Sequestro patrimoniale di 400 mila euro a due militanti della Stidda (VIDEO)

Eseguito il sequestro dalla Questura di Agrigento. Il Pm che fece condannare uno dei due mafiosi era stato il giovane Magistrato Rosario Livatino

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Sequestro patrimoniale di 400 mila euro a due militanti della Stidda

Nella giornata di ieri, personale Divisione Polizia Anticrimine – Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali – della Questura di Agrigento ha dato esecuzione al sequestro patrimoniale nei confronti dei fratelli MAIRA, Antonio e Giuseppe, canicattinesi, rispettivamente di anni 71 e di anni 65.

Il valore del sequestro dei beni ammonta a circa 400.000,00 euro, tra immobili situati a Canicattì e Caltanissetta e depositi bancari intestati ad essi ed ai familiari.

Il Pm che fece condannare uno dei due mafiosi era stato il giovane Magistrato Rosario Livatino

Dei due fratelli sottoposti a sequestro, uno, Maira Antonio, è stato personaggio di primo piano nel panorama delinquenziale della provincia agrigentina, in quanto militante già negli anni ’80 nel clan “Stidda”, per conto del quale si macchiò di gravi reati subendo diverse condanne, tra cui quella più pesante inflittagli con la pubblica accusa sostenuta dall’allora giovane Magistrato Rosario LIVATINO, vittima della violenza mafiosa, proclamato Beato giusto la scorsa domenica.

A dire dei vari collaboratori di giustizia il Giudice LIVATINO fu ucciso proprio perché aveva inflitto forti condanne ad affiliati della “Stidda”, tra cui appunto figurava il Maira Antonio.

Infatti, per i suddetti reati, traffico di droga in contesto associativo ed armi, il predetto Maira Antonio fu condannato dal Tribunale di Agrigento nel 1986 alla pena della reclusione di anni 22 e mesi 6, poi ridotta in appello ad anni 17 e mesi 6 di reclusione. Fu quello che prese la condanna più elevata, che scontò fino all’anno 2004.

ROSARIO LIVATINO, IL GIUDICE RAGAZZINO, È DIVENTATO BEATO

È stato il primo Magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica. Rosario Livatino è stato beatificato nella cattedrale di Agrigento, a nome di Papa Francesco, dal Cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Il Vaticano ha riconosciuto che quello del “Giudice ragazzino” di Canicattì è stato martirio in ‘odium fidei’ (una locuzione latina che può essere tradotta in italiano come “In odio alla fede”). Non essendo stata fatta la ricognizione del corpo, sepolto nella cappella di famiglia del suo paese, come reliquia sull’altare è stata esposta la camicia che il Magistrato indossava quando fu ucciso e che rimanda all’agguato mafioso di quella mattina del 21 settembre 1990, mentre il Giudice Livatino si recava senza scorta con la sua utilitaria da Canicattì al Tribunale di Agrigento. La festa sarà celebrata ogni 29 ottobre.

Proprio il 9 maggio 1993, nella valle dei templi di Agrigento, San Giovanni Paolo II pronunciò il suo forte anatema contro la mafia “Dio – disse Wojtyla – ha detto una volta ‘Non uccidere’. Non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!”. E aggiunse “Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”.

UN BREVE PROFILO BIOGRAFICO DEL MAGISTRATO ROSARIO LIVATINO

Primo e unico figlio di Vincenzo Livatino e Rosalia Corbo, Rosario Angelo Livatino nacque a Canicattì, provincia e arcidiocesi di Agrigento, il 3 ottobre 1952 e fu portato al fonte battesimale il 7 dicembre successivo nella locale chiesa parrocchiale di San Pancrazio. Terminati gli studi ginnasio liceali, dal 1958 al 1971, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, dove il 9 luglio 1975 conseguì la laurea con il massimo dei voti. Sulla tesi scrisse il suo motto “Sub tutela Dei” (un’invocazione che risale al Medioevo affinché Dio aiutasse chi doveva compiere un dovere pubblico). Superato il concorso per entrare in Magistratura, fu impiegato presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Dal 18 luglio 1978 lo troviamo attivo per il tirocinio presso il Tribunale di Caltanissetta. Il 24 settembre 1979 gli vennero conferiti gli impegni giurisdizionali con l’immissione in ruolo e con l’incarico di Uditore giudiziario con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento. il 21 agosto 1989 gli fu affidato l’incarico di Giudice della sezione penale presso lo stesso Tribunale di Agrigento, che egli svolse per poco più’ di un anno. La mattina del 21 settembre 1990, infatti, mentre si recava senza scorta con la sua Ford Fiesta da Canicattì al Tribunale di Agrigento, cadde per mano di un commando di killer mafiosi, agli ordini delle Stidde di Canicattì e Palma di Montechiaro di Cosa Nostra, che odiavano la sua fede e la sua integrità nell’esercizio della Giustizia.

Adduso Sebastiano

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