Da ieri sera l’Europa è più piccola, Angela Merkel è più debole e, in attesa del referendum inglese sull’uscita di Londra dalla Ue (la cosiddetta Brexit), un nuovo vocabolo già si affaccia nel lessico politico: Frexit.
Frexit. Se lo mettete su Google vi darà l’indirizzo di un hotel di Friburgo, in realtà è l’annuncio di un nuovo choc che potrebbe non tardare: anche i francesi vogliono uscire dalla Ue, secondo un sondaggio degli ultimi giorni addirittura al 60 per cento.
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er ora facciamo i conti con il voto tedesco, amarissimi per la Cancelliera. La sua leadership è apertamente in discussione ma il successo dell’Afd (come quello di Marine Le Pen in Francia) non è valutabile con le normali e antiche categorie della dialettica politica. Rappresenta invece qualcosa di più, è il cambio del paradigma politico novecentesco: la discriminante ora non è destra/sinistra, ma pro o contro l’Unione europea. È una rivolta per via elettorale e dunque democratica contro questo sistema Europa.
La crisi dei migranti è stata il detonatore che rischia di far saltare il sistema. La generosa ma avventurosa apertura della Cancelliera al flusso biblico di quest’estate aveva in pochi giorni messo in crisi anche la collaudata organizzazione teutonica e da allora Angela Merkel ha capito che la sua stagione poteva finire. Però il malessere dell’Europa viene da più lontano e si sarebbe manifestato anche senza la crisi dei migranti. È qualcosa di molto più complesso, è la fine di quella solidarietà che aveva accomunato le destre e le sinistre democratiche all’uscita della Seconda guerra mondiale e su cui era stato edificato il sogno dell’Unione europea.
È il crollo di un’egemonia culturale che delegittimava qualunque pulsione nazionalista, era per l’appunto un’utopia che si sta schiantando contro il riemergere di sentimenti diffusi come la difesa delle proprie radici e l’esigenza di riconoscersi in un’identità anche economica di fronte al ciclone della globalizzazione. Ma è anche la rivolta contro un ceto politico che ha perso il senso di quell’utopia e ridotto l’Europa a un groviglio di regole inestricabili e – apparentemente – sempre penalizzanti. La lingua comune appresa dai ragazzi delle «generazione Erasmus» (questa sì un vero successo) si è mutata in un lessico tecnocratico irriconoscibile. E questa è una responsabilità vera dei politici che hanno governato a Bruxelles, di destra e di sinistra.
È per questa ragione che se il voto tedesco ha indubitabilmente un carattere «antisistema», se davvero vogliamo capire cosa succede, dobbiamo smettere di liquidare questi risultati elettorali con la vittoria dei «populisti», un termine che serve soltanto ai partiti al potere per autoassolversi dalle loro gravi responsabilità. Quella che esce dalle urne tedesche, come a dicembre da quelle francesi, è una domanda politica legittima e comprensibile. È una domanda di autodifesa di una società che si sente impoverita e minacciata.
Frauke Petry, interrogata da un giornale francese, ha respinto qualunque somiglianza con Marine Le Pen: «Lei ha un programma economico socialista, noi siamo liberali…». Non è dunque un fronte compatto quello che emerge, ma che sa parlare alla gente, spesso al di fuori del galateo politico e non raramente al di là della grammatica democratica. Ma o la politica tradizionale saprà interpretare il sentimento popolare e condurlo dentro una nuova dialettica europea o per l’Europa può davvero essere la fine.
Twitter @cesmartinetti
*lastampa / Le forze anti-sistema che scuotono l’Europa ( FREXIT ). CESARE MARTINETTI*
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