Dossier Cerbero: le conversazioni tra i boss

Gli ennesimi retroscena svelati nel dossier Cerbero: la contesa del rione di Santa Caterina e l’arruolamento di un nuovo affiliato.

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Gli ennesimi retroscena svelati nel dossier Cerbero: la contesa del rione di Santa Caterina e l’arruolamento di un nuovo affiliato.

Il dossier Cerbero sta facendo luce sui misteri della camorra stabiese relativi al periodo tra il 2010 e il 2015. Un viaggio, lungo 5 anni, che ci porta in un Inferno dove i clan hanno divorato la città schiavizzando l’economia e i cittadini imponendo estorsioni e spargendo nelle strade sangue e droga. Non a caso l’inchiesta prende il nome dalla bestia mitologica Cerbero, utilizzata da Dante Alighieri come guardiana del terzo cerchio dell’Inferno, quello del peccato della gola. La belva, infatti, rappresenta colui che mangia in modo vorace e senza ritegno.

In quegli anni erano 2 le organizzazioni che si spartivano il dominio criminale dei D’Alessandro.

Una era gestita da Michele D’Alessandro, figlio di Luigi D’Alessandro (classe ’73) e Rosaria Iovine, con l’aiuto di Gianfranco Ingenito; l’altra da Antonio Rossetti e  Michele D’Alessandro, figlio di Luigi D’Alessandro (classe’47, fratello di Michele D’Alessandro, il padrino defunto),

Le due organizzazioni lavoravano parallelamente, senza pestarsi i piedi.

Ma un attrito ci fu per quel che riguarda il predominio sul rione di Santa Caterina.

Da una conversazione intercettata tra Gianfranco Ingenito, Rosaria Iovine e Michele D’Alessandro classe ’92, gli investigatori hanno scoperto una discussione avvenuta tra Augusto Bellarosa e Giovanni Savarese, detto Giovanniello.

Gianfranco Ingenito riferisce di essere andato dallo zio, Giovanni Savarese, affermando che il rione di Santa Caterina fosse sotto il suo controllo. Inoltre riferendosi ad una richiesta di pizzo ai danni di un’impresa afferma che era un’estorsione che loro avevano chiuso prima e di cui avevano parlato con Antonio Rossetti detto “o’ Guappone” e zio Antonio detto “u’ Curt” (Antonio Schettino).

Parole che suscitano l’ira di Rosaria Iovine. Rabbia causata dal fatto che Augusto Bellarosa, considerato dall’Antimafia il ministro degli esteri della cosca e l’intermediario tra le 2 organizzazioni, non abbia fatto valere il peso criminale del coniuge Luigi D’Alessandro. Così Rosaria Iovine afferma ironicamente «e quello che comanda Castellammare che ha detto?», riferendosi all’Ingenito. Quest’ultimo risponde che lo zio, Augusto Bellarosa, non era contento dell’affidamento del rione di Santa Caterina a Giovanni Savarese. Un’assegnazione che lui non poteva cambiare dato che erano state fatte da Antonio Rossetti, alias “o’Guappon”, prima della sua scarcerazione.

Inoltre, secondo il racconto di Ingenito, Bellarosa avrebbe chiesto la sua parte su di un’altra estorsione in un altro cantiere edile. Ma a questa richiesta “Giovanniello” gli avrebbe risposto in maniera negativa dicendo «che lui ha i carcerati da mantenere e che quindi un pensiero non glielo poteva dare». «Ora – afferma Michele D’Alessandro agli interlocutori – io come regola mi dovrei uccidere con Giovanniello?». Ingenito e Iovine però dissentono e affermano che a parlare ora deve essere Augusto Bellarosa.

In un secondo momento, dopo che il Bellarosa aveva fatto valere il proprio diritto sulle estorsioni del rione stabiese, il Savarese si fece da parte in segno di rispetto a Luigi D’Alessandro, classe 73.

Oggi il dominio sul quartiere di Santa Caterina potrebbe cambiare a causa dell’uscita dal carcere di Raffaele Di Somma, storico boss cutoliano del quartiere. (Clicca e leggi qui l’articolo).

La camorra come opportunità di lavoro

Un altro retroscena emerge nel filone delle intercettazioni a carico di Nicola Tramparulo, uomo di fiducia di Luigi Calabrese.

In un incontro fortuito, il pregiudicato S.V. ammette di trovarsi in un momento di difficoltà economica e chiede di poter essere coinvolto dal Tramparulo nello svolgimento di qualche “lavoro” per guadagnare del denaro.

L’uomo, quasi come se stesse ad un colloquio di lavoro, comincia ad elencare le sue doti nel campo del crimine: ammette di essere in grado di reperire armi nuove e mai usate ad un prezzo ragionevole (1800-2000 euro), e di saper “lavorare in team” dato che in precedenza aveva operato insieme ad altri formando una banda. Inoltre si propone per lo svolgimento di diverse attività criminali come il “pestare qualcuno” o di “qualsiasi lavoro inerente al traffico di stupefacenti”.

Il Tramparulo a questa richiesta risponde negativamente, dicendo che in quel momento questi tipi di affari “erano fermi” e che comunque era abituato ad agire al massimo in coppia per evitare che i fatti trapelassero e cadere in arresto.

L’ennesima prova di come la camorra possa rappresentare un’opportunità di lavoro e di come cittadini in difficoltà o che hanno varcato i limiti della legalità chiedano di diventare membri a tutti gli effetti dei sodalizi criminali.

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A cura di De Feo Michele / Redazione Campania

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