Castello di Padernello (Brescia): il dramma della droga in un trascinante spettacolo

Nella singolare cornice del Castello di Padernello, avvolto nelle brume autunnali della bassa bresciana, è...

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Nella singolare cornice del Castello di Padernello, avvolto nelle brume autunnali della bassa bresciana, è stato allestito uno spettacolo di rara efficacia rappresentativa.

Castello di Padernello (Brescia): il dramma della droga in un trascinante spettacolo

Già l’imponente edificio, circondato dalle sue limpide acque, nelle quali placidamente si specchia, trasporta l’animo in un’atmosfera quasi trasognata. Per entrare si scavalca il fossato camminando su un autentico ponte levatoio, che attraverso una torre merlata ti immette in una corte austera. La percorri e ti ritrovi all’interno di un vastissimo cortile quadrato arricchito da un portico colonnato, che ti suggerisce la storia del vetusto edificio: da maniero difensivo, nei secoli, fu mutato in elegante dimora di campagna di eleganti signori di altri tempi. Sotto i portici si possono ammirare parecchi esemplari di carrozze e carrozzini da viaggio di indubbio valore storico. Un imponente scalone d’onore porta al piano nobile, e dopo aver attraversato diversi ambienti, variamente decorati ed arredati, ci si ritrova in un salone attrezzato a piccolo teatro “di corte”. Una cinquantina di posti ed un palcoscenico enorme, in confronto.

Un impareggiabile Sergio Mascherpa ha sostenuto la scena con un lunghissimo, unico monologo “dialogico” che ha rapito mente e cuore della platea ininterrottamente per più di un’ora filata. Ha fatto rivivere icasticamente il delirio “ante mortem” di un tossicodipendente che ripercorre le emozioni della sua sventurata vita. Ora da guascone e spaccone ora da tenero bambinone in cerca di affetto.

È un testo del 1994 scritto in dialetto bresciano dall’erbuschese Giuseppe Marchetti, dal titolo “La Madòna de la nef”, che descrive il desolante panorama umano dei drogati prima maniera degli anni ’70. Quando assumere sostanze d’abuso non era da “gente in”, per tenersi in forma o per sballare, come oggi. Allora era segno di malessere e di protesta verso la società perbenista e conformista. Ed i soggetti più sensibili, o più fragili, ci cascavano in pieno e spesso ci perivano miseramente, dopo una vita di emarginazione, incomprensione e di indicibile sofferenza, fisica e spirituale.
Mascherpa piange e ride, si dimena e resta catatonico, sogna e ricorda, desidera e rimpiange, si vanta e si commisera, in un trascolorare da uno stato d’animo all’altro che ha dell’inverosimile, eppure egli lo rende con tanta naturalezza che riesce a strappare più di un sospiro angoscioso tra il pubblico. E forse anche qualche “furtiva lacrima” ben mimetizzata, complice il buio della sala.
Non è di tutti i giorni assistere ad uno spettacolo di questo livello in provincia. Eppure è così grazie alla rassegna “Impronte Teatrali – Bassa Pressione”, patrocinata dalla Provincia di Brescia e realizzata per merito dell’impegno del Centro Teatrale Bresciano e del Teatro Laboratorio, del quale Sergio Mascherpa è una colonna portante.
La regia dello spettacolo è di Giacomo Andrico e la produzione della Associazione Culturale “SR”; scene e costumi di indovinata efficacia sono di Rossella Zucchi: musiche originali di Claudio Smussi; luci curate efficacemente da Sergio Martinelli.
Spettacolo da rivedere alla prossima occasione e che ci sentiamo di consigliare, anche a chi ha poca dimestichezza con la robusta concretezza del vernacolo bresciano.

Recensione relativa allo spettacolo di venerdì 20 settembre

Carmelo TOSCANO

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