Cade l’accusa per l’uomo che abusò della figlia della convivente. Nel 2007 la condanna, ma in Appello tutto si è arenato. In Aula a Torino l’imbarazzo della Corte: “Bimba violentata due volte”
TORINO – “Questo è un caso in cui bisogna chiedere scusa al popolo italiano”. Con queste parole, la giudice della Corte d’Appello Paola Dezani, ieri mattina, ha emesso la sentenza più difficile da pronunciare. Ha dovuto prosciogliere il violentatore di una bambina, condannato in primo grado a 12 anni di carcere dal tribunale di Alessandria, perché è trascorso troppo tempo dai fatti contestati: vent’anni. Tutto prescritto. La bambina di allora oggi ha 27 anni. All’epoca dei fatti ne aveva sette.
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all’aula l’hanno chiamata per chiederle se volesse presentarsi al processo, iniziato nel 1997, in cui era parte offesa. Ma lei si è rifiutata: “Voglio solo dimenticare”. Il procedimento è rimasto per nove anni appeso nelle maglie di una giustizia troppo lenta. Lo ammette senza mezzi termini il presidente della corte d’Appello Arturo Soprano: “Si deve avere il coraggio di elogiarsi, ma anche quello di ammettere gli errori. Questa è un’ingiustizia per tutti, in cui la vittima è stata violentata due volte, la prima dal suo orco, la seconda dal sistema”.
In aula, a sostenere l’accusa della procura generale, è sceso l’avvocato generale Giorgio Vitari. “Ha espresso lui per primo il rammarico della procura generale per i lunghi tempi trascorsi – spiega il procuratore generale, Francesco Saluzzo – Questo procedimento è ora oggetto della valutazione mia e del presidente della Corte d’Appello. È durato troppo in primo grado, dal 1997 al 2007. Poi ha atteso per nove anni di essere fissato in secondo”.
La storia riguarda una bambina violentata ripetutamente dal convivente della madre. La piccola, trovata per strada in condizioni precarie, era stata portata in ospedale, dove le avevano riscontrato traumi da abusi e addirittura infezioni sessualmente trasmesse. La madre si allontanava da casa per andare a lavorare e l’affidava alle cure del compagno.
Il procedimento alla procura di Alessandria parte con l’accusa di maltrattamenti e violenza sessuale. In udienza preliminare viene però chiesta l’archiviazione per parte delle accuse e l’uomo riceve una prima condanna, ma solo per maltrattamenti. Contemporaneamente, il giudice dispone il rinvio degli atti in procura perché si proceda anche per violenza sessuale. Nel frattempo, però, sono già trascorsi anni. L’inchiesta torna in primo grado e, dopo un anno, viene emessa la condanna nei confronti dell’orco: 12 anni di carcere.
Da Alessandria gli atti rimbalzano a Torino per il secondo grado. Ma incredibilmente il procedimento resta fermo per nove anni in attesa di essere fissato. Finché, nel 2016, il presidente della corte d’Appello Arturo Soprano, allarmato per l’eccessiva lentezza di troppi procedimenti, decide di fare un cambiamento nell’assegnazione dei fascicoli. “Ho tolto dalla seconda sezione della corte d’Appello circa mille processi, tra cui questo, e li ho ridistribuiti su altre tre sezioni. Ognuna ha avuto circa 300 processi tutti del 2006, 2007 e del 2011. Rappresentavano il cronico arretrato che si era accumulato”, spiega. La prima sezione ha avuto tra le mani per un anno il caso iniziato nel 1997. E l’udienza si è svolta solo ieri. “Ormai, però, era intervenuta la prescrizione”.
Un altro errore si è aggiunto alla catena di intoppi giudiziari: per sbaglio è stata contestata all’imputato una recidiva che non esisteva, il che avrebbe accorciato ulteriormente la sopravvivenza della condanna. I giudici, ascoltate le scuse della procura generale, si sono chiusi a lungo in camera di consiglio. Forse nella speranza di trovare un’ancora di salvezza. Alla fine, però, ha vinto il tempo.
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