Corte dei conti: La Sicilia non spende i fondi per i disastri idrogeologici

La relazione della Corte dei conti evidenzia come non solo la Sicilia su 789 milioni ne abbia speso solo 28, ma Messina e Catania neanche un euro

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Ieri abbiamo scritto con profonda amarezza e sconcerto l’articolo: 26 Ottobre 2021 Il 53enne è stato trascinato dall’acqua sotto la vettura annegando. L’autostrada per Messina chiusa per 10 giorni causa frana: SS114 in tilt, inerente anche le tre vittime nel catanese a causa del maltempo nonché del disastro alluvionale che ha investito in particolare la città di Catania e in generale la Sicilia, evidenziando come sia incomprensibile che non ci siano opere idrauliche adatte e soprattutto quelle esistenti non abbiano scoli adeguati per l’acqua piovana specialmente in presenza di forti piogge affinché queste ultime scorrano sull’asfalto come fiumi impetuosi e anche omicidi.

DOMANDE, DOMANDE, DOMANDE

Insomma, com’è possibile che questa fantastica Sicilia baciata dalla natura continui ad essere abbandonata in uno stato di arretratezza infrastrutturale generale. Com’è possibile che la più sprezzante e misantropa trasversale politica e burocrazia alberghi in quest’Isola. Com’è possibile che non si trovi una soluzione per “bonificare” forzosamente questa regione dal trasversale sistema pubblico-politico-professionale-imprenditoriale, dagli scranni più alti fino all’ultimo sgabello, che assoggetta da sempre i siciliani come una condanna ancestrale. I siciliani negli anni li hanno provati tutti i partiti, sentendosi dire ad ogni elezione che tutto sarebbe cambiato, per poi nei fatti non mutare nulla nei decenni.

LA CORTE DEI CONTI

Eloquente di tutto ciò anche la relazione della Corte dei contiRelazione su interventi per mitigare rischio idrogeologico” del 25 ottobre 2021 diffusa dalla Magistratura contabile”.

«Al netto dei ritardi conseguenti all’emergenza pandemica, il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, che ha mobilitato risorse economiche, nazionali e comunitarie, pari a 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030, destinate alle Regioni e agli enti locali, ha avuto il pregio di unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa.

È quanto si legge in una nota diffusa dalla Corte dei conti relativa alla relazione su “Gli interventi delle Amministrazioni dello Stato per la mitigazione del rischio idrogeologico”, approvata con delibera n. 17/2021/G dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, dove viene, fra l’altro, sottolineato come l’Italia, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa, sia il Paese maggiormente interessato da fenomeni franosi.

Nonostante i numerosi interventi normativi, organizzativi e procedurali, il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano in misura crescente un’emergenza nazionale e una vera priorità per il Paese. Non è un caso che il PNRR gli dedichi specifica attenzione nell’ambito della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, destinando a tale emergenza dal 2020 al 2026, un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del Ministero della transizione ecologica per progetti già in essere, con risorse esistenti nel bilancio e 1,200 miliardi della Protezione civile, di cui 800 milioni costituiscono risorse aggiuntive.

L’indagine della Corte ha esaminato lo stato di attuazione del Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico, il Dpcm 20 febbraio 2019 c.d. “ProteggItalia”, che nasce con l’intento non solo di operare una ricognizione delle risorse nazionali ed europee, ma di superare l’approccio emergenziale al tema del dissesto attraverso l’individuazione di misure di emergenza, di prevenzione, di manutenzione e misure organizzative, gestite per competenza da più Amministrazioni statali. Sul punto si ribadisce la necessità di superare le gestioni straordinarie e semplificare i processi verso un rientro ad un regime ordinato di competenze, con una programmazione in via ordinaria della gestione del territorio che, oltre a garantire la progettazione e realizzazione degli interventi, sia guidata da una adeguata pianificazione in coerenza con le Direttive 2007/60/CE c.d. “Direttiva alluvioni”, e la Direttiva 2000/60/CE (c.d. Direttiva Acque).

Fra le criticità, la Magistratura contabile ha rilevato l’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi relativi agli interventi e la debolezza degli strumenti e delle modalità di pianificazione territoriale, in grado di attuare una politica efficace di prevenzione e manutenzione.

Nonostante le semplificazioni introdotte, restano, infatti rallentati sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali. Ulteriori problematiche irrisolte restano la capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici e la scarsa pianificazione del territorio.

Sul fronte della Governance, la Corte evidenzia la molteplicità delle strutture (fra cabine di regia, strutture di missione, segreterie tecniche, task force centrali e regionali, etc.) dei processi decisionali e delle relative responsabilità, situazione che non ha favorito il necessario “cambio di passo” verso una gestione “ordinaria” ed efficace del contrasto al dissesto. Per questo si auspica che l’introduzione del nuovo assetto organizzativo di governo del PNRR possa contribuire a superare tali criticità, semplificando le strutture e le procedure di attuazione».

IL CENTRO STUDI PIO LA TORRE

Sulla questione sollevata dai Magistrati contabili interviene il Centro Studi Pio La Torre: Dall’esame delle tabelle si rileva come «All’Isola sono state assegnate le maggiori risorse con circa 789 milioni di euro, seguita da Lombardia con 598 milioni, Toscana (591 milioni), Campania (486 milioni) e Calabria con 452 milioni. Mentre risultano impegni di spesa per opere contro il rischio dissesto idrogeologico per 45,33 milioni pari al 19,9% e pagamenti per 28,66 milioni pari al 12,6%. Catania e Messina non hanno speso un euro.

Per quanto riguarda i cosiddetti Patti per lo sviluppo, dai dati forniti dall’Agenzia per la coesione emerge che dei 585,3 milioni di euro di interventi contro il dissesto idrogeologico finanziati nel patto regionale siciliano su fondi Fsc 2014-2020 ne sono stati impegnati solo 25,9 e pagati appena 9.

In compenso il Patto Città di Catania e quello di Messina 19,4, che avevano finanziamenti rispettivamente per 31,3 milioni di euro e 19,4 risultano non aver impegnato, e tanto meno speso, un solo euro. Un poco meglio va Palermo che su 40,2 milioni assegnati è riuscito a impegnarne 2,5, tuttavia si segnalano pagamenti pari a zero euro”.

I soldi per intervenire c’erano, sono stati utilizzati poco e male. Anche le amministrazioni centrali dello Stato hanno le loro colpe, ma la Regione a statuto speciale ha tra le proprie potestà esclusive la tutela del territorio e dell’ambiente e la gestione della lotta al rischio idrico e geologico. Ed è gravissimo che abbia fatto poco e niente per prevenire rischi ripetutamente annunciati.

Per quanto straordinari siano gli eventi meteorologici di queste ore, non v’è dubbio che i danni sono stati moltiplicati dalle condizioni fatiscenti dei sistemi idrici e da interventi sul territorio che hanno compromesso irrimediabilmente gli equilibri tra la natura e gli insediamenti umani».

IL PROGETTO DEL “CANALE DI GRONDA” A CATANIA

Si apprende, per quanto riguarda Catania, che fosse prevista un’opera pubblica il “Canale di gronda” per un costo di 58 milioni di euro che se completata, avrebbe messo al riparo dal disastro. Ma quell’infrastruttura si è arenata.

L’opera era stata progettata e finanziata, pronta per essere appaltata, ma una legge del 2016 ha richiesto, come ormai per tutte le infrastrutture, che ci fosse un progetto esecutivo (ovverosia con tutte le autorizzazioni) e non solo definitivo.

Però sembra mancassero i fondi per l’adeguamento del progetto e si è dovuto richiederli al Governo nazionale che ha risposto dopo due anni dalla domanda.

Nel frattempo i poteri sono stati trasferiti per legge ad un commissario regionale. Sicché ad oggi non è stato mai bandito l’appalto.

L’OPINIONE

Seguendo pure altre situazioni, sembra di percepire che i tempi, di tutta evidenza, vengono allungati, se non anche le opere in corso rimangono incompiute, così che si giustifichi poi, anche con l’emergenza, il raddoppio e più dei costi. Insomma: l’endemica generalizzata, italiana e siciliana: CORRUZIONE, SPARTIZIONE E MANGIUCCHIA legalizzatesi, contro cui, pare, non si sia mai potuto, guarda caso, porre un forzoso argine.

Come se ne esce, per “tutto”, in questa Isola e Penisola ?

Adduso Sebastiano

(le altre informazioni regionali le trovi anche su Vivicentro – Redazione Sicilia)

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