Ravenna in Emilia Romagna), 6 province del Centro Italia contro le 7 della passata edizione (MassaCarrara, Arezzo, Pistoia e Grosseto in Toscana, Latina e Frosinone nel Lazio) e 18 province in Italia meridionale e insulare, contro le 13 dello scorso anno (Napoli in Campania; tutte le province pugliesi ad eccezione di Lecce; Vibo Valentia e Crotone in Calabria; tutte le province siciliane ad eccezione di Agrigento.

La popolazione vede in basso Alessandria, Biella e Savona, mentre si collocano in testa Bolzano, Barletta-Andria-Trani, Caserta, Ragusa, Catania, Napoli e Palermo.

Nella complessiva coda della classifica, Messina registra la prima posizione in Sicilia seppure al 90esimo posto di quella generale, segue poi Catania (92), Trapani (95), Caltanissetta (97), Palermo (99), Ragusa (100), Enna (102), Siracusa (104), Agrigento (105). Più in basso ci sono solo Crotone in Calabria (106) e Foggia in Puglia (107).

Nel Meridione si registra un avanzamento rispetto al passato di Reggio Calabria, che passa dal 90esimo al 78esimo posto. La prima provincia meridionale è Benevento, al 33esimo posto, addirittura 42 posizioni più su rispetto all’anno scorso, poi Matera al 54esimo (+16), Avellino al 70esimo (+13), tre province sarde dal 71esimo al 75esimo posto.

L’opinione.

Insomma: poveri noi, “cambia tutto per non cambiare nulla”, che sia rosso, nero, bianco, azzurro, verde, giallo o tutti assieme, arcobaleno. Fino a quando la retorica ufficiale e il benaltrismo potranno ammorbare questa Nazione e specialmente il Sud, nonché potranno arrivare soldi da prestiti internazionali e anche nostrani, seppure nessuno sa come si ripagheranno in futuro, l’inerzia sarà la nostra primaria forza nazionale. Fino a che dura. E chi non perirà vedrà. Tuttavia è da temere che le prossime generazioni, così continuando, abbatteranno anche le nostre tombe per la disperazione, poiché una corrente e soprattutto precedente blasonata classe pubblico-politica-giuridica-istituzionale-burocratica-professionale-sociale, di interiormente predoni, parassiti, avidi e misantropi, da anni, per i propri interessi personali, familisti, corporativi e di appartenenza, sta costituzionalmente demotivando e desertificando la Penisola. L’immagine di copertina d’altronde è significativa. Un’Italia spaccata in due e frazionata in mille pezzi. Lo dicevano già gli antichi Greci (Macedoni) e lo ripetevano anche gli antichi Romani (e quelli attuali in privato nelle stanze di Stato, Palazzi, Regioni, Enti e Comuni, come pure partiti e movimenti): “Dividi et impera” per soggiogare, controllare e governare un popolo o una comunità, seminando rancori e persino odio fra la gente, causando rivalità, invidia feroce e fomentando scontri politici, ideologici, confessionali, etici, ecc. In particolare al Sud e in Sicilia, questa trasversale ed annosa “consorteria” umana, guarda caso parallela alla criminalità organizzata se non a volte anche organica, da decenni, dagli scranni più alti fino all’ultimo sgabello, ci assoggetta legalmente con le “LORO” leggi e pure compiacente rispettiva giurisprudenza, al: clientelismo, voto di scambio sociale, corruzione, estorsione fiscale, bisogno, abbandono scolastico, frustrazione individuale e collettiva, sottocultura scientifica e civile, rassegnazione, impotenza amministrativa, emigrazione, ecc. Ma come se ne esce ?

Adduso Sebastiano

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