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Giudici di Pace dal 6 maggio in sciopero. Una categoria penalizzata

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Giudici di pace, vice Procuratori onorari e i Giudici onorari di pace, da anni, incomprensibilmente, vengono marginalizzati e mortificati.

Giudici di Pace dal 6 maggio in sciopero. Una categoria penalizzata. La Giustizia italiana si conferma intanto tra le ultime in Europa

<<Le Associazioni UNAGIPA,  FEDERMOT, ANGDP e COGITA  comunicano  l’astensione generale  dalle  udienze e dagli altri servizi di istituto dal 6 al 17 maggio 2019 dei Giudici di pace e dal 13 al 17 maggio 2019 dei  vice procuratori onorari e i giudici onorari di pace addetti ai tribunali ordinari . Saranno garantiti i servizi essenziali secondo le modalità e nei limiti previsti dai propri codici di autoregolamentazione>>.

Prima di riportare il resto del comunicato (che segue in calce), non si può non rammentare che da queste pagine ci si era già occupati con precedenti articoli della, oggettivamente incomprensibile, situazione in cui si trovano le succitate categorie (quasi che sia voluta trasversalmente da certa Politica e Istituzioni): “Continua la battaglia dei Giudici onorari di pace (G.o.p.)”, “Giudici di Pace di nuovo in sciopero dal 12 gennaio al 9 febbraio 2019. Una categoria marginalizzata” e “Giudici di Pace, finito lo sciopero. Attendono una convocazione del tavolo tecnico”. Quindi si tratta di una vertenza che si trascina da tempo.

Va anche ricordato che per queste categorie, Giudici di pace, vice Procuratori onorari e i Giudici onorari di pace, non p prevista alcuna indennità nel caso di malattia o maternità. Lo stesso dicasi per i contributi pensionistici, a carico dell’interessato. Inoltre l’accrescimento professionale deriva dall’esercizio della giurisdizione per almeno quattro anni a fianco dei magistrati “veri”. C’è dunque ragionevolmente da chiedersi quale serenità e anche indipendenza possano avere queste, innanzitutto persone e poi professionisti e quindi magistrati onorari, nello svolgimento di un lavoro che di certo è tra i più difficili quando eseguito con onestà intellettuale e dedizione sociale, poiché non si dimentichi che le decisioni dei giudici sono efficaci ed esecutive e possono anche stravolgere l’esistenza di chi è soccombente o condannato.

E lo Stato italiano ha talmente bisogno di questi professionisti, sostanzialmente “volontari”, che aveva anche indetto un bando per la nomina presso le 26 Corti d’Appello di 400 posti nella magistratura onoraria – di cui 300 per giudice di pace e 100 per vice procuratore onorario – pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 13 febbraio 2018. Per chi passerà la selezione per titoli è previsto un tirocinio di 6 mesi e un corso formativo non inferiore alle 30 ore. L’emolumento mensile è fissato in circa 700 euro netti, per due udienze settimanali. Ciò per evitare che il magistrato onorario sia una professione a titolo “esclusivo” ma temporanea e compatibile con lo svolgimento di altre attività lavorative.

Insomma, in questa vicenda, sembra che da anni lo Stato italiano, nella settore Giustizia, abbia quasi rivestito i panni del “caporalato” per assoldare dei “braccianti” della Giustizia. Come dire che ogni legge è (arrogantemente) sempre interpretabile.

Di recente c’era stato il 12 gennaio 2019 un ennesimo tavolo tecnico, ma evidentemente senza ancora un seguito fattivo, tra il sindacato UNAGIPA, rappresentato dalle dott.sse Rosa Anna Tremoglie e Manuela Cardillo, con il Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno, Sen. Stefano Candiani, in quota Lega ed il suo staff. In quell’occasione Il Sen. Candiani si era intrattenuto lungamente a parlare della riforma della magistratura onoraria, sulla quale ha dimostrato di avere adeguata conoscenza, anche sotto il profilo tecnico, ed ha convenuto sull’urgenza di una integrale modifica del regime transitorio delineato dalla legge Orlando (ex ministro della Giustizia del precedente governo), tale da garantire ai magistrati in funzione pieno riconoscimento di tutte le tutele e di una retribuzione dignitosa ed adeguata alla funzione svolta e assicurare imparzialità, terzietà ed indipendenza nello svolgimento delle funzioni giudiziarie. Candiani aveva altresì, assicurato il suo impegno ed il suo totale appoggio anche al Sottosegretario alla Giustizia Morrone (anch’egli Lega), nella definizione della riforma.

I sindacati dei Giudici di Pace avevano anche depositato, in precedenti incontri, una proposta nella quale ribadivano che la soluzione ottimale restava, comunque, una totale modifica del regime transitorio, effettuata attraverso una legge similare alla L.217\74, come da anni richiesto. Infatti, la legge del 18 maggio 1974, n. 217 (Sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi del secondo comma dell’articolo 32 dell’ordinamento giudiziario – GU Serie Generale n.150 del 10-06-1974) e di cui i Giudici di Pace richiedono un’analoga norma, è composta di un solo articolo: “I vice pretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi del  secondo  comma  dell’articolo  32  dell’ordinamento  giudiziario approvato con il regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in servizio al 1 dicembre 1973, conservano  l’incarico  a  tempo  indeterminato,  ma comunque non oltre il 65° anno di età.  Il Consiglio Superiore della Magistratura può sempre revocare l’incarico con provvedimento motivato. Ai suddetti vice pretori onorari è corrisposto lo stipendio spettante ai magistrati di tribunale. Ad essi sono estese le disposizioni del decreto legislativo 12 febbraio 1948, n. 147, e successive modificazioni ed integrazioni, della legge 6 dicembre 1966, n. 1077, della legge 24 maggio 1970, n.336, e le disposizioni dell’articolo 90 dell’ordinamento giudiziario, modificato dalla legge 28 luglio 1961, n. 704, e di  tutte  le  altre leggi a favore del personale non di ruolo dello Stato, con decorrenza dal 1 dicembre 1973“.

C’è stato anche un significativo comunicato dell’11 novembre 2018 dell’UNAGIPA (Unione Nazionale Giudici di Pace) in cui sembrerebbe che nella fattispecie a decidere non sarebbe il Parlamento eletto democraticamente dal popolo bensì altri  <<… Come a noi noto, l’A.N.M., pur convenendo che vada previsto il cd. doppio binario per i giudici in servizio al momento dell’entrata in vigore della Riforma Orlando – con maggiore retribuzione e tutele previdenziali connesse alla funzione – avversa, respinge e dichiara persino irricevibile l’ipotesi di “stabilizzazione” della magistratura onoraria, presentata dal nostro rappresentante al tavolo tecnico unitamente a due tecnici di altre Associazioni di magistrati onorari, istituito con il D.M. 21 settembre 2018>>.

Eppure è di pochi giorni addietro il negativo giudizio della Commissione europea sul funzionamento della Giustizia in Italia. È sempre più inefficiente e lenta. Nonostante i continui richiami della Commissione i tempi necessari per risolvere contenziosi civili e commerciali aumentano. Nel 2016 ci volevano 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado, nel 2017 ce ne sono voluti, in media, 548. Un mese in più. E’ il dato più alto di tutta Europa. Nessuno deve attendere un anno e mezzo per un pronunciamento di primo grado. Ma l’Italia è maglia nera anche per le sentenze di secondo grado e terzo grado. Oltre due anni per un secondo pronunciamento (843 giorni), e tre anni e mezzo per la sentenza definitiva (1.299 giorni). Dai dati raccolti dalla relazione annuale di valutazione sulla giustizia della Commissione europea, non brilla neppure la giustizia amministrativa. Nel 2017 ci sono voluti 887 giorni decisioni in questi tribunali. Peggio hanno saputo fare solo Cipro, Malta e Portogallo. I Tar sono comunque in controtendenza: in un’Italia dove i tempi della giustizia crescono, a livello amministrativo si riducono di più di un mese (-38 giorni).

E continua la Commissione europea, evidenziando che le difficoltà del sistema Italia si spiegano probabilmente con la penuria di giudici. Il Paese è 23esimo su 27 (non disponibili i dati britannici) per numero di giudici per ogni 100mila abitanti: appena 10. Pochi, considerando che in Croazia e Slovenia se ne contano più di 40 (43 e 42 rispettivamente). Lentezze e inefficienze incidono sulla percezione del sistema della giustizia. Appena il 37% degli italiani ritiene che i giudici siano indipendenti. Solo in Croazia, Slovacchia, Bulgaria, e Spagna c’è una sfiducia maggiore. Neppure le imprese scommettono sulla giustizia italiana. Solo il 39% di esse considera giudici e tribunali indipendenti. Un motivo per non investire nel Paese.

Senza la Magistratura Onoraria composta da quasi 5.500 tra Giudici onorari, Pubblici Ministeri e Giudici di Pace, la Giustizia italiana, già annoso pachiderma dell’Italia, diverrebbe uno stagno intransitabile.  Salvo non sia questo che da sempre si vuole.

Segue il completamento del comunicato di UNAGIPA, FEDERMOT, ANGDP e COGITA:

<<… L’astensione è determinata dalla persistente inerzia del Governo in ordine al varo della riforma riguardante la magistratura onoraria, nonostante la previsione al punto 12 del CONTRATTO DI GOVERNO del necessario superamento della Riforma Orlando.

Le proposte dei tecnici nominati dal Ministro Bonafede nel tavolo tecnico ministeriale istituito col dichiarato intento di condurre rapidamente alla individuazione di una proposta legislativa condivisa dalle categorie interessate, sono state completamente disattese.

Invero il 7 marzo era stata ottenuta, dal Sottosegretario On.  Morrone, la sottoscrizione da parte dei rappresentanti di categoria di un accordo a definizione del Tavolo Tecnico, secondo contenuti minimi che dovevano, in base a accordi presi contestualmente, trovare un riconoscimento più amplio di quelli di stretta proposizione ministeriale, illustrati tramite slides.

Tali contenuti riguardavano sia il versante economico, sia un maggiore riconoscimento di tutele previdenziali ed assistenziali a carico dello Stato, sia ordinamentali, come la reintroduzione del procedimento disciplinare, previsto nella legislazione pre – vigente, ma anche nella legge delega n. 57/16 e negato in modo irragionevole e punitivo a reprimenda delle proteste in atto, dal decreto n. 116/2017 con palese violazione dei principi costituzionali in materia. 

Il provvedimento normativo di superamento della legge Orlando doveva essere presentato alle associazioni per le loro osservazioni entro 20 giorni da quel 7 marzo, ed emanato entro le elezioni europee del 26 di maggio.

E invece nessuna promessa è stata mantenuta.

Ad oggi non vi è stata alcuna convocazione del Tavolo tecnico o politico finalizzata all’esame dell’articolato, ma solo un rincorrere di voci contrastanti e non ufficiali.

In tale clima si aggiunge la sorprendente dichiarazione del Ministro Bonafede in data 23 aprile, durante una visita al Tribunale di Marsala, il quale nell’illustrare le nuove risorse che ha richiesto ed ottenuto per il comparto Giustizia ha così definito la categoria:

“La giustizia, finora ha funzionato anche grazie ai precari della magistratura, vice procuratori, giudici onorari. Noi abbiamo pensato anche a loro. Certo non diventeranno Magistrati, ma avranno una vita più dignitosa.” 

Impariamo da tale imbarazzante asserzione che anche il Ministro è a conoscenza del fatto che siamo “PRECARI” e quindi LAVORATORI e non semplici volontari come ci ha definisce  la riforma Orlando e come continua a definirci la  stessa tecnostruttura del suo ministero che ha scritto la riforma della magistratura onoraria  per il suo predecessore.

Il Ministro afferma che non diventeremo magistrati, nonostante lo siamo già e come tali amministriamo la giustizia.

I cittadini italiani devono sapere che le sentenze del primo grado di giudizio emesse negli ultimi trenta anni da giudici di pace e da giudici onorari di tribunale sono nulle poiché emesse da un NON MAGISTRATO in violazione della Costituzione e dell’Ordinamento Giudiziario che pur ci prevedono e disciplinano nel loro interno.

Ad ogni buon conto però abbiamo la promessa di una vita più dignitosa, ma di questo non possiamo ringraziare ancora il Ministro considerando che il vulnus costituito dalla Orlando allo stato attuale non è stato affatto superato, né le slides presentate hanno   caratteristiche tali da assicurare una maggiore dignità di vita lavorativa.

È sicuramente sinistro l’eco di un magistrato – che applica anche il diritto europeo – privo di dignità o con una dignità degradata, con imparzialità e terzietà minate dalla totale assenza di un regime disciplinare di cui siamo stati privati e di equo compenso.

Ricordando al Ministro che siamo Magistrati e che smaltiamo il 60 – 70% del contenzioso di primo grado, non si comprende proprio a quale maggiore dignità alluda.

Nessuna richiesta formulata in seno al costituito Tavolo Tecnico dai rappresentanti della categoria è stata seguita.

Neanche i suggerimenti formulati nei due comunicati dell’Associazione Nazionale Magistrati il cui avvicinamento alle istanze della nostra categoria, è stato tanto apprezzato dalle scriventi associazioni, sono stati tenuti minimamente in considerazione.

Nelle note slides  a titolo esemplificativo viene prevista una indennità annuale inferiore a quella stabilita  per i navigators nonostante le ben diverse responsabilità e funzioni che contraddistinguono la nostra quotidianità lavorativa e non viene affatto previsto il procedimento disciplinare – di cui la categoria godeva da trenta anni – strumento necessario ed indispensabile affinché ogni  cittadino abbia un giudice terzo, indipendente ed imparziale e ogni magistrato onorario possa svolgere con il giusto equilibrio e serenità il proprio lavoro. 

Da queste dichiarazioni trapela l’evidente incapacità di comprendere la qualità della nostra funzione e il valore politico, oltreché tecnico, dello storico accordo che pure era stato raggiunto, proprio all’interno del tavolo ministeriale, tra i componenti rispettivamente appartenenti alla magistratura onoraria e alla Associazione Nazionale Magistrati.

In una logica di concessioni reciproche, tali due componenti erano pervenute al superamento delle istanze inizialmente sostenute dalla magistratura di ruolo, già recepite nella riforma Orlando, e dalla magistratura onoraria, i cui esponenti hanno inteso accantonare, non senza riluttanza, alcune ulteriori richieste, tra cui il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato per i magistrati onorari di risalente nomina.

La soluzione scaturita da tale interlocuzione si pone dunque in coerenza con il contenuto minimo delle rivendicazioni storiche della categoria, assestandosi, al contempo, su soluzioni meno ardite di quelle tratteggiate nella legge n. 217 del 1974, che pure erano state considerate dal Consiglio di Stato riproponibili, in occasione del parere, poi disatteso, rilasciato durante il varo della riforma Orlando.

Inaspettatamente, raggiunta tale inattesa “quadratura del cerchio”, a frapporre ostacoli al recepimento dell’accordo raggiunto con l’ANM è stato il Ministero della giustizia che lo aveva caldeggiato.

Si assiste, infatti, al sovrapporsi di dinieghi provenienti sia dal vertice politico, incapace di reperire le pur modeste fonti di finanziamento di tale progetto unitario, sia dalla tecnostruttura, sin troppo ancorata alla difesa del testo congegnato nella precedente legislatura, i cui limiti applicativi e la cui inattuabilità politica appaiano ormai universalmente conclamati, rendendo evidente la necessità di un loro superamento nella direzione concertata da tutte le componenti della magistratura.

Il persistente immobilismo del Ministro e della sua tecnostruttura  non rende merito a un accordo col quale non solo si creano le condizioni per un forte rilancio della giustizia ordinaria, ma si perviene a tale risultato salvaguardando – come richiesto dalla Presidenza del Tavolo – l’impianto formale complessivo della riforma Orlando, andandone ad eliminare, con precisione “chirurgica”, le sole clausole del regime transitorio applicabile al personale in servizio e alcune di quelle che – secondo quanto rilevato dai Capi degli uffici – impattano più fortemente sull’utilizzo efficiente della magistratura onoraria.

È rimasto evidentemente fermo in modo irragionevole il convincimento che le modifiche alla riforma Orlando ammissibili debbano attestarsi addirittura al di sotto di tale “minimo sindacale”, in relazione all’inquadramento sia giuridico (trasferimenti, sistema disciplinare, incompatibilità, sospensione temporanea del rapporto di servizio, regime tributario e previdenziale) sia economico.

Tale approccio minimalista sconfessa – in uno col richiamato Contratto di Governo e con gli impegni elettorali che ne costituiscono la scaturigine – le motivazioni sottese all’istituzione del tavolo, nel cui decreto istitutivo si allude al superamento  delle antinomie tra la riforma Orlando e i vincoli sovranazionali che hanno condotto il Governo italiano ad epiloghi sfavorevoli, sia nella procedura comunitaria di pre-infrazione, esitata nel respingimento dei teoremi sostenuti dall’Italia, sia avanti al Comitato europeo dei diritti sociali, dove è stato condannato per violazione della Convenzione EDU.

Tale approccio conduce allo svilimento della Giustizia e mina l’indipendenza, non solo economica, dell’intera magistratura ordinaria, corpo unitario che, secondo l’espressa previsione Costituzionale, contempla anche la magistratura onoraria, alla quale si estendono tutte le prerogative.

Ricorrono quindi, i magistrati onorari, all’unico strumento di protesta legittimo nella loro disponibilità, l’astensione dalle udienze, nell’auspicio che il segnale di responsabilità che con tale iniziativa intendono lanciare, non trovi inerti o distratte le istituzioni politiche e le strutture che le supportano, ma costituisca uno stimolo alla loro immediata attivazione.

La predetta protesta intende inoltre costituire un sollecito alla Commissione Europea affinché riattivi, senza ulteriore indugio, la procedura di infrazione.

Roma, 28 aprile 2019. La Presidente Unagipa Maria Flora Di Giovanni, e per delega dei Presidenti delle associazioni in intestazione, Raimondo Orrù – FEDERMOT, Roberta Tesei – ANGDP, Raffaele Franza – COGITA>>.

A

dduso Sebastiano

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