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Castellammare di Stabia

L’Europa non è mai stata così divisa STEFANO STEFANINI*

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n respiro di sollievo per l’accordo su Brexit. Il 2016 dell’Europa resta in salita ma almeno i leader non si sono bloccati alla partenza. Non si sono intestarditi sulla lana caprina di consentire o no al Regno Unito di non essere vincolato alla clausola della «unione sempre più stretta» (ever closer union).  

Un annoiato, e interessato, Alexis Tsipras aveva osservato che dovrebbe piuttosto pensare al rischio di disintegrazione sotto le spallate dei rifugiati.  

L’Unione non è mai stata così divisa. Ieri si è parlato dell’accordo con la Gran Bretagna e d’immigrazione; ma nel retroscena ci sono anche le tensioni sulle banche, la Russia e il braccio di ferro sull’austerità. 

L’Europa è abituata alle lunghe notti. È abituata alla limatura del consenso. L’accordo arriva tardi o all’alba, quando nei leader si prosciuga anche l’adrenalina. Se non c’è accordo, si rinvia al vertice successivo. Questo vertice non faceva eccezione ma qualcosa è diverso. I due nodi sul tavolo, uscita del Regno Unito e immigrazione, cambiano comunque profondamente l’Europa. 

L’Europa del 31 dicembre 2016 sarà un’Europa diversa da quella del 1° gennaio. I leader possono pilotare il cambiamento; non possono né ignorarlo né rinviarlo al mittente. Alcuni (e Matteo Renzi è fra questi) lo capiscono; alcuni lo strumentalizzano; altri si rifugiano in fughe nel passato.  

Se la Gran Bretagna rimarrà nell’Unione, sarà definitivamente un’Europa a due, o più, velocità. L’allentamento di alcuni vincoli sarà contagioso per molti anche se non nella forma «prendere o lasciare» che Londra è stata capace d’imporre. Un consistente gruppo di paesi, identificabili con l’eurozona, potrà spingersi sulla strada del «più Europa». È necessario per alcuni passi finora fatti a metà, come l’unione bancaria. Dovranno stare attenti a non forzare la mano a elettorati e opinioni pubbliche che non vogliono «troppa Europa». I britannici non sono soli nel dubitare dell’Ue.  

Con Brexit avremmo un’altra Europa. Parliamoci chiaro. Senza l’Ue, il Regno Unito è un’isola nell’Atlantico. Senza Londra, l’Europa è una penisola euroasiatica fra Atlantico e Mediterraneo. La posta geopolitica è enorme. Ieri i leader europei, Cameron compreso, hanno fatto la loro parte. Adesso la parola passa ai cittadini col referendum. Aspettiamoci anche interventi dall’esterno di pezzi da novanta, come Obama che visiterà la Gran Bretagna in primavera. Quanto al mito di un’Ue più coesa dopo Brexit chiedere a Budapest o a Varsavia. A meno di procedere per eliminazione e scartare altri pezzi alla ricerca di un nocciolo duro. 

Se Brexit rischia di staccare un pezzo d’Europa, l’immigrazione la sta dilaniando. Gli europei devono rassegnarsi a conviverci. Quand’anche il cessate il fuoco tenesse e il negoziato decollasse, la Siria continuerà a produrre rifugiati prima di rientri. Non c’è solo la Siria, ci sono Iraq, Afghanistan, Corno d’Africa, Libia spalancata sull’Africa subsahariana; c’è a Est un’Ucraina instabile che sta rischiando l’implosione politica. Migranti e rifugiati continueranno. Era troppo attendersi una soluzione dal vertice di ieri. Ma s’intuisce un senso di direzione.  

All’Ue, non resta che la strada già percorsa da paesi che sono da sempre oggetto di pressione immigratoria, come gli Stati Uniti. Gli americani, lasciamo perdere Trump, sanno benissimo che non si può fermare né arginare; si può frenare e filtrare; si può gestire. A che altro servono i reticolati fra Texas e Messico? Gli illegali entrano lo stesso (i consolati messicani negli Usa li registrano col beneplacito americano – «almeno c’è una traccia»). 

La parola d’ordine di questo Consiglio europeo è «non più entrate libere» (no waving through). L’Ue vuole «controllare le frontiere esterne per non risollevarle all’interno». Confusamente, con misure nazionali controverse e di dubbia legalità, come la soglia agli ingressi imposta dall’Austria, l’Europa pone barriere e filtri che trattengano la piena e rassicurino le opinioni pubbliche. Le difficoltà sono enormi e ben maggiori di quelle fronteggiate dagli Stati Uniti: una sterminata frontiera marittima, come l’Italia sa bene da anni, e una geografia complicata che minaccia di fare dei Balcani terra di stazionamento; la limitata capacità di assorbimento di un continente già saturo e con un mercato del lavoro asfittico; il gran numero di rifugiati politici cha ha diritto all’asilo; l’impossibilità di respingimenti di chi fugge da Stati falliti, dittature spietate, regimi barbari. 

L’Europa non ha tuttavia altra scelta che arginare e canalizzare, filtrando gli ingressi e gestendo la pressione. A questo servono gli hot spots, l’operazione marittima Nato e a collaborazione con paesi terzi, come Turchia, Giordania, Libano e area balcanica. La solidarietà rimane; il diritto d’asilo pure. L’Ue procederà per approssimazioni successive, farà anche errori, ma il controllo esterno è l’unico modo per non tornare alle frontiere e agli egoismi nazionali.  

*lastampa

 
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