Da sola tra i malati covid, l’esperienza della giovane infermiera Annapaola a Bergamo

Annapaola Bianchi, 25 anni, racconta la sua prima esperienza da infermiera in zona rossa. Partita...

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Annapaola Bianchi, 25 anni, racconta la sua prima esperienza da infermiera in zona rossa. Partita per dare un aiuto ai colleghi di Bergamo, si è ritrovata da sola a curare i malati di un reparto covid

L’esperienza di Annapaola, giovane infermiera accorsa a Bergamo per l’emergenza Covid, catapultata in prima linea tra i pazienti con coronavirus

di Maria D’Auria

Cervaro-  Sabato 11 giugno, dopo quasi tre mesi passati in un reparto covid di Bergamo, la giovane infermiera Annapaola Bianchi è tornata a casa, nel frosinate. Ma solo per qualche giorno. Il martedì seguente è volata di nuovo in Lombardia, tra i malati della RSA di Bergamo per dare la sua assistenza fino a settembre, quando scadrà il contratto.

Annapaola si è laureata appena un anno fa, in scienze infermieristica. Qualche esperienza di assistenza a domicilio e poi è partita per l’Inghilterra, per perfezionare la lingua, seguire un corso di formazione e provare a svolgere lì la professione, perché dopo i continui tagli alla sanità, in Italia, non c’erano prospettive di lavoro con la sua laurea.

Dall’Inghilterra al reparto covid di Bergamo

Annapaola BianchiNon ci ho pensato neanche due minuti, non potevo stare con le mani in mano”.

Quando a metà marzo in Italia il virus si era già diffuso, in Inghilterra si procedeva come se niente fosse. Poi i primi casi anche all’estero e dopo l’ormai noto discorso di Boris Johnson sull’immunità di gregge, anche la GB è stata costretta a fare marcia indietro e bloccare tutto. In pieno lockdown, la giovane infermiera, tra non poche difficoltà, è riuscita a trovare un volo per rientrare in Patria. È ancora nitido il ricordo di un aeroporto vuoto, spettrale. Surreale. Il primo impatto con la gravità dell’epidemia.

Mentre si moltiplicava il numero dei contagiati, in alcune città del nord gli ospedali erano saturi. Scarseggiavano, invece, medici ed infermieri. In un momento drammatico come questo, per chi ha deciso di dedicare la propria vita ad aiutare gli ammalati, è inconcepibile restarsene a casa con le braccia conserte. E allora Annapaola ha deciso di dare seguito alla sua ‘vocazione’. Senza pensarci due volte, ha risposto ad uno dei tanti annunci, pubblicati sul sito della Fnopi, delle aziende ospedaliere che cercavano  personale infermieristico e medico. Dopo appena 5 minuti veniva contattata dalla ATS di Bergamo. Due giorni dopo era in partenza per la zona rossa, con un contratto da dipendente per 5 mesi.

RSA “Fondazione Casa Serena”: vestizione e mancanza di tamponi

Presso la RSA “Fondazione Casa Serena” di Brembate di Sopra era stato allestito un reparto covid  per emergenza, per alleggerire gli ospedali in sovraccarico. Il giorno dopo Annapaola era già stata catapultata in quella nuova realtà.

Una volta arrivata lì, pur avendo preso per l’ennesima volta l’aereo, non le è stato fatto alcun tampone. “Mi sono trovata in un reparto in cui arrivavano pazienti covid che uscivano dalla terapia intensiva. Dopo il supporto respiratorio si erano parzialmente ripresi e necessitavano di ossigeno o di supporto ventilatorio. Alcuni miglioravano, altri si riacutizzavano e dovevamo rimandarli al pronto soccorso. Purtroppo alcuni sono deceduti. La cosa grave è che i tamponi sono arrivati dopo, molto dopo, sia per i pazienti che per i dipendenti”. Il ritardo dei tamponamenti ha causato un prolungamento della degenza per moltissimi pazienti, ed anche l’attesa per i risultati non è stata breve. “Molti pazienti erano negativi al primo tampone e positivi al secondo- spiega Annapaola–  ma i tempi per la risposta sono lunghissimi: una settimana tra un tampone e l’altro e due settimane per l’esito del tampone. Questo aspetto sarebbe da migliorare per una maggiore prevenzione ma anche per non intasare i posti in reparto. Quando alcuni pazienti sono risultati positivi solo al secondo tampone, sono stati trattenuti altre due settimane per un ulteriore tampone, di questo passo la degenza per un malato covid dura anche due mesi”.

La falla dei tamponi è nota a tutti, come sono noti i gravi errori commessi in molte RSA per isolare il virus, errori che hanno causato la morte di migliaia di ospiti tra le varie strutture, soprattutto nella regione lombarda.

Nella RSA “Fondazione Casa Serena” questo aspetto è stato gestito con professionalità, come testimonia Annapaola. “Fin dal primo giorno ho seguito sempre lo stesso rito per la sterilizzazione e vestizione. Fuori dalla porta d’ingresso al reparto c’è una postazione dove ci sterilizziamo tutti prima di accedere allo spogliatoio. Indossiamo copriscarpe, cuffiette, guanti e mascherina e poi accediamo allo spogliatoio. Qui sono stati divisi due percorsi, uno “sporco” (per chi esce e si sveste) e uno “pulito”, dove avviene la vestizione. Ci muniamo di camice o di tuta, di cuffia, occhialini, due mascherine, doppio paio di guanti e calzari”. Il primo giorno Annapaola ha sofferto particolarmente il caldo e la sensazione era quella di soffocare. “Poi ci si abitua -afferma l’infermiera Bianchi– Ma è stato difficile all’inizio anche respirare, più del carico assistenziale”. Tutto il personale infermieristico e medico  rimaneva così, coperto per tutta la durata del turno, che variava dalle 7 alle 10 ore, senza mangiare né bere e senza andare in bagno.

Per scongiurare qualsiasi rischio di contagio, ad Annapaola è stato assegnato un alloggio all’interno della struttura stessa e per il primo mese non le era consentito uscire per evitare ogni contagio.

Prima esperienza, allo sbaraglio, da sola

Dopo due giorni di affiancamento,  la neo laureata infermiera Bianchi si è ritrovata da sola a gestire l’intero reparto covid. “Non avevo mai avuto esperienze all’interno di una struttura. Quando sono partita pensavo di poter dare una mano ai colleghi più esperti, oberati di lavoro. Ma non immaginavo assolutamente di ritrovarmi, il terzo giorno, da sola a gestire i malati. Eravamo un’infermiera a turno, con un carico di responsabilità totale. All’inizio ho avuto paura e non avendo esperienza, non mi sentivo assolutamente in grado di affrontare una situazione del genere. Ma poi ho cercato di essere pratica. Non c’era tempo di pensare ad altro. Ero lì, bisognava fare e basta. Oggi mi sento molto più preparata, formata, fortificata. Devo ammettere che quest’esperienza è stata molto formativa”.

I pazienti

L’esperienza di Annapaola è stata fortemente segnata dall’aspetto emotivo dei pazienti. “Non ho sentito tanto il carico assistenziale, benché lavorassi in media dalle 7 alle 10 ore al giorno. Ma l’angoscia della situazione che hanno vissuto i pazienti.

Negli occhi di quei pazienti che venivano spostati in reparto dopo essere stati stubati, si leggeva ancora la paura di morire. E quelli anziani, che in terapia intensiva non ci erano mai stati, erano allo stesso modo spaventati, perché sapevano che molti, a quell’età, non ce l’avevano fatta. Rinchiusi, senza parenti, senza contatti. Immobilizzati a letto, impossibilitati anche a fare una doccia, per paura che i vapori potessero diffondere il contagio. Taciturni, molti con il respiro al limite. Erano i loro occhi a parlare. “Facevamo le spugnature a letto. Non potevano riconoscerci, avevamo perfino gli occhi coperti. Ricordo la reazione dei pazienti i primi giorni, vedendoci arrivare completamente bardati: erano disorientati. Ho sentito qualcuno gridare che stavano arrivando gli astronauti… ma eravamo noi”. Annapaola ci racconta del giorno in cui arrivarono  i convogli dei russi che dovevano sanificare tutta la struttura, comprese le stanze adiacenti le camere di degenza. Sbirciando dalla finestra, alcuni pazienti, alla vista dei carri armati, avevano temuto fosse scoppiata la terza guerra mondiale. Spaventati. Ma non solo. Molti erano anche depressi. Lontani dai loro cari, trattenuti lì troppo a lungo, prima in attesa del tampone, poi della risposta, poi del secondo tampone…  sospesi in un tempo infinito.

La situazione attuale

Nella struttura dove è tornata Annapaola, la situazione adesso è migliorata. Negli ospedali sono fortunatamente diminuiti i ricoveri per cui sono stati bloccati gli invii nella RSA. I 25 pazienti assistiti nel reparto covid di “Fondazione Casa Serena”, sono stati pian piano tutti dimessi.

Intervista Annapaola Bianchi- Infermiera Cervaro in zona rossaOggi quel reparto è stato chiuso. Gli ospiti della struttura risultati positivi sono attualmente due, sono stati tamponati dalla stessa Annapaola. Sono in isolamento ma ancora in attesa del risultato. Non possono ancora ricevere le visite dei parenti, ma ci si sta organizzando per attuarle in sicurezza. I ritmi, anche per il personale medico e infermieristico, oggi sono “normali”, c’è perfino il tempo di scambiare due chiacchiere con i pazienti. Un sorriso e una parola di incoraggiamento, che dal punto di vista psicologico serve ad entrambi.

L’emergenza è scemata gradualmente e anche lì si è ripreso a vivere, ma gli assembramenti che la giovane infermiera ha notato nel frosinate durante la sua breve permanenza, non sono neppure immaginabili nel bergamasco. La soglia di attenzione è ancora molto elevata, sia per il maggior numero di decessi che di contagi registrati. L’appello di Annapaola è dunque quello di non abbassare la guardia.Il covid-19 è un virus nuovo, hanno iniziato a studiarlo contemporaneamente alla sua diffusione. Oggi si sa che occorrono 2 tamponi per avere la certezza di essere negativi, ma su tutto il resto non si hanno ancora risposte, come i tempi di incubazione, i tempi di negativizzazione, se e quando ci sarà un picco…”.

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