Il premier Matteo Renzi apre la nuova stagione politica con l’impegno a discutere la sorte dell’ Italicum , la legge elettorale criticata da parte del suo partito, pur senza rinunciare ad attaccare Massimo D’Alema sul referendum. Intanto, nell’intreccio tra referendum costituzionale e legge elettorale si ripresenta “una tendenza ormai alla moda”, come scrive l’editorialista Luigi La Spina, quella del “voto per dispetto”.
D’Alema, nemico perfetto: ecco la nuova strategia di Renzi per il Sì
Legge elettorale, così il premier punta a stanare gli oppositori
Il cerino in mano agli altri
D
unque, sondando gli strateghi del Pd si capisce che il vero intento dell’uscita di ieri «gli altri facciano le loro proposte, noi faremo le nostre», è rimettere il cosiddetto cerino nelle mani dei dissidenti. Un’uscita che svela l’intenzione di «verificare prima le proposte degli altri, dei più zelanti sul tema», confermano i suoi uomini. E si vedrà, attraverso una modalità ancora da definire (capigruppo Pd con missioni diplomatiche o altro) se i vari sistemi, come il Mattarellum 2.0 caldeggiato dai compagni, possano ottenere numeri in grado di varcare il Rubicone. Cosa allo stato assai ardua.
Dividere i nemici interni
Ma se Renzi ha voluto rivendicare le cose di sinistra del governo, come le unioni civili o la sintonia con Tzipras anti-austerity è anche per blandire la parte dei militanti bersaniani, tentando di dividere la fronda interna tra buoni e cattivi. Perché è convinto che in una contesa referendaria che allo stato vede le due parti fifty-fifty, se riuscirà a scalfire il fronte a lui ostile anche di un pezzo, potrà portare a casa la partita. In ogni caso avverte quelli che lo osteggiano, che pure se perde il referendum non uscirà di scena: si ricandiderà da leader del Pd: «Vi aspetto», dice a tutti. E chi pensa di riprendersi facilmente il partito al congresso di fine 2017 deve fare bene i suoi calcoli.
«Matteo annusa profumo di vittoria, il clima è cambiato, i sondaggi vanno meglio, la gente comincia a capire che la riforma è giusta», racconta chi è vicino al leader dopo il comizio-affondo. E sarà proprio per questo sentiment positivo, che Renzi trasforma una liturgia come la chiusura della Festa dell’Unità da parte del segretario, in un processo di rovesciamento della narrazione fin qui andata in onda sul referendum: cavalcando lui la personalizzazione, mettendo all’indice i nemici della riforma. E scegliendosi un avversario con un volto preciso, una figura da fissare bene nell’immaginario collettivo dei militanti, quella di Massimo D’Alema. Anzi, due figure per essere più esatti, quella di D’Alema e dell’altro ex premier di una stagione che fu, Silvio Berlusconi.
I due vecchi leader
Per provare a vincere il referendum con la modalità che gli consentì due anni fa di prendere il potere, la rottamazione dei vecchi «leader del passato», come dice con tono sprezzante. «Matteo ha voluto mettere in luce che chi oggi contrasta la nostra riforma che è nel solco delle stagioni dell’Ulivo si pone da solo in contraddizione», dice il sottosegretario Davide Faraone lì a Catania con Renzi. «Il suo tentativo è presentare D’Alema insieme a Berlusconi come i due leader del passato che cercano di frenare il futuro, due leader che sono insieme agli occhi della nostra base il simbolo di una politica inconcludente». E come altre volte si è lanciato nell’imitazione del Berlusca con qualche «mi consenta» buttato lì in milanese, a Catania si lancia nell’imitazione di “baffino” calcando le parole alla romana, per demolirne col sarcasmo l’autorevolezza, facendo sganasciare la platea ma facendo infuriare i compagni come Speranza, arrivato in Sicilia per ascoltare qualche apertura sull’Italicum più dettagliata delle ultime. E ripartito col fumo che gli esce dal naso e il grido di battaglia, «se le cose stanno così voterò no al referendum».
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lastampa/D’Alema, nemico perfetto: ecco la nuova strategia di Renzi per il Sì CARLO BERTINI
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