Editoriale Napoli – Atalanta è l’epilogo di una stagione ignominiosa: 3-0 per gli orobici al Maradona, partenopei alla frutta

La nostra analisi al termine di Napoli - Atalanta terminata con la sconfitta degli azzurri che vedono allontanarsi la zona Champions

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Nel nostro editoriale post Napoli – Atalanta (0-3) esprimiamo il nostro pensiero sull’andamento della gara tra i partenopei e i neroazzurri.

Al triplice fischio conclusivo di Luca Pairetto, si ha ormai la sensazione netta che a finire non sia soltanto Napoli-Atalanta ma pure la stagione dei campioni d’Italia in carica ( ancora per qualche settimana).

Il disastro collettivo si è compiuto, è ormai sotto gli occhi di tutti. Conseguenza di scelte sbagliate sin dalla primavera scorsa. Un anno fa la governance del Napoli – anziché programmare seriamente sulla scorta di un successo clamoroso. Sono state fatte delle scelte allucinanti in serie che sono state il presupposto di un declino tecnico oggettivamente impensabile.

Argomenti e argomentazioni che sono figlie di un dibattito che però, con Napoli-Atalanta, non c’entra. Venendo più strettamente alle cose di campo, Gasperini è “carta conosciuta” ormai da tempo e come stia in campo la sua Dea ormai non è più un mistero per nessuno. La azzanna, la gara, l’Atalanta. Quasi fosse lei, tra le due contendenti, quella chiamata all’ultimo treno Champion’s.

L’analisi tecnico – tattica della gara

Il piano partita è presto fatto: i bergamaschi soffocano il Napoli già dal primo possesso. Gli orobici esercitano una pressione ultra offensiva. L’atteggiamento degli ospiti se da un lato mortifica ogni tentativo credibile di costruzione da parte dei padroni di casa dall’altro permette agli ospiti di recuperare il pallone in frazioni di secondo e di prendersi il comando delle operazioni.

Il tutto condito da un mismatch fisico – tra le due squadre – piuttosto macroscopico, che vede gli atalantini imponentemente strutturati e i napoletani nettamente meno consistenti. Per provare a spuntarla, il Napoli, dovrebbe innanzitutto cercare di fare quante meno scelte tecniche errate possibili, eppure, l’inerzia della partita, si sposta ulteriormente verso Bergamo proprio per questo: perché il Napoli non solo non ha le armi per contrastare lo strapotere fisico della Dea, ma di fatto gli consegna la partita, sbagliando una serie di tocchi col pallone, alcuni anche piuttosto banali per le potenzialità degli uomini di Calzona.

Del resto poi, l’Atalanta, non è mica tutto gamba. Gli ospiti possiedono una cifra tecnica, soprattutto dalla cintola in su, che è di quelle da top team di serie A. Il gioco sviluppato è fatto di scambi nello stretto, combinazioni ben riuscite, sovrapposizioni ben eseguite sugli esterni a creare la superiorità.

E poi la capacità, evidente, non solo di ribaltare il fronte in pochi istanti ma di attaccare l’area con tanti uomini, riuscendo a riempire la metà campo napoletana con ferocia e convinzione.

Il Napoli?

E’ in grado di proporre un’unica giocata, a ripetizione, per tutto il primo tempo: palla lunga su Osihmen e poco altro. L’attaccante del Napoli è ben contenuto da Hien in un duello che si verificherà a più riprese. In linea di massima, l’idea è quella della verticalità esasperata. L’idea però è figlia più del concetto “buttiamo palla in avanti, che tanto Victor qualcosa fa”, che non di trame corali ben orchestrate.

Editoriale: Il racconto in breve di Napoli – Atalanta

L’Atalanta, invece, sveglia, efficace e senza fronzoli. Gli ospiti lo fanno capire dopo appena 3 minuti con Miranchuk che non ha voglia di perdersi in chiacchiere. Nell’occasione il palo salva il Napoli ma è già un segnale. La fragilità della fase difensiva – una delle costanti dell’annata infame del Napoli – si appalesa tutta in occasione del vantaggio atalantino: Rrahamani si fa sovrastare con troppa facilità, Juan Jesus non fiuta ( o forse sottovaluta) il pericolo e Meret può solo raccogliere dal sacco la zampata da due passi di Miranchuk.

Colpisce soprattutto, nella circostanza – al di là degli errori individuali – che l’area partenopea sia più riempita da atalantini in proiezione offensiva che non da difendenti partenopei. Osihmen è l’unico a creare pericolosità tra gli azzurri, oggi in maglia bianca; ma è Meret, il supereroe, su Pasalic prima e Miranchuk poi a metà primo tempo.

Sulla sirena, la spallata ( prima a Juan Jesus e poi al match) la dà Gianluca Scamacca, che scippa la sfera all’ingenuo brasiliano e trafigge Meret con un gran destro dal limite dell’area. Il 2-0 suona di sentenza già scritta.

Il secondo tempo

Eppure, la ripresa, dirà che il Napoli le sue chances è comunque riuscito a costruirsele, soprattutto per merito dell’ingresso di Zielinski. Piotr, dal suo ingresso in campo, inizia a disegnare calcio a ripetizione: la sua classe – tra le linee – diventa il preludio a tante situazioni pericolose, che però non si tramutano in goal sempre o per merito di un grande Carnesecchi o per poca lucidità sotto porta dei suoi compagni.

Splendido, a inizio secondo tempo, un sinistro poetico che si stampa in faccia al palo, a cui fa seguito un secondo legno ( su tiro di Lobotka, deviato da Osihmen, su cui Carnesecchi è un felino).

Il Napoli carica a testa bassa, l’Atalanta sembra non avere più le stesse energie del primo tempo.

Soprattutto, inizia a soffrire la posizione tra le linee di Zielinski, oltre all’ingresso di Ngonge ( che non riuscirà ad incidere in modo significativo ma sarà comunque assai più ficcante di un opaco Raspadori).

Nel finale, Carnesecchi ancora super su Osihmen, uno di quelli che alla fine si salveranno, non foss’altro per l’ardore agonistico dimostrato fino all’ultimo pallone. Nel finale, la punizione che il Napoli non avrebbe meritato: il 3-0 di Koopmeiners – con un diagonale imprendibile – equivale a dire che i sogni Champion’s, per il Napoli, terminano in questo Sabato Santo.

Le conclusioni del nostro editoriale su Napoli – Atalanta

Davanti restano 8 (probabili) amichevoli.

Il disastro si è compiuto, ora è il tempo delle riflessioni.

Quelle serie.

Quelle che si sarebbero potute cominciare a fare all’incirca 1 anno fa, di questi tempi. E che si sono sistematicamente sbagliate nei mesi a venire.

Si gioca forse, così, ogni residua chance di riconferma anche Ciccio Calzona.

Peccato, perché le premesse dell’inizio avevano fatto ben sperare.

Poi, alle parole non hanno più fatto seguito i fatti di campo.

E neppure il coraggio.

Manco più quello.

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