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Intervista a Carlo Verdone. Quando la Roma era poesia, ricordi di un tifoso

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Intervista a Carlo Verdone. Dal cinema alla Roma, i ricordi di un attore da grande tifoso romanista

Quando la Roma era poesia. Intervista a Carlo Verdone a Non è la Radio. Dal cinema all’As Roma, i ricordi di un attore, grande tifoso.

Roma- Nel consueto spazio di Febbre da Roma, sulle frequenze virtuali di Non è la Radio, Danilo Conforti e Riccardo Mancini hanno intervistato Carlo Verdone. Dal cinema all’As Roma, di cui l’attore è tifoso, il passo è stato breve.

M

a ripercorriamo insieme i punti salienti dell’intervista.

Carlo Verdone, pochi giorni fa, insieme ad altri artisti italiani, ha firmato un appello al governo e al Ministro Franceschini per chiedere l’applicazione della direttiva europea sul copyright, un tema importante per la categoria.

Ci sono delle piattaforme su cui caricano qualsiasi cosa e non va bene- spiega l’attore– c’è un diritto d’autore da rispettare. Ogni giorno vengono caricati pezzi dei miei film, io non ho mai detto nulla, ma spesso su Youtube vengono caricati i film interi. Qualche secondo si può concedere, un film intero no. Non è vero che tutto appartiene a tutti, non si può andare avanti così, nell’anarchia generale ci devono essere delle regole. È una questione etica, più che economica. In questo Paese le cose vanno male anche perché c’è troppa burocrazia che rallenta tutto e che crea anche molta corruzione”.

L’uscita del suo ultimo film, “Si vive una volta sola”, è stata bloccata dall’epidemia.

Lo avevo presentato proprio in concomitanza con l’inizio dell’epidemia, al Nord, nelle zone più colpite. Per noi è stato un duro colpo, poi però ho cercato di prenderla con filosofia anche pensando a chi ha sofferto di più. Dal punto di vista della produzione ci abbiamo lavorato molto, è davvero un buon film, speriamo di recuperarlo. Combatteremo per un po’ di promozione quando decideranno la data d’uscita, forse nel tardo autunno o a Natale, se avremmo superato l’emergenza. La gente deve ritrovare la fiducia di andare in sala. Io tengo molto a questo film, ha un impianto corale, c’è una recitazione notevole da parte di tutti: Anna Foglietta, Max Tortora, Rocco Papaleo. Ci siamo trovati molto bene anche tra di noi, cosa abbastanza difficile nel nostro mondo.”.

Veniamo all’As Roma. L’attore, di fede giallorossa, ha citato l’argomento calcio una sola volta in “Gallo Cedrone”.

Penso che il calcio non è la Roma. La Roma l’ho citata solo in Gallo Cedrone, quando sono in coma dopo essere stato picchiato dagli integralisti islamici, e i miei amici per farmi risvegliare recitano la formazione della Roma dello Scudetto. Quello è l’unico omaggio che ho fatto alla Roma. Io non tocco l’ argomento calcio perché non ci trovo niente di poetico. Sono un tifoso appassionato e fedele, ma io devo trovare poesia e oggi nel calcio non c’è poesia. Lo vediamo anche in questi giorni, con tutti questi problemi, queste complicazioni politiche e burocratiche. Tutto è molto confuso e legato a interessi economici. Potrei fare un film su qualcosa che mi dà uno spessore umano forte, su un maratoneta o anche un procuratore che cerca talenti, perché lì c’è un fattore umano, c’è un’anima, ma per la Roma non me la sento. Abbiamo avuto Alberto Sordi e Lino Banfi. A  me francamente non viene molta voglia. Potrei fare un film su un uomo che lotta contro sé stesso, ma su una squadra di oggi, con i giocatori milionari, i diritti tv, tutto quello che c’è sotto, che c’è di poetico? Una volta il calcio era poesia, oggi è business. Dove c’è business non c’è poesia.

Sul futuro della Roma dice: “Sono preoccupato. Tra l’epidemia e la delicata situazione del calcio italiano, Friedkin sembra aver fatto un passo indietro. La Roma è molto indebitata, il pericolo maggiore è dover cedere un gioiello come Zaniolo. Sarebbe una tragedia, l’ennesimo giocatore di talento ceduto, come Salah, che voleva restare… invece ci hanno fatto credere che lui volesse andare via. Abbiamo ceduto giocatori con cui potevamo davvero vincere qualcosa, e che oggi vincono altrove. Avevamo l’oro in mano e non c’è rimasto niente. Abbiamo avuto squadre tenute insieme con lo scotch, che hanno fatto il loro meglio e non posso biasimarli, ma i giocatori non erano all’altezza di quelli ceduti. Le mie critiche sono rivolete soprattutto al presidente e alla sua voglia di fare qualcosa di importante in una grande città come Roma. Non mi sembra che sia così, che ci sia entusiasmo, che venga spesso a Roma. Chi comanda alla Roma? Tutti e nessuno. Sicuramente il presidente, ma per interposta persona. La Roma è una squadra mortificata, che sa quello che può fare, anche con un bravo allenatore come Fonseca, ma veri gioielli li abbiamo dati via. Se fai una squadra con i giocatori ceduti sei la squadra più forte del mondo, ma non abbiamo potuto tenerli. Io poi non sopporto le bugie: i giocatori volevano restare, sono stati ceduti per problemi economici. I ragazzi di talento come Zaniolo vanno tenuti a tutti i costi.

Il romanismo secondo Carlo Verdone

“Io ho vissuto un’epoca in cui si andava allo stadio e non si aveva paura. Soprattutto negli anni ‘60, tra Roma e Lazio si risolveva tutto a sfottò, qualche ortaggio tirato e un po’ di scenografia, ma non c’era violenza. Poi l’episodio di Paparelli cambia tutto e il calcio prende un’altra direzione. Le curve cominciano ad essere frequentate da altre persone, diventa tutto più aggressivo. Poi siamo entrati in un’altra era, ancora meno poetica. Per me il romanismo sono due colori, il giallo e il rosso, sono quartieri come Testaccio, quartieri di una Roma vera di un tempo, dove veramente batteva il cuore giallorosso. Quando ti innamori di una squadra sei quasi te a scendere in campo. È questo il bello di questo sport: ti senti quasi un calciatore, perché sai che il tuo tifo spinge quelli in campo a correre. Per me la Roma è una gran parte di Roma. Poi c’è anche la Lazio, ma io la identifico con la mia città”.

Infine, gli viene chiesto di menzionare tre immagini che conserverà sempre da tifoso.

“La prima volta che andai allo stadio fu con il mio compagno di banco, Franco, che mi fece diventare romanista anche con dei disegni molto belli che poi mi regalava. Io ancora non avevo una fede calcistica. La prima volta all’Olimpico fu per un Roma-Napoli in cui segnò Manfredini. Ricordo molto bene il campo, un Olimpico completamente diverso da oggi, la grande esultanza per quel gol. Poi dico il secondo Scudetto: quella era veramente un grande Roma, con il grande presidente Viola. Quella fu una giornata meravigliosa. Infine quando sono entrato nello spogliatoio dopo Roma-Parma del 2001. Ero insieme a mio figlio, siamo entrati e abbiamo visto i giocatori che urlavano, festeggiavano, si spruzzavano lo spumante addosso, e Fabio Capello chiuso nel suo stanzino, sudato come non mai e ancora arrabbiato perché dopo l’invasione di campo avevamo rischiato l’annullamento della partita. Lui diceva ‘Questa città è folle, stavamo perdendo la partita!’. Io l’ho fermato, l’ho abbracciato, bagnandomi tutto perché lui era completamente zuppo, e gli ho detto: ‘Fabio, Roma voleva Cesare, tu oggi sei Cesare per Roma’. Lui sorrise e appoggiò la testa sul tavolo, stremato, perché quell’invasione gli fece veramente temere di perdere la grande vittoria dello Scudetto. Quelli sono stati momenti meravigliosi, ma noi ora dobbiamo guardare avanti: è passato troppo tempo dall’ultimo scudetto, e per questo io sto male quando vedo i campioni della Roma andare via. Speriamo che i problemi ora si risolvano. Noi la Roma la ameremo sempre, anche se dovesse prendere delle bastonate, ma ovviamente speriamo che non debba prenderne più”.


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