Scampia, l’asilo di suor Edoarda: “Ho resistito alle pistole”

Nel 2018 ha avviato il progetto ‘Servizi 0-6: passaporto per il futuro’ Suor Edoarda è...

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Nel 2018 ha avviato il progetto ‘Servizi 0-6: passaporto per il futuro’

Suor Edoarda è una collaboratrice di “Mission Bambini”, fondata nel 2000 dall’ingegnere Goffredo Modena (tutt’oggi presidente), che da 18 anni offre un aiuto concreto ai bambini poveri e senza istruzione e ha contribuito ad aprire o ampliare nidi per la prima infanzia su tutto il territorio nazionale, specialmente nelle periferie delle grandi città del Sud Italia.

Nel 2018 inoltre ha avviato il progetto “Servizi 0-6: passaporto per il futuro” con l’obiettivo di offrire opportunità educative di qualità creando ancora più offerte, estendendo le fasce orarie dei nidi e aumentando dal 25 al 40 per cento la quota dei posti riservati a famiglie in difficoltà economiche, che pagheranno una retta agevolata. A Napoli hanno realizzato il progetto per i piccoli più vulnerabili di Scampia nel nido “Spago”, gestito dall’Associazione Celus, che già sostengono dal 2012. A portare avanti il progetto c’è il team coordinato da suor Edoarda, 70 anni secondo l’anagrafe ma una giovincella piena di energia e voglia di aiutare i più sfortunati.
Originaria di Brindisi con alcuni anni di esperienza ‘in una zona complicata di Roma’, suor Edoarda arriva al Lotto G per occuparsi di bambini 30 anni fa. “All’inizio era difficile anche farsi solo ascoltare” ricorda. “Mi svegliavo presto e facevo il giro del quartiere andando a prendere i bimbi da portare al nido. Se non andavo io, le famiglie si disinteressavano completamente della formazione di questi piccoli”. All’epoca era complicato anche delle famiglie vere e proprie. “I nuclei erano disgregati, c’era più disagio sociale, molta tossicodipendenza, nessuno che lavorava e tanti finivano in carcere o peggio ancora morivano. Mi sono scontrata anche con padri violenti, che torturavano i figlioletti e mi hanno puntato la pistola in faccia”.
Da allora suor Edoarda ammette che “qualcosa è cambiato. I primi anni la dispersione scolastica era altissima, anche perché le mamme stesse non erano scolarizzate e quindi non in grado di seguirli nei compiti a casa. Si pensava alla sopravvivenza e basta. Il nostro spazio per tante è diventato un punto di riferimento, un aiuto al timore di vedere persi in brutti giri i propri figli, perché la criminalità cerca la manovalanza tra i minori”. Quando dopo anni dal Lotto G si sono spostati verso Cupa Perillo, molte mamme erano deluse perché la scuola era distante. “Adesso però abbiamo un pulmino per il servizio quotidiano”.

I costi della retta sono bassissimi perché sostenuti da ‘Mission Bambini’ così durante l’anno ci sono circa venti bimbi, ma in estate aumentano le classi: “Un gruppo la mattina fino a 3 anni, poi una sezione 4-5 anni, e ora anche quelli dai 6 a 13 anni. Anche durante l’anno li seguiamo, con doposcuola con attività ludico-ricreative come judo, arte, ballo e altro”. Tanti anche i bimbi rom “e in questo caso dobbiamo lavorare il doppio. Il problema sono gli adulti, rom e non, che inculcano ai figli idee difficili da estirpare. Lavoriamo per la solidarietà”.
Se un tempo aveva a che fare con povertà e tossicodipendenza, oggi il problema è la mancanza della presenza genitoriale. “Le mamme non si preoccupano della crescita psicologica, culturale, morale. A loro basta vestirli e sfamarli, poi li lasciano da soli davanti la televisione o playstation. Questo non è educare: crescerli in maniera sana significa prendersi cura di loro con tenerezza. È probabile che anche a loro è mancato tutto questo, solo che se lasciati soli, questi bambini formano le babygang e giocano a fare i duri, gli adulti. Per me queste bande senza controllo sono il pericolo più grande. E la responsabilità è solo dei genitori”.
L’impegno di suor Edoarda è una goccia nel mare ma le soddisfazioni non sono tardate a venire. “Adesso abbiamo sei ragazzi di 17 anni volontari al doposcuola: Rita, Sara, Gaia, Pietro, Vincenzo e Carmine sono tutti del quartiere e ex dell’asilo. E poi Angela e Miriam, che stanno lavorando come educatrici nei nostri centri che venivano quando erano piccole. Questo passaggio di testimone è la soddisfazione più grande”. Per tanti ragazzi salvati dalla strada, resta una delusione: “C’è un ragazzo che rappresenta la mia sconfitta perché ho tentato di salvarlo in ogni modo. È finito in carcere per spaccio e una volta uscito, nonostante la mia mano tesa, ha preferito restare nel clan”.

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