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Castellammare di Stabia

Facebook, quando le segnalazioni dei post violano la libertà di pensiero

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I

social network, come Facebook nato nel 2004, sono servizi web nati pochi anni fa che mettono in contatto le persone che vi si iscrivono.

Ci sono ovviamente delle regole da rispettare che sono condivise e accettate dagli iscritti; se non sono rispettate scatta il procedimento disciplinare che prevede il blocco del proprio account per alcuni giorni (dipende dalla decisione degli amministratori).

L’attività di controllo del rispetto delle regole è casuale ed è anche demandata agli altri utenti della rete che, attraverso le loro segnalazioni, sottopongono agli amministratori il contenuto dei post.

L’iscrizione al social è ammessa solo a partire dai 13 anni (ovviamente fino alla maggiore età ci saranno dei blocchi e dei sistemi di tutela dei minori) anche se l’UE ha stabilito che entro il 2018 l’età minima dovrà essere di 16 anni, ma in questi casi chi controlla? Sì, perché basta modificare la data di nascita e il gioco è fatto in quanto non è richiesta la fotocopia del documento di identità.

Proprio su questi aspetti noi di ViViCentro vogliamo approfondire meglio la questione raccontando la storia di un utente Facebook che da diverso tempo sta avendo problemi nell’utilizzo di uno dei primi social network.

Il nostro lettore Giuseppe Vollono ha postato una vignetta di Vauro riguardante lo “IUS SOLI” (in latino «diritto del suolo») ovvero un’espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Per questo motivo, Giuseppe, è stato nuovamente bannato per 30 giorni, dopo esserlo stato per una settimana appena qualche giorno prima, con un’indefinita accusa (Facebook non gli ha comunicato quale fosse il post incriminato).

Si può essere più o meno d’accordo con questa vignetta, che semmai potrebbe offendere l’intero popolo italiano, ma non una singola persona. Proprio per il suo contenuto poteva generare discussioni e confronto tra gli amici e i contatti di Giuseppe. Qualche altro utente di Facebook, forse anche uno dei suoi contatti, in pieno stile fascista ha segnalato il post di Giuseppe facendo scattare il blocco della sua bacheca per 30 gg (cioè a Giuseppe sarà impedito di interagire con gli altri utenti di Facebook, con una sorta di guarda ascolta ma non parlare) dopo l’analisi da parte degli amministratori del social network. In genere censuare la satira è indice di profondissima ignoranza. Ricordiamo che alcuni vignettisti di Charlie Ebdo pagarono con la vita il loro diritto alla libertà di pensiero e di satira.

E’ inaudita la fallacia e l’ipocrisia dei parametri di valutazione applicati da Facebook per stabilire se e quando un utente posti qualcosa di “non conforme” alle sue regole.

Non si comprende come sia possibile che il post di Giuseppe debba essere “censurato” mentre pagine inneggianti al Duce, allo stupro, sessuali, di violenza, ecc. ecc. sono ancora on line.

Pubblichiamo a seguire un lungo commento di Marcella Raiola, amica di Giuseppe, che solidarizza con lui (per inciso, vogliamo informare i nostri lettori che tutti quelli che hanno solidarizzato con lui utilizzando la vignetta incriminata sono stati a loro volta bannati da facebook):

“Ultima frontiera di quella libertà assoluta di parola che gli Antichi (soprattutto i poeti comici) chiamavano “parrhesia”, temuta ma ancora non controllabile da parte di un potere sempre più olisticamente repressivo e pervasivo, oppure disimpegnante sfogatoio delle frustrazioni e del malcontento, predisposto e incentivato dal potere per disarticolare e polverizzare il dissenso: i giudizi sui social network oscillano tra questi due estremi, tra i quali vibra, brulica, grida, denuncia, insinua, piange e gioisce, tutti i giorni, la vita di più di un miliardo di persone. Il nastro di immagini, notizie, sensazioni, cerimonie, giudizi, pensieri sparsi, appelli, inviti, petizioni, polemiche e quant’altro, che scorre sotto la nostra esistenza proiettiva, che qualche volta afferra quella reale e la inchioda a un’immagine, a un momento che, amplificato, diventa marchio d’immeritata infamia o titolo di frainteso onore, naturalizza e automatizza il nostro interagire, togliendoci la percezione che Fb è una piattaforma, un sistema con autori, programmatori, gestori e protocolli di funzionamento. Siamo un po’ come nel Truman Show: il set è tanto grande e tanto variamente affollato di vite che dimentichiamo che c’è una cabina di regia a osservarci e a scrivere il copione. Già: ma le regole quali sono? Ogni comunità deve averne. La “netiquette”, su Fb, spesso salta, perché Fb è (deve essere?) anche il luogo in cui si urla, in cui si impreca, in cui ci si organizza per resistere o per attaccare. Quanto è lungo il “collare” di Fb? Chi bara, in questo gioco? Chi ne viene espulso, e per quale infrazione? Le domande sono serie e inquietanti, anche perché Fb si è dato una parvenza di autogoverno “dal basso” che ha assunto la forma della “segnalazione”. In pratica, si tratta della denuncia concordata o incentivata, a seguito della quale un contenuto viene sottoposto al vaglio dei “registi-giudici”, che valutano la compatibilità del post con il sistema di valori sotteso al social e poi decidono se espellere o meno dal frenetico girotondo il segnalato. Ma qual è il Codice penale di questi giudici? Quali sono le figure e le fattispecie di reato? Coincidono con quelle della vita reale? Chi decide? Il numero delle segnalazioni influisce sulla sentenza? Tutti gli utenti si sono posti queste domande, perché almeno una volta nella vita virtuale è capitato a ciascuno di trovare post capaci di suscitare ripugnanza, orrore, paura, e, dunque, di segnalarlo, ricevendo, in risposta, nel 90% dei casi, un irritante e sbalorditivo messaggio in cui con affettata gentilezza e inappellabile giudizio, si comunicava che il contenuto segnalato, magari inneggiante al duce, allo sterminio dei Rom, allo stupro, ovvero carico di espressioni d’odio razzista di ogni genere, era ritenuto assolutamente e pacificamente conforme ai segretissimi “criteri” che il sistema adotta per stabilire la liceità della circolazione di un messaggio sui propri canali. Tenuto conto di questa più volte constatata reazione del network, il caso di Giuseppe Vollono, “utente” molto assiduo e molto seguito, protagonista… ingombrante delle battaglie contro l’aziendalizzazione e riconversione neoliberista della Scuola pubblica, sembra far registrare un preoccupante nuovo orientamento censorio su base ideologica da parte della regia, il cui spesso inaccettabile lassismo etico e regolativo mal si concilia con le reiterate messe al bando del nostro per pareri personali sulle direttive governative liberamente e saporosamente, ma civilissimamente espressi, con toni e in termini polemici e critici, come in Democrazia dovrebbe essere normale. Si può dire, insomma, che Fb, come si dice a Napoli, ha i suoi “figli” e i suoi “figliastri”, perché la messa al bando frequente e punitiva di Giuseppe è legata alla pubblicazione di contenuti che sono politicamente connotati, contenuti, peraltro assai meno aggressivi di quelli postati da molti altri utenti o che addirittura risultino non generati, ma semplicemente condivisi dal nostro amico, come nell’incredibile, ultimo caso che lo ha visto coinvolto. A Giuseppe, infatti, reduce già da un silenziamento durato una settimana, per una diversa e altrettanto ingiustificabile segnalazione, è attualmente e nuovamente interdetto l’accesso a Fb per 30 giorni, per avere condiviso una vignetta di Vauro, sapidamente amara ed efficace, nella quale si proscrive la renitenza del governo a concedere lo ius soli. La vignetta, pubblicata su “Il Fatto quotidiano”, quindi nota e ampiamente diffusa, dei cui contenuti è responsabile il noto ed apprezzato autore, contiene una “parolaccia” (stronzi) superata, in grevezza e volgarità, da milioni di altre parole effuse ogni giorno sulle bacheche di milioni di utenti Fb, e che certamente, se è stata causa del bando, costituisce una causa pretestuosa e ridicola. Nondimeno, Fb ha rinvenuto nell’assenso indirettamente fornito da Giuseppe al messaggio di Vauro un motivo sufficiente ad espellerlo dal proprio circuito, nel quale pure lascia che vomitino il loro odio e le loro oscenità ignobili individui e inquietanti formazioni che dovrebbero essere penalmente perseguite e sciolte secondo le vigenti leggi nonché secondo il dettame costituzionale (che evidentemente non vale più niente e non vincola più il potere, che, dopo aver tentato di stracciare la Carta antifascista dei nostri principi, continua a legiferare in spregio ai suoi contenuti e valori). Insomma… Vale la pena interrogarsi ed aprire un dibattito sulle dinamiche che si stanno registrando, non a caso in concomitanza con il varo e l’applicazione di un decreto, il “Minniti”, che in nome del vago e moralistico richiamo al “decoro” mette a tacere ogni pensiero o comportamento divergente o non allineato, spezzando braccia e usando manganelli e idranti contro la “feccia”, cioè quei poveri, immigrati, diseredati e impoveriti che le guerre e le crisi padronali hanno accresciuto nel numero e nella disperazione. Forse è esagerato dire che Giuseppe sia una delle cartine di tornasole dell’innegabile stretta repressiva del paese. Nel frattempo, gli va espressa massima solidarietà pubblicamente, nella speranza anche che le eminenze grigie che stanno dietro le segnalazioni vigliacche e interessate comincino a vergognarsi un po’ del loro fascismo. Perché il Fascismo ha tante fenomenologie, ma la puzza è sempre quella della fogna, e non ci vuole naso fine a riconoscerla.”

Questo è il pensiero di Marcella Raiola su cui si può essere d’accordo o no, ma siamo in democrazia e in democrazia si accetta anche la diversità di pensiero, sempre se questo non sfocia nel reato di “apologia al fascismo” o inneggi a violenze, ma una cosa è certa: questa storia ha del grottesco soprattutto se la riconduciamo alla censura, alla mancanza di confronto, alla scarsa intelligenza, alla scarsa cultura. Tutte queste “deficienze” spingono queste persone (segnalatori del post e di altri suoi post) a tentare di soffocare l’idea di colui che ha una visione diversa rispetto alla propria, esercitando il loro potere (amministratori di Facebook) in maniera arbitraria.

Questi sono alcuni messaggi di solidarietà da parte degli amici di Giuseppe:

La Costituzione Italiana da tanti additata come vecchia e non al passo con la realtà (non siamo assolutamente d’accordo!) recita all’articolo 21:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Voi lettori vi chiederete per quale motivo abbiamo pubblicato l’intero contenuto dell’articolo in questione, ve lo spieghiamo:

Dopo il ban ricevuto da Giuseppe in tanti hanno solidarizzato con lui con post su Facebook richiamando il contenuto dell’articolo 21 nei primi due commi. Qualcuno non concorde con questa attività solidale ha scritto che artatamente non era stato messo in evidenza il continuo dell’articolo 21 che prevede sequestri e censure nei casi di gravità o nei casi di reato. Ora suscitiamo in voi una domanda: può una vignetta di Vauro condivisa da Giuseppe (perché magari d’accordo con il contenuto o perché voleva discuterne con i suoi contatti) essere considerata al pari di un reato?

Mentre ci pensate vi segnaliamo un bellissimo pensiero di George Orwell (tratto da “La fattoria degli animali”, 1945) che inquadra benissimo questa storia:

“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.”

Concludiamo l’articolo nella speranza che fatti del genere non accadano mai più!

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