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Se la politica scopre la sobrietà FEDERICO GEREMICCA *

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FEDERICO GEREMICCA

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Alla fine di una settimana terribile, volata via tra bus che si schiantano, kamikaze che esplodono e blitz a ripetizione, quel che resta è uno stato d’animo che mescola assieme angoscia, necessità di reagire e disappunto.

L’angoscia è figlia di una impalpabile ma evidente certezza: non c’è più stazione, aeroporto o piazza d’Europa nella quale ci si possa sentir davvero sicuri. La necessità di reagire è imposta dalle cronache di questi giorni, che reclamano una battaglia di civiltà e di intelligence ormai non più rinviabile. Il disappunto, infine, riguarda certe faccende nostrane, di fronte alle quali è difficile sfuggire ad una sensazione: che la politica italiana – o almeno certa politica – dia il meglio di se quando tace.

La sordina che i fatti di Catalogna e di Bruxelles hanno inevitabilmente imposto alla solita girandola di polemiche italiane, ha infatti prodotto un’immagine di sobrietà alla quale non eravamo più abituati. Per una volta – forse finalmente consapevoli che anche le strumentalizzazioni devono avere un limite – perfino le forze cosiddette antisistema si sono adeguate a una regola elementare anche in politica: quella del rispetto e del silenzio.

Non era scontato che fosse così, anche perché in passato non è sempre stato così. Le esplosioni di Bruxelles, stavolta, non sono state l’occasione per strillare comunque contro il governo e le sue presunte inefficienze; la litania immigrazione uguale terrorismo è stata recitata a bassa voce, e solo da qualcuno dichiaratamente fuori dal coro; e alle forze antisistema è stata risparmiata, per una volta, l’accusa tradizionale: è il vostro xenofobismo a determinare radicalizzazione e terrorismo.

Sì è potuto provare a ragionare di quanto accaduto e delle cose da fare, con un tasso di strumentalismo e demagogia inferiore al solito. È come se la cittadella politica, stavolta, avesse consapevolmente scelto la via della sobrietà: osservando, quasi incredula, il tourbillon di accuse, risse e dimissioni nel quale – intanto – sprofondava un Belgio scosso e ferito.

Potremmo sbagliare: però non scommetteremmo un euro sul fatto che un tale clima possa durare ancora a lungo. Il legittimo sospetto, insomma, è che la politica italiana abbia messo, per così dire, la sua polvere sotto il tappeto: ma che sia prontissima, esaurito il cordoglio, a ricominciare precisamente da dove aveva lasciato. E quel che aveva lasciato in sospeso, sono due «chiarimenti» non più rinviabili: il cui esito potrebbe proiettare novità non banali sull’intero sistema politico del Paese.

Il primo era l’annunciatissima Direzione del Partito democratico nella quale – per dirla alla Renzi – si sarebbero dovuti «fare i conti» su faccende assai scottanti: il rapporto con Verdini, l’asse strategico del Pd, il caso-astensione sul referendum di metà aprile, il doppio incarico del segretario-presidente e via elencando.

Il secondo «chiarimento» atteso, era forse ancor più importante: e riguarda il futuro del centrodestra italiano che, a partire dalla frantumazione dell’alleanza a Roma, potrebbe uscire dalle ormai vicine elezioni di giugno completamente trasformato: trasformato nella sua natura (da moderata a radicale) e rinnovato nella leadership.

È evidente che entrambi i passaggi – delicati e nient’affatto scontati – sono stati soltanto rinviati, e che né il Pd né il centrodestra potranno sottrarvisi. Difficile dire se in questa settimana di «chiuso per lutto» le parti in lotta abbiano discretamente trattato alla ricerca di una soluzione. Lo si potrà rapidamente scoprire alla ripresa delle ostilità.

Per ora, ci si può limitare a segnalare l’unica novità forse maturata all’ombra dei lutti cittadini e delle stragi belghe: la scelta del nuovo candidato-sindaco Cinque Stelle a Milano al posto della giubilata Bedori. Poche righe sui giornali e polemiche vicino allo zero. Come in verità sarebbe normale – e dunque auspicabile – anche in assenza delle bombe del Califfo e di lutti dolorosissimi.

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