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Solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, il 17% ha fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti. È quanto emerge dalla ricerca ‘L’impegno delle aziende italiane per il net-zero’, realizzata da Ipsos e dal Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (Ungc), la più grande iniziativa di sostenibilità d’impresa al mondo.La ricerca, con una prefazione del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, è stata presentata oggi, 10 dicembre, presso il Padiglione Italia di Cop28 a Dubai. “I dati della ricerca ci dicono che tra le aziende italiane c’è ancora molto da fare: il rapporto tra chi ha adottato un piano sul clima e chi non lo ha fatto è di uno a cinque, decisamente basso considerato il peso della nostra economia.
Il ruolo del settore privato è cruciale, ma è necessario sviluppare e implementare iniziative di supporto che possano guidare le imprese nell’ambizioso percorso verso il net-zero.Dobbiamo lavorare, da un lato, per consolidare e accelerare i progressi delle aziende virtuose e, dall’altro, per agganciare le imprese che non hanno ancora affrontato la questione climatica”, ha dichiarato Marco Frey, presidente UN Global Compact Network Italia. Per Daniela Bernacchi, direttore esecutivo UN Global Compact Network Italia, “non c’è dubbio che nel mondo aziendale esista una forte consapevolezza del tema ambientale”.
L’88% delle imprese italiane riconosce, infatti, che la sostenibilità dovrebbe orientare tutte le scelte aziendali, ma al tempo stesso solo una su 10 afferma di avere “molto chiaro” il concetto stesso di sostenibilità. “Un limite che si traduce in una mancanza di iniziative sul clima”, ha aggiunto Bernacchi, sottolineando invece come “i riscontri pervenuti dalle aziende che fanno parte del Global Compact delle Nazioni Unite rivelino differenze significative rispetto all’universo di riferimento”. Se si considerano solo le risposte degli aderenti italiani a Ungc, il 64% di essi ha infatti già definito un programma di contrasto al cambiamento climatico (contro una media nazionale del 22%) e otto aderenti su 10 calcolano le proprie emissioni (contro una media nazionale di un’impresa su dieci). “Una conferma – ha concluso Bernacchi – di quanto sia importante la condivisione di questo percorso insieme ad altre imprese in una logica di rete.Il Global Compact Onu vuole essere proprio questo, uno strumento per pianificare obiettivi ambiziosi, facendo leva sulla forza del network per raggiungere anche le pmi”. Il ministro Pichetto Fratin, introducendo la ricerca, ha affermato, infatti, che, “a valle dell’impegno già in essere delle grandi aziende, l’obiettivo è integrare le piccole e medie in un percorso di transizione industriale nazionale: questo dovrà tenere conto di misure a supporto che riguardano l’accesso alla finanza e le agevolazioni, il tema delle competenze tecniche e la competitività nel lungo periodo”. La ricerca registra, inoltre, una coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero.
Fra i non aderenti allo UN Global Compact, il 17% delle imprese intervistate ha definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti.Di queste, solo un’azienda su 10 è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni.
Se guardiamo, invece, al cluster delle imprese partecipanti al progetto onusiano, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle 8 imprese su 10 che hanno definito target net-zero o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio. Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale.Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici e per un altro 27% pesa invece la mancanza di figure professionali competenti.
Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni nelle aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% delle imprese è oggi presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni. Se si guarda ai dati per settore rispetto alla conoscenza del tema ambientale, dalla ricerca emerge che è nella moda, nel food e nelle utilities che si riscontrano i livelli di conoscenza maggiori.In alcuni settori, come quello delle costruzioni (settore ad alto impatto in termini di emissioni), le conoscenze sono, invece, piuttosto sommarie e poco diffuse.
Automotive e utilities risultano i settori più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione dell’adozione di comportamenti sostenibili da parte delle aziende. Per quanto riguarda, invece, l’impegno e le iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities quello impegnato in modo più assiduo e strutturato, sia in iniziative di contrasto al cambiamento climatico, che in iniziative di sensibilizzazione interne rivolte alla propria popolazione aziendale.Questo si traduce in attività e impegni concreti (calcolo impronta carbonica e definizione di specifici obiettivi di riduzione delle emissioni, validati da Sbti, ossia Science Based Target initiative).
Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro per questo tipo di iniziative. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)