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Home » Bariti:”Il mio cuore è ancora a Napoli, è proprio vero…”

Bariti:”Il mio cuore è ancora a Napoli, è proprio vero…”

di Ciro Novellino
9 Novembre 2016
in Calcio Napoli
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Le sue parole a gianlucadimarzio.com

‘Napule è mille culure’. E lui lo sa bene. Gli occhi gli si illuminano, affiorano mille ricordi. Gli è bastato appena un anno a Davide Bariti (ora all’Ancona) per innamorarsi… “Il mio cuore è ancora a Napoli, ci vado ogni volta che posso. I colori, l’affetto della gente, le passeggiate sul lungomare, la vista del Vesuvio in quelle splendide giornate di sole”. Vola con le mente…e con le parole: venti metri sopra al cielo. Conquistato, ammaliato e affascinato. “Napoli ha un cuore che pulsa! E’ difficile anche da spiegare, ti fanno sentire a casa. E’ proprio vero, quando un forestiero va al sud piange due volte: quando arriva (non è che sia proprio così) e soprattutto quando riparte”.

La stagione 2013/2014, il primo anno di Benitez, l’addio di Cavani , l’arrivo di Higuain e la ‘mini rivoluzione’. Tutto, ancora, nel cuore e nella testa di Bariti, come fosse ieri: “E’ stata l’esperienza più bella della mia carriera. Ricordo che Pecchia veniva spesso da me e mi diceva, ‘Davide, ma secondo te puoi giocare?’ come a dire ‘tieniti pronto’. Infatti ho esordito contro il Livorno e sono rimasto per tutta la stagione, non me lo sarei mai e poi mai aspettato”. Dopo due anni di prestiti, non gli sembrava vero. Bello e inaspettato, probabilmente l’uno conseguenza dell’altro… “La stagione precedente a Napoli – racconta Bariti ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – avevo fatto soltanto la preparazione, c’era Mazzarri. Ma con Benitez era tutto diverso, a cominciare dalla preparazione stessa: tutto alla massima intensità e con il pallone, sempre. Non i soliti scatti. Pallone, pallone, pallone. Davvero bellissimo. Poi c’è da dire che eravamo un grande gruppo, in allenamento sempre mille risate”. Ma con Higuain un po’ meno… “Voleva sempre la palla ed era meglio passargliela… Ma comunque un ragazzo d’oro, eccezionale. Era impressionante perché segnava da ogni posizione, in ogni modo”. L’anno prima c’era Cavani, difficile scegliere… “Sono due campioni veri. Con lui era come avere tre giocatori in uno perché correva da una parte all’altra del campo. Magari recuperava palla in difesa e tre secondi dopo lo vedevi tirare in porta”. A proposito di portieri, Reina personaggio niente male, “sì, simpaticissimo! A fine allenamento facevamo delle rigorate e se te lo parava poi partiva con le prese in giro. C’era un clima bellissimo, mi andavo ad allenare col sorriso”. E anche con i parastinchi nuovi… “Sono stati uno dei tanti regali di Hamsik perché io prima ce li avevo mezzi in gommapiuma. Mi fece scegliere il colore e mi disse…’Davide, questi sono per te’. Davvero un grande Marek”. Mille aneddoti, anche ‘internazionali’. “Il primo giorno di allenamento ci troviamo solo io e Mertens. Dries non parlava ancora italiano e cominciamo a dialogare in inglese… ‘oh menomale qualcuno con cui posso parlare’. Ma dopo qualche giorno si era accorto che io in realtà non sapevo quasi dire nulla”. Un ambiente bucolico, perfetto. Senz’altro sarebbe stato oggetto della narrazione teocritea. Ma come tutte le cose belle… “Purtroppo è finita e sinceramente non me l’aspettavo. Forse ho sbagliato qualche scelta, ma comunque non sento di dovermi rimproverare nulla. Mi basta soltanto ricordare tutta la bellezza che c’è a Napoli…”. Dalla bellezza all’incubo, che ha un nome ben preciso, pubalgia. “L’anno scorso sono stato fuori parecchi mesi e in estate mi sono anche dovuto operare. E’ stato un inferno, credevo di non farcela. Ora finalmente grazie all’Ancona che ha deciso di puntare su di me, ho ritrovato la forza per andare avanti”. Bariti è tornato a sorridere. Ha cambiato ruolo, da esterno destro a trequartista e sabato ha anche ritrovato il gol che gli mancava da un anno e mezzo. E’ tornato a correre, quelle falcate, “per le quali a Carrara nei primi anni della mia Carrara mi dicevano che assomigliavo a Kakà”. Lotta e combatte, il ‘moschettiere’ Bariti… “Già. Il mio soprannome è D’Artagnan, me lo diede il magazziniere dell’Avellino per via dei baffi e del capello un po’ lungo”. Effettivamente questa storia potrebbe essere un bel romanzo. Manca il finale, però, “e ora ho una voglia pazza di rialzarmi e di scriverlo”. Tutto è possibile, ‘born to be free’, come il tatuaggio che ha fatto insieme a suo fratello. “Chissà se lo siamo davvero, ma a me piace pensare che sia davvero così…”

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