L’acquedotto sulla collina di Castellammare è di epoca romana

“L’acquedotto sulla collina di Castellammare è di epoca romana non risale ad epoca borbonica ma...

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“L’acquedotto sulla collina di Castellammare è di epoca romana non risale ad epoca borbonica ma risale all’epoca romana” lo afferma l’archeologo Pappalardo

L’acquedotto sulla collina di Castellammare è di epoca romana

Pappalardo (archeologo): “Acquedotto romano a Castellamare di Stabia. Oggi rendiamo per la prima volta noti i risultati della nostra attività di ricerca condotta sul campo. L’acquedotto situato sulla collina di Castellammare di Stabia non risale ad epoca borbonica ma risale all’epoca romana. L’acquedotto si sviluppa lungo un tracciato di diversi chilometri. Abbiamo seguito le tracce da Quisisana a Pimonte, constatando lo stato di conservazione di questa grandiosa opera di ingegneria idraulica. Essa è costituita da una canalina in cocciopesto a sezione rettangolare, di dimensioni cm 50 x cm 45 circa”.

Santaniello (Presidente sezione stabiese di ArcheoClub d’Italia) : “Si tratta di una scoperta importante, di un fatto completamente nuovo. Il team di ArcheoClub ha condotto la ricerca con determinazione e siamo arrivati a risultati sorprendenti”.

L’Acquedotto Quisisana di Castellamare di Stabia non è di epoca borbonica ma è di epoca romana. La scoperta grazie allo studio da noi condotto con accurate ricerche terminate proprio in questi giorni. La storia millenaria della Città di Castellammare di Stabia non smette mai di stupire, sembra inesauribile, di volta in volta emergono nuove scoperte, soprattutto in campo archeologico. Ci sono luoghi sulla terra dove l’uomo si è insediato stabilmente, adoperandosi nel trasformare il territorio per dotarsi di tutto ciò che necessitava per condurre un’esistenza comoda e dignitosa. Affinché ciò potesse avvenire occorrevano delle condizioni ambientali favorevoli: la presenza di acqua abbondante, le terre fertili, i boschi per ricavare la legna, i pascoli per le greggi, il clima mite, il mare come luogo di scambio delle merci e per allacciare relazioni con gli altri popoli. Ebbene, l’antica Stabiae aveva tutti questi elementi”. Lo ha annunciato oggi, l’archeologo Umberto Pappalardo, Ordinario di Archeologia dell’Università di Tunisi, noto archeologo e componente del Comitato Tecnico Scientifico della sezione stabiese di ArcheoClub d’Italia.

Ecco lo studio nei dettagli, reso noto per la prima volta oggi.

“Le continue scoperte archeologiche hanno spinto noi dell’Archeoclub ad intensificare ed approfondire gli studi per colmare alcuni vuoti nei passaggi storici. Abbiamo cominciato con l’esplorazione delle colline della città di Castellammare di Stabia da Pozzano a Quisisana, alla ricerca di testimonianze archeologiche e architettoniche ancora oggi prive di uno studio approfondito. In particolare abbiamo percorso il tracciato dell’acquedotto di Quisisana, fino ad oggi attribuito al periodo borbonico – ha proseguito l’archeologo Pappalardo –  perché incuriositi dalla particolare tecnica costruttiva dei ponti che sostengono l’acquedotto in almeno due punti di grande interesse naturalistico. Uno nel territorio stabiese l’altro nel territorio di Pimonte. Abbiamo studiato attentamente i materiali e la tecnica costruttiva e siamo rimasti meravigliati dai risultati. Per la costruzione dei ponti sono stati utilizzati mattoni che presentano notevoli differenze rispetto a quelli in uso nel periodo borbonico. Infatti, sono emerse notevoli differenze cromatiche e geometriche. La stessa composizione dell’impasto risulta molto simile alle tecniche in uso in epoca romana. Inoltre, ci siamo sempre posti la domanda di come avvenisse l’approvvigionamento idrico di Stabiae, sia per la collina di Varano che per la zona portuale. Tutto sembra ricondurre alle tecniche costruttive degli acquedotti citate nel nel “De Architectura” di Marco Vitruvio Pollione e “Sugli acquedotti di Roma” di Sesto Giulio Frontino (I secolo d.C.). Attraverso gli scavi archeologici sappiamo delle ville stabiane che si sviluppavano sulla collina di Varano, mentre una porzione di città si sviluppava a ridosso del porto. Un’area che si estendeva da Varano fino al moderno porto di Castellammare di Stabia in zona Fontana Grande, dove sono state rinvenute opere in opus reticulatum. Bisogna considerare che la differente quota tra le due zone della città (probabilmente anche due epoche diverse di costruzione, una in collina precedente all’eruzione del 79 d.C. e l’altra verso il mare dopo il 121 d.C.) necessitava di due fonti idriche differenti. Quindi ipotizziamo che la collina di Varano venisse rifornita di acqua dalle abbondanti sorgenti dei Monti a ridosso di Gragnano, il tracciato poteva seguire l’acquedotto medioevale, i cui resti sono ancora oggi ben visibili. Invece, sembra evidente che la zona portuale venisse rifornita dalle abbondanti sorgenti che provenivano da Agerola e Pimonte, rispettivamente dalla sorgente Acquafredda e San Giuliano. Questa ipotesi trova riscontro nel ritrovamento di antiche tracce romane su quello che è stato definito fino ad oggi l’acquedotto borbonico. Infatti, l’acquedotto si sviluppa lungo un tracciato di diversi chilometri. Abbiamo seguito le tracce da Quisisana a Pimonte, constatando lo stato di conservazione di questa grandiosa opera di ingegneria idraulica. Essa è costituita da una canalina in cocciopesto a sezione rettangolare, di dimensioni cm 50 x cm 45 circa, che segue l’andamento delle rocce, adattandosi all’orografia dei luoghi. Lo studio della parte interna della canalina ci consente di affermare con certezza che è stata sottoposta a due differenti interventi di costruzione. Nella fase iniziale la canalina e i ponti e nella fase successiva una copertura in pietra calcarea. Probabilmente è proprio questo ultimo intervento ad essere stato eseguito in epoca borbonica”.

Ed è il Presidente della sezione stabiese di ArcheoClub D’Italia, Massimo Santaniello che con emozione descrive gli altri dettagli dell’opera di ricerca proseguita sul campo anche durante la pandemia.

“Siamo dunque dinanzi ad una scoperta importante perché un conto è l’epoca borbonica ed un altro è invece un acquedotto risalente all’epoca romana. Lungo il tratto da Castellammare di Stabia a Pimonte, in due punti, le linee di impluvium della montagna vengono superate con due ponti ad arco, realizzati in opus latericium. Sul ponte di Pimonte si evince chiaramente che una parte del piedritto, che si ipotizza di epoca romana – ha concluso Santaniello –  è stato in parte demolito per ricostruire l’arco crollato a seguito di eventi naturali o per semplice vetustà. A questo punto è fondamentale il supporto scientifico del Prof. Umberto Pappalardo, socio onorario dell’Archeoclub Stabiae nonché membro del comitato scientifico, coadiuvato dalle archeologhe della nostra associazione. Infatti, egli sostiene: “Fino alla metà del XX secolo non c’era vita in assenza di acqua. L’uomo fin dalla preistoria è sempre stato totalmente dipendente dalle risorse naturali. Laddove vediamo battisteri cristiani possiamo essere certi che al disotto vi siano terme romane e più sotto ancora una falda acquifera. Molto spesso al disotto dei monasteri vi sono i resti di ville romane, come ai Camaldoli di Torre del Greco, e più sotto ancora … una sorgente. Nella stessa Castellammare al disotto della settecentesca Fontana Grande appaiono mura romane in opera reticolata. Pertanto rientra in un quadro perfettamente legittimo che l’acquedotto da Pimonte a Quisisana possa insistere su strutture già di epoca romana ed è bene che di queste indagini se ne occupi l’Archeoclub d’Italia aps “Stabiae”, sia per riappropriarsi della memoria storica del proprio territorio sia per incominciare ad allestire dei percorsi di “trekking culturale”. Solo nei tempi moderni l’uomo, resosi completamente indipendente dalle risorse naturali, ha osato costruire città in pieno deserto, come Las Vegas e Abu Dhabi … dove comunque giungevano le stupende bottiglie blu dell’Acqua della Madonna”.

Redazione Campania

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