Spalletti, conferenza d’addio: “I fischi di domenica non li merito e mi hanno fatto male. Non escludo un ritorno”

NOTIZIE AS ROMA – È ufficialmente finita l’era Spalletti 2.0. Alle 13 nella sala stampa...

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NOTIZIE AS ROMA – È ufficialmente finita l’era Spalletti 2.0. Alle 13 nella sala stampa del Fulvio Bernardini di Trigoria si è tenuta la conferenza stampa di addio del tecnico toscano alla Roma. Il tecnico è stato accompagnato dal ds Monchi, che è stato il primo a prendere la parola:

Ci tengo molto ad aprire questa conferenza che annuncia la conclusione del rapporto fra la società e il mister, una relazione che a livello personale è stata breve, poco più di un mese, ma molto intensa. Come ho già detto nella mia prima conferenza, prima di arrivare qui avevo già un’ enorme stima del mister, dopo averci lavorato accanto questa stima si è moltiplicata sia a livello personale che professionale. Siamo grati al mister per i risultati ottenuti durante quest’anno e mezzo, ora per noi inizia una nuova tappa dove proveremo a continuare a crescere seguendo l’unico cammino che conosciamo: il lavoro. Spero, Luciano, che il nostro cammino un giorno possa incrociarsi. Sappi che Trigoria è e sarà casa tua.

Queste, invece, le risposte di Luciano Spalletti:

“È meglio rispondere subito al direttore. Sono state parole bellissime. Avendolo conosciuto di persona sarà sicuramente un rimpianto non poter continuare a lavorare con lui. Sembra che in questo momento ci sia bisogno di punti di riferimento, si persone forti, con personalità spiccata. Monchi ha queste caratteristiche: riuscirà a compattare tutte le risorse della Roma, probabilmente non ci sono riuscito io”.

Bilancio tecnico di questa stagione in cui la Juve è più vicina? Un voto?
“Bisogna ringraziare tutte le persone che ho avuto vicino. Il primo pensiero va a quelli che sono dietro le quinte, quelli che arrivano prima, lavorano, preparano tutte le cose affinché per noi sia più facile. Senza il loro contributo sarebbe stato difficile per me ritrovare tutte le cose a posto come mi hanno fatto trovare sempre i ragazzi in cucina, le donne delle pulizie che viaggiano a fari spenti tra i corridoi di Trigoria. Poi i calciatori, la società, il mio e tutti gli staff. È grazie a loro che si lascia una Roma sicuramente forte. Il voto? Dovete darlo voi, dovete valutare se abbiamo vinto o perso, se potevamo fare di più, se sono state troppo le sconfitte. Io voglio dire solo che ho lavorato in maniera seria per fare il bene della Roma. Ho il mio metodo di cui mi fido e siamo arrivati a questo. Ognuno gli dia poi la risultanza che vuole. Io ho gioito e sofferto molto durante la stagione”.

Lei ha fatto 133 punti in un campionato e mezzo. Fotografie di questi 18 mesi?
“I risultati sono un po’ tutto nel calcio ma la fotografia migliore è il lavoro, quello è il passaporto per fare un buon campionato, il biglietto per confrontarsi con gli altri. Se non lavori in maniera corretta è impossibile la domenica fare una buona prestazione”.

Di tutti questi record, come allenatore e come uomo qual è l’elemento di cui andrà più fiero?
“La qualità di un modo di lavorare e parlare. Riuscire a far rendere conto i calciatori del nostro obiettivo. Se non c’è coinvolgimento, disponibilità a buttar dentro le cose che ci vogliono per confrontarsi… Dalla Roma io non mi ero distaccato totalmente neppure quando ero in Russia, andavo a guardarmi risultati e prestazioni. In questo lavoro ci sono episodi e risultati fondamentali, ma la cosa più importante è che lascio una Roma forte, con delle individualità importanti, che si è comportata quasi totalmente da collettivo. Si poteva far meglio come obiettivo di tutti e probabilmente non ci sono riuscito perché non abbiamo remato tutti dalla stessa parte. Le potenzialità di questo sentimento, di questa marea che ci sta intorno sono importanti. Magari proprio ripartendo dalla partita di domenica che per certi versi sembrava una festa e per altri un addio perché c’è stato l’addio a Totti, lì si è visto rinascere qualcosa. È come una bella donna che ha in grembo qualcosa che può nascere e che dia un sostegno totale, tutti insieme, verso una direzione che è nelle possibilità dell’ambiente della Roma che è bello e che mi dispiace lasciare”.

Se si potesse tornare indietro c’è un momento che cancellerebbe o un errore che non rifarebbe?
Io di errori probabilmente ne ho fatti, ma mi sono comportato  con coerenza. Ho detto cose forti, ma si necessitava. Son o quelli i  momenti che smuovono. La dichiarazione non fa bene al gruppo, ha detto qualcuno, ma se fosse stato dentro al nostro rapporto si sarebbe accorto che era corretta in quel momento lì. Io i fischi di domenica li ho sentiti. La guerra tra me e Totti non esiste, io quei fischi lì non me li merito per come sono fatto e per come ho lavorato. Questa potrebbe essere anche una difficoltà per la Roma futura. Spero che ora si faccia il lavoro inverso: c’è un Totti di meno e bisogna sopperire. È il mio auspicio per il futuro. Questa cosa che è nata domenica, un po’ folle come la partita è stata folle perché figlia di questa massa di persone che hanno partecipato emotivamente ed hanno fatto veder l’amore per la Roma senza barriere. Anche quella storia lì ci ha tolto l’unità. Spero che questa sia la linea che poi ci compatta tutti nel senso che con Francesco vado a cena anche dopo e che la Roma possa fare risultati migliori. Io e Francesco continueremo ad essere persone che si rispettano in tutto e per tutto. Se parla qualche ventriloco può darsi che venga diverso ma io con lui sempre parole corrette e stima reciproca”.

Primo anno terzo posto, secondo anno secondo posto. Vai via perché di più non si può fare?
“Gli allenatori vanno e vengono. Posso essere maledetto e schifoso ma sono una persona per bene che fa le cose per bene per quello che è il valore del lavoro. È venti anni e oltre che faccio questo lavoro e vado per la mia strada, non seguo chi vuole suggerirmi l’inganno per la Roma. Voi avete la capacità di trasportare fuori un discorso ma poi fuori si fanno un’idea loro. Traspare un’idea di che persona sei e di quali sono i tuoi obiettivi. Il mio è stato quello di fare più risultati possibili per la Roma. A me questa divisione dispiace e se è venuta fuori probabilmente ho sbagliato qualcosa. Secondo me no ma i fischi non mi son piaciuti, mi hanno fatto male perché non li merito e se quelle persone le incontrassi una per una e fossero entrate nella mia testa solo per un momento quando abbiamo perso con il Lione o con i nostri vicini di casa non avrebbero fischiato domenica”.

Lei è arrivato secondo. Cosa manca in realtà per vincere?
“Io pensavo di avere delle qualità dentro la squadra, con il presidente abbiamo cercato di allestire, facendo uso delle potenzialità a disposizione. Poi ci sono anche gli altri. La Juve ha meritato di vincere poi c’erano altre possibilità ed obiettivi ed invece li abbiamo falliti. Ieri sera con Lo Monaco abbiamo detto che l’anno scorso la squadra era più corta ed ora si è allungata, avevamo Keita che era bravo nello stretto, Pjanic… Sono maestri nel fraseggio, nel palleggio. Quest’anno ho fatto una scelta diversa e la squadra si è allungata. Dzeko ha fatto tantissimi gol e se si pensa che anche quest’anno lo abbiamo messo in discussione perché in alcune partite non ci è sembrato lo strike adatto per la Roma… È un ragazzo sensibile, per bene. Se si scrive che quando fa gol Totti Dzeko va via a lui disturba. All’inizio del campionato Milan, Inter, Roma, Juve, Napoli son tutte pretendenti a vincere. Poi ci sono delle sterzate, delle prese di posizione. Son sicuro che con l’arrivo del direttore che è uno abituato a stare sul campo se lo si fa lavorare per bene saprà dare un contributo maggiore con le capacità che ha e con la voglia di Pallotta che ha. Non è detto che il calciatore più forte è quello che ha fatto bene nell’anno precedente. Vanno fatti lavorare e vanno supportati. Sono arrivato secondo, non è andata bene come avrei voluto, ma non vorrei sentir dire che questa seconda edizione è stata di passaggio perché ci sono dei contenuti importanti”.

Si è mai sentito lasciato solo dalla società nelle difficoltà?
“Son pettegolezzi che non voglio fare”.

Chi è che non ha remato nella vostra direzione?
“Ho parlato di quella che è la coscienza mia e di quella di altri. Penso che Francesco sia un grandissimo calciatore, che lascia un vuoto incolmabile. Spero che gli venga dato un ruolo importante per la storia che ha. C’è bisogno ancor di più di fare gruppo perché l’esaltazione di un singolo elemento portata ai massimi livelli disturba l’elemento stesso. Lui è l’assoluto, si è preso le responsabilità ma poi appiattisce gli altri e quando io difendo gli altri secondo voi è un andare contro di lui ma non è così. Se in un anno e mezzo non sono riuscito a far capire questo, vuol dire che ho fallito”.

Dal punto di vista sentimentale non le dispiace essere ricordato come il nemico di Totti? E se non ci fossero stati i fischi ma gli applausi domenica, lei sarebbe rimasto?
“Come nemico di Totti fa sempre parte della coscienza di quello che lo vede il nostro rapporto. Son diventati dei ritornelli, spero che ci sia qualcuno che poi mi ha mandato qualche messaggio di comprensione alla scelta che ho fatto. Ci sono dati tecnici fondamentali per fare delle scelte. Quando sono arrivato la Roma era in difficoltà di gioco, non c’erano molti leader, non si intravedeva un’uscita repentina da questa situazione per cui ho dovuto prendere decisioni che hanno portato ad un percorso in cui Francesco è stato penalizzato. Se lui ha giocato poco e questa Roma ha fatto il record di punti, ci sarà un’altra possibilità di arrivare alla vittoria senza nulla togliere a lui che ci ha fatto vedere giocate impossibili. I fischi partono da lontano, da quando sono arrivato. Io la gente la incontro, son venuti anche fuori dal cancello di casa. Tant’è che c’è un modo di dire qui a Roma che si è verificato: gli allenatori vanno via da soli perché c’è tutto questo contorno che poi si verifica. A me disturba un po’ meno, a qualcheduno di più perché dopo 3 mesi ha smesso di lavorare con la testa per questa volontà di metterlo contro Totti, volontà assoluta di creare il problema alla Roma. Io con Totti rimango amico, anzi, quando si renderà conto che è altrettanto bello il dopo, diventeremo stretti amici e chissà che una volta non si possa raccontare una storia insieme e che lui stesso non capisca che l’esaltazione assoluta che fa perdere di vista il noi alla squadra, si toglie la prima qualità che deve avere anche perché per lui giustamente siamo stati tutti un po’ più disponibili verso gli altri. Per me i giocatori non sono tutti uguali: guardo quello che viene prima in allenamento e si impegna di più, quello che può dare la giocata…Guardo tutte le componenti del riempimento della partita. Voi non so se le guardate tutte. Spero che continui Francesco ora che vado via. Se tutti si è d’accordo per questo. Non sono io quello che lo ha fatto smettere, ha smesso da solo perché è l’età che ha che glielo impone. L’ho fatto smettere o l’ho fatto giocare un anno in più? Facciamo un sondaggio. Secondo me lo ho fatto giocare un anno in più, gli ho voluto strabene”.

Fino alla partita di San Siro contro l’Inter la squadra andava a mille all’ora. Lei sapeva da un mese che gli incontri erano ravvicinati e si sarebbe rischiato qualcosa e infatti sono andate male le due coppe proprio nella settimana degli impegni ravvicinati…Perché non è riuscito ad evitare questo iceberg?
“Non sono riuscito a creare quegli argini che impedissero di perdere quelle partite. Ho commesso degli errori, a volte bisogna giocar d’anticipo e si andava dietro all’idea collettiva che dopo il derby perso il Napoli avesse un calendario più facile. Nello spogliatoio si avvertiva che non si trovavano risorse per reagire, perché avevamo la Juve ed il Milan e ci siamo messi a lavorare bene lì, poi siamo andati a Milano e la Roma è stata rimbalzata nello stadio di San Siro. Ho commesso errori che hanno limitato la squadra ma se poi si vuole vedere come un limite o un mancato successo il fatto di non aver portato a casa titoli state attenti, perché erano passati anni e rischiano di passarne altri se non si fa il corretto dosaggio delle richieste che vogliamo fare ad una squadra ed una società. Naturalmente ci vogliono delle spiegazioni obiettive. Bisogna far partecipare questi cuori senza che ci siano tramiti: Monchi perché è il responsabile tecnico della squadra e i tifosi. Io spero che parli molto alla gente, a quelli che hanno a cuore le sorti della Roma”.

Quando, precisamente, ha pensato di non continuare il rapporto con la Roma?
“Dici delle cose ma le devi mantenere perché da persona schifosa ma per bene le mantengo. Esprimi delle cose che devono venirti da dentro con la squadra per poter avere un rapporto, ed io ho un rapporto bellissimo ed ero convinto di vincere. Poi non puoi tornare indietro e c’è il carico di queste cose. Anche io vengo a lavorare presto la mattina, mi diverto anche con i collaboratori perché siamo convinti che ritrovarsi in  palestra dopo l’allenamento è un modo affinché ciascuno dica la sua e poi qualcosa viene sempre fuori. Avevo questo modo di vivere le giornate a Trigoria. Step by step si maturano le cose, è sempre il risultato di un modo di ragionare, di una follia collettiva come quella di domenica perché siamo tutti stati coinvolti da questo evento incredibile che mi sono filmato e terrò con me”.

Lei lascia una squadra che ha portato in Champions e diventa un candidato per la panchina per l’Inter. Cosa deve pensare il tifoso romanista se un allenatore lascia una squadra che ha portato in Champions per andare in un’altra che non fa neppure l’Europa League?
“Ma perché Di Francesco è stato annunciato? Era una trappola o un ritenermi un po’ co*****ne? Io vado a prendere contatti con chi voglio da qui in avanti. Finora non è stato così, il direttore nuovo lo sa, chiedete a lui. A me interessava finire così di fronte a quegli sportivi lì. Poi, qual è l’idea che si fa la gente, ognuno reagisce a modo suo. A volte si fa finta che qualcosa ti disturbi, la Roma muove tante situazioni per cui non mi interessa, ognuno se lo tiene per sé il pensiero. Io da qui in avanti comincio a parlare con quelli che vorranno fare uso della mia persona come allenatore, come metodo, come faccia. Vado fuori e comincio a telefonare, ascolto se qualcuno mi vuol parlare di calcio e organizzo in base a quello che mi propongono, se mi piace”.

Su Di Francesco?
“Spero che sia uno tra Montella e Di Francesco il prossimo allenatore della Roma perché conoscono la Roma, hanno fatto vedere delle qualità umane che ci vogliono oltre che quelle di allenatore. Secondo me a tutti e 2 il ricordo della Roma non è stato cancellato nonostante gli sviluppi professionali”.

Se a gennaio avessi avuto la possibilità di avere 2 rinforzi? è stato quello lo stimolo ad andare altrove?
“Dalla società ho ricevuto tutto ciò che dovevo ricevere. Mi interesso di quelle che sono le caratteristiche che abbiamo come possibilità per cui se dico ‘ci sto’ poi non vado a dire che mi dici una cosa per un’altra. Ho preso i calciatori che a me stavano bene. Anzi, c’era la possibilità di fa entrare un giocatore ma ho detto di lasciar stare per salvaguardare il carattere di un altro calciatore che già avevo a disposizione perché ritenevo più importante far star tranquillo un calciatore anziché metterlo in competizione con un altro che non era alla sua altezza poi. Pallotta nel suo modo di intendere lo sport, ha fatto vedere di voler investire. Vuol fare lo stadio per la Roma e si mette in dubbio che voglia farlo per interessi suoi? Mannaggia ragazzi, Ridiciamolo, ‘famo sto stadio’  perché va fatto e diventa tutto più facile per quelli che vogliono bene a questa squadra. È lì la chiave per avere più lavoro, più introiti, più calciatori di qualità, più spettacolo per far andare più gente allo stadio. C’è una citazione di un cantautore romano importante che sull’epitaffio ha scritto una cosa importante: ‘non escludo il ritorno’. Mi garba questa cosa qui”.

 

Diretta testuale di Claudia Demenicacopyright-vivicentro

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