Andrea Mingardi, nel suo commento, accosta la crisi senese a quelle di Alitalia e Mediaset sottolineando il rischio di una “tentazione statalista”.
Mps, sventare la tentazione statalista
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In Italia ogni tanto non è ben chiaro quale sia il problema, ma è sorprendentemente chiara la soluzione: l’intervento dello Stato. Per Natale gli italiani hanno ricevuto la ricapitalizzazione pubblica del Monte dei Paschi di Siena, resa possibile da un’operazione straordinaria «salva-risparmio» con cui il governo ha rivisto gli obiettivi di finanza pubblica cioè fatta a debito.
Alitalia è a un passo dalla bancarotta e lo Stato, rientrato nell’azionariato con Poste, è sollecitato ad occuparsene. Su questo giornale abbiamo letto che sta prendendo corpo l’idea di un investimento di Cassa Depositi e Prestiti, la banca dello Stato, in Telecom.
Il pretesto è offerto dal rastrellamento di azioni Mediaset da parte di Vivendi, che di Telecom è il primo azionista. Non è ben chiaro in che senso la mossa aiuterebbe Fininvest e la famiglia Berlusconi, che temono un’opa ostile. In compenso, riporterebbe lo Stato nella telefonia.
Mps-Alitalia-Telecom sono tre storie diverse, ma hanno almeno tre elementi in comune. Primo, non si tratta di interventi che trovano la propria ragion d’essere in un «fallimento del mercato». Secondo, rappresentano iniziative sulle quali c’è un sostanziale accordo, al netto di qualche increspatura superficiale, fra le forze politiche. Terzo, questa «saldatura statalista» giustifica, di fatto, uno Stato che per primo viola le sue stesse regole.
Nessuno ha avuto la faccia tosta di sostenere che Mps sia arrivata sin dov’è a causa del «liberismo selvaggio»: è un istituto di credito fino a ieri fortemente dipendente dalla politica in generale e da un partito politico in particolare.
Alitalia opera in un settore difficile, ma nel quale altre compagnie hanno aumentato passeggeri e quota di mercato. Non c’è una crisi del settore: un’impresa, come può capitare, ha sbagliato piani e strategie. Telecom è un’azienda tornata su un sentiero di crescita, che opera in un settore innovativo e competitivo.
Il salvataggio di Mps era considerato inevitabile. Il Monte è un istituto a rilevanza sistemica, il sistema bancario italiano è fragile, senza ripresa del credito non c’è ripresa economica. Staccare la spina richiederebbe coraggio politico in Paesi di cultura liberale: figurarsi da noi. Ma neppure sulle questioni Alitalia e Telecom abbiamo sentito voci di dissenso (con l’eccezione del solo Capezzone).
L’interventismo mette d’accordo destra e sinistra e consente allo Stato di aggirare le regole che esso stesso si è dato.
Due esempi. Nella relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria di Cdp si legge che Cassa ha partecipazioni pari a circa 30 miliardi, a fronte di un patrimonio netto di 20. Ciò significa che investe in azioni parte della raccolta del risparmio postale: cosa che nessun istituto di credito potrebbe fare, secondo le regolamentazioni vigenti. Ciò che viene considerato troppo rischioso per le banche «normali» viene permesso a chi custodisce il risparmio postale.
Esiste un meccanismo europeo, l’Esm, per la ricapitalizzazione degli istituti di credito. Il suo intervento è coerente con quell’«unione bancaria» fatta di regole e impegni comuni di cui i nostri governi sono stati sponsor entusiasti.
Perché non si è scelto quella via, per il salvataggio Mps? Probabilmente perché con la carota dei quattrini sarebbe arrivato anche il bastone della richiesta di impegni precisi sul fronte della finanza pubblica.
Fa parte del cliché nazionale lamentarsi dello scarso rispetto delle regole da parte degli italiani. Ma i politici per primi aggirano le norme di cui sono entusiasti promotori. In un Paese che ama tanto le polemiche, gli accordi bipartisan si fanno solo per spendere i soldi degli altri.
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