Si riparte, per con-vincere: Gonzalo piangi adesso, ma poi alza lo sguardo, non è tutto da buttare

Quanto può dire un pianto. Quanto fa capire. Gli occhi si inumidiscono, la vista si...

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Quanto può dire un pianto. Quanto fa capire. Gli occhi si inumidiscono, la vista si abbaglia, la testa sbatte, ma il cuore si sente più forte. Ed e lì, in quell’istante, che si creano le cose più belle, ineffabili, che manca davvero il fiato. E’ in quel momento che un artista si rivela tale. Non è sintomo di debolezza, non lo è mai stato. Ma di sensibilità, perché quello che stai facendo è la tua vita e nessuno può dire che non lo sai fare o che non va bene. Non è facile perdere. Non lo è mai. Soprattutto quando sai che forse non te lo saresti nemmeno meritato. Ma il calcio, come del resto la vita, è fatto così. A volte democratico, a volte spietato. Fatti di momenti indimenticabili e momenti in cui dimenticare è l’unica cosa da fare. Higuain ha pianto. Per la terza volta da quando è a Napoli. L’ha fatto perché sa di non aver dato il meglio, perché se fosse stato in lui, davvero, al centro per cento, la partita sarebbe andata diversamente. E’ non si tratta di un gol all’88esimo su deviazione, ma del fatto di non aver mantenuto la parola e di non aver difeso una città. La pressione, di nuovo, s’è fatta sentire. I vecchi fantasmi sono ricomparsi, le gambe faticavano a fare ciò che la testa comandava. Il primo posto della classifica è perso, il gol è mancato. Tutto è distrutto. I bianconeri possono festeggiare. E invece no. Si parte da capo. Ma insieme. Si riparte. Per convincere, non inteso come acquisire certezze su qualcosa, ma nel senso più profondo del termine. Nel con-vincere, ossia nel vincere insieme. Perché, questa volta, Gonzalo non è di certo solo. Hanno pianto in tanti, ieri sera, con lui, per lui. Un San Valentino particolare per i tifosi azzurri, iniziato in un gelido aereoporto. 3 mila persone che si sono asciugate le lacrime e si sono stretta, per farsi calore, ad aspettare la squadra. Ad aspettare Higuain. E ricordagli che è “un giorno all’improvviso” vale sempre. Non solo quando tutto va bene. Non sappiamo se il sorriso è tornato o se piange, ancora. E Se fa male, ancora. Il tempo oggi non è stato dei migliori e non l’ha favorito. La pioggia ha infastidito ed ha nascosto la realtà. Avrà preferito rifugiarsi nei ricordi, ai tempi andati, nel pensiero di non riuscire mai a fare una cosa di grande e di fallirla sempre quella maledetta occasione della vita. La pioggia, però, passa. La realtà ritorna che nemmeno il diluvio universale può nasconderla. Higuain lo sa, è tempo di scacciar via ogni paranoia. Il domani ritorna sempre e la Juve è passata. La ferita rimane aperta, ma il tempo, almeno quello, c’è. 13 partite. 13 finali per convertire quelle lacrime di delusione in gioia. Il treno passa una volta sola, l’hanno perso, per andare a +5: 1170 minuti sono tanti, come i chilometri da percorrere. Quanto può dire un pianto, allora, quanto potrà significare. Quando a piangere è Higuain, poi, tutto si eleva alla ennesima potenza. 

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